La guardia costiera libica ha ucciso tre persone, ma al governo italiano non importa
Meno di due settimane fa, il parlamento ha rinnovato i finanziamenti alla guardia costiera libica per 10 milioni di euro
Meno di due settimane fa, il parlamento ha rinnovato i finanziamenti alla guardia costiera libica per 10 milioni di euro
La “guardia costiera libica,” a cui il parlamento italiano ha appena rinnovato un finanziamento da 10 milioni di euro nel 2020, ha aperto il fuoco contro un gruppo di migranti sudanesi, uccidendo tre persone e ferendone altre quattro. I tre uomini si trovavano nel gruppo di 73 persone intercettate in mare e riportate a Khoms nella giornata di lunedì. Secondo la ricostruzione dell’Oim, che ha dato la notizia ieri pomeriggio, i libici hanno iniziato a sparare quando i migranti hanno cercato di scappare subito dopo lo sbarco, per evitare di essere riportati nei lager.
Nemmeno l’omicidio a sangue freddo di tre persone è stato però sufficiente a stimolare una presa di posizione da parte del governo italiano, che letteralmente ha armato la mano degli assassini, finanziandoli e fornendogli armi nell’arco almeno degli ultimi tre anni. Non risultano dichiarazioni ufficiali del presidente del Consiglio Conte, né del ministro degli Esteri Di Maio — che pochi giorni fa vantava i risultati, ancora virtuali, della revisione del “memorandum” con Tripoli — né della ministra Lamorgese, che meno di due settimane fa è stata in Libia per consegnare 30 automezzi al governo di al-Serraj e rafforzare la cooperazione tra i due governi.
Le voci della maggioranza che hanno commentato l’omicidio dei tre migranti sono quelle dei soliti parlamentari isolati che da tempo si oppongono agli accordi con la Libia — ma che poi continuano a sostenere il governo senza troppi problemi. Matteo Orfini (Pd) ha definito l’accaduto “un orrore di cui il nostro paese è consapevolmente responsabile,” mentre Erasmo Palazzotto (Leu) ha chiesto al governo di riferire in Parlamento: “Non possiamo essere complici di questi crimini.” Anche il segretario del Pd Zingaretti, che sulla Libia non ha detto nulla, ha esortato il governo a “pensare a una nuova strategia di gestione dei flussi migratori.” Che, però, non è ben chiaro quale dovrebbe essere. Del resto, secondo quanto riportato dallo stesso Orfini, l’assemblea del Pd si era anche dichiarata contraria al rinnovo degli accordi con la Libia — che poi, però, sono passati senza colpo ferire.
La linea del governo lascia confusi ma non sorpresi. Confusi perché il nuovo esecutivo è nato sulla base di una serie di punti tra cui spiccava la revisione dei decreti sicurezza, che però finora non si è ancora vista, dopo l’incredibile rinvio continuo della discussione per un anno; non sorpresi perché il comportamento delle forze politiche in questione è da anni opportunistico e del tutto incurante dei diritti umani. Il Movimento 5 stelle, per bocca del suo stesso “capo politico” Vito Crimi, ha una paura irrazionale — e francamente indegna — della reazione di Salvini e delle destre all’eventuale cancellazione dei decreti; il Pd, la forza che aveva più richiesto un’azione in merito, semplicemente ha deciso che non era il caso di insistere troppo su un argomento che, alla fine, riguarda soprattutto stranieri non votanti.
Chi muore, subisce violenza o viene deportato in campo di concentramento è infatti del tutto irrilevante per la politica internazionale e italiana, che si sente autorizzata a trattarlo come un bene mobile di cui disporre nel modo più conveniente. “La sofferenza dei migranti in Libia è intollerabile,” ha detto il capo missione dell’Oim Federico Soda. “L’uso di violenza eccessiva ha comportato ancora una volta una perdita insensata di vite umane, mentre manca completamente qualsiasi azione per cambiare un sistema che spesso non riesce a offrire nessun grado di protezione.” Non è la prima volta che un migrante viene ucciso a sangue freddo nelle fasi successive alla deportazione in Libia: nel settembre 2019 un uomo, anche in quel caso sudanese, era stato ucciso dai libici subito dopo lo sbarco. Solo due mesi prima, a luglio, 53 persone erano morte nel bombardamento che aveva colpito il centro di detenzione di Tajoura, e le guardie avevano aperto il fuoco contro chi cercava di scappare.
L’Unhcr ha chiesto con urgenza un’inchiesta sulla strage. Proprio ieri, l’agenzia dell’Onu ha presentato un nuovo rapporto sugli abusi e le sofferenze subite dai migranti che dall’Africa cercano di raggiungere l’Europa: omicidi, rapimenti, torture, stupri e detenzioni arbitrarie. La maggior parte delle violenze ha luogo proprio in Libia — tappa finale del viaggio, prima della traversata del Mediterraneo — ed è praticata soprattutto da forze di polizia o militari. Polizia e forze militari che sono proprio le alleate del governo italiano, paladine di Minniti, Salvini e Lamorgese, che coi soldi versati dai nostri ministeri dell’Interno costruiscono lager e ammazzano la gente — cose che, si deve dedurre, è il motivo per cui vengono pagati.
L’obiettivo dichiarato dell’accordo tra Italia e Libia è assistere il Governo di Accordo Nazionale, presieduto da al-Serraj, attraverso lo svolgimento di una serie di compiti che vanno dall’assistenza sanitaria all’attività di capacity building, ma la cui voce principale, e di maggior interesse per l’Italia, è “l’assistenza nel controllo dell’immigrazione illegale.” In altre parole: il governo italiano fornisce denaro, mezzi e addestramento alla guardia costiera libica, per intercettare in mare i migranti che cercano di raggiungere l’Europa e riportarli nei campi di concentramento in Libia.
In più, i fondi che lo stato italiano eroga alla Libia sono gestiti con poca trasparenza e spesso finiscono alle autorità locali, colluse con milizie e trafficanti — quando non sono loro stesse questi soggetti. Ne ha parlato Nello Scavo in un’inchiesta pubblicata su Avvenire: si parla di milioni di euro destinati a potenziare il sistema scolastico, migliorare la raccolta dei rifiuti, facilitare la distribuzione dell’acqua potabile, migliorare la condizione di ospedali, ma che non si sa bene dove siano finiti.
La violenza sponsorizzata dai governi però non si limita solo al territorio libico, l’ultimo tratto di un percorso lunghissimo che i migranti devono percorrere, ma comincia ben più lontano. Nel rapporto, l’agenzia Onu sottolinea come in realtà il vero numero delle persone che perdono la vita ogni anno cercando di raggiungere l’Europa è effettivamente impossibile da calcolare, perché le morti nel deserto non sono registrate in nessun modo, e molti altri pericoli a cui sono esposte le persone che migrano. Secondo analisi di Unhcr e 4Mi, negli ultimi due anni hanno perso la vita come minimo una media di 72 persone al mese nel deserto. L’agenzia sottolinea che lo spazio d’azione lasciato a componenti criminali e milizie non sia un elemento semplicemente da contrastare, ma che la loro stessa esistenza sia causata dall’inazione degli stati, che costringono chi migra a fare affidamento a soluzioni sempre più pericolose e costose. Inoltre, l’agenzia sottolinea la necessità da parte degli altri stati di sostenere chi sopravvive al viaggio e chiede sia fatta giustizia — condividendo informazioni e assistendo le agenzie nell’indagare gli autori di abusi e violenze.
Mentre in Libia si muore in questo modo, la politica italiana è tutta occupata dalla nuova “invasione” — così la chiamano stamattina i soliti giornali di destra — dei migranti che approdano sulle coste siciliane, provenienti soprattutto dalla Tunisia, e dalla cattiva gestione dei centri d’accoglienza in Sicilia. I numeri sono lontanissimi da quelli degli anni 2014-2017, ma le autorità locali sono sul piede di guerra e la Lega sta cercando in tutti i modi di cavalcare questa nuova “emergenza.” E anche in questo caso la reazione del governo è di sostanziale paralisi e sperare che, semplicemente, l’emergenza passi: tanta è la paura di esporsi su un tema così monopolizzato dalle forze neofasciste. Tanto, come detto, chi ci va di mezzo non ha né nome, né volto, né tessera elettorale.