Anche la Ocean Viking è stata sottoposta a fermo amministrativo

Dopo la Mare Jonio e la Sea-Watch 3, anche la Ocean Viking non potrà tornare a svolgere operazioni di soccorso nel Mediterraneo centrale

Anche la Ocean Viking è stata sottoposta a fermo amministrativo

Dopo la Alan Kurdi e la Sea-Watch 3, anche la Ocean Viking non potrà tornare a svolgere operazioni di soccorso nel Mediterraneo centrale — che resta in balia della guardia costiera libica

Il modus operandi ormai è sempre lo stesso: al termine del periodo di quarantena imposto alle navi umanitarie dopo un salvataggio, la Guardia costiera sale a bordo, rileva delle irregolarità qualsiasi — “di natura tecnica e operativa” — e dispone il fermo amministrativo. Dopo la Alan Kurdi e la Sea Watch, è successo puntualmente anche alla Ocean Viking di SOS Méditerranée, ora bloccata a Porto Empedocle.

L’ispezione a bordo è durata 11 ore. Con un comunicato stampa, la Ong ha denunciato quella che definisce “una sfacciata manovra di intimidazione amministrativa diretta a impedire il lavoro di salvataggio delle navi non governative.” Le irregolarità, spiega il comunicato, risiedono nel fatto che la nave — dopo gli interventi di salvataggio — ospita a bordo un numero di persone maggiore rispetto al massimo specificato dai documenti di navigazione. Ma queste persone sono da considerare naufraghi, non “passeggeri.”

#migranti BREAKING 22:26

🔴 OCEAN VIKING BLOCCATA: FERMO AMMINISTRATIVO

Il comunicato della Guardia Costiera ⚓🇮🇹 dopo le ispezioni eseguite a bordo della nave #OceanViking, ormeggiata a #PortoEmpedocle.

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— Sergio Scandura (@scandura) July 22, 2020

Per far capire il livello: tra le irregolarità contestate alla Sea-Watch, meno di due settimane fa, c’è quella di avere a bordo troppi giubbotti di salvataggio.

Il governo italiano non ha nessun interesse che nel Mediterraneo centrale siano presenti dei mezzi di salvataggio: sono stati appena rinnovati i finanziamenti alla Guardia costiera libica e ci si aspetta che facciano il proprio lavoro. Ieri mattina sono stati intercettati e deportati in Libia i 131 migranti segnalati a bordo di un gommone da Alarm Phone due giorni fa.

‼️ Breaking: 131 migrants who were onboard this boat were returned to #Libya by the coast guard and disembarked in Tripoli this morning. pic.twitter.com/F4d6TVYa0U

— Safa Msehli 🇺🇳 (@msehlisafa) July 22, 2020

Non tutti, però, vengono intercettati e deportati in Libia “in tempo,” e il Mediterraneo appare sempre più come un cimitero: l’equipaggio di Moonbird, l’aereo di ricognizione di Sea-Watch, ha individuato un terzo cadavere galleggiante al largo delle coste libiche. Anche in questo caso, nessuna autorità sembra interessata a farsi carico del recupero del corpo. Senza osservatori indipendenti, non abbiamo neanche idea di quanti siano i naufragi “fantasma.”

Sassi contro le strutture d’accoglienza e violenze nei Cpr

Nel frattempo, una struttura di accoglienza che accoglie 13 donne nigeriane e due bambine, chiusa per quarantena dopo che una di queste è risultata positiva al virus, è stata attaccata con una sassaiola, che ha rotto il vetro di una finestra e ha rischiato di colpire una delle donne. Attorno alla casa, gestita da una cooperativa, è stato disposto un cordone di sicurezza con sorveglianza attiva 24 ore su 24.

Altre storie di violenza arrivano invece dai Cpr: gli attivisti No Frontiere del Friuli-Venezia Giulia riportano che all’interno del centro di detenzione di Gradisca d’Isonzo gli agenti hanno aperto un estintore sul volto di uno dei reclusi, dopo gli incendi scoppiati nella sua stanza, in cui è stato portato alcuni giorni fa un cittadino egiziano con problemi di salute, appena arrivato in Italia e privato del proprio cellulare. Una settimana fa, all’interno del Cpr di Gradisca d’Isonzo è morto un uomo di 28 anni, probabilmente a causa di un’overdose di farmaci. Negli altri Cpr italiani la situazione non è migliore: i reclusi all’interno del centro di Palazzo San Gervasio (Potenza) raccontano di violenze sistematiche, pestaggi, e omissioni di assistenza medica. Casi spesso impossibili da documentare perché gli agenti rompono le videocamere dei cellulari ai reclusi — o li sequestrano direttamente.


In copertina: foto di Laila Sieber, SOS Méditerranée / Twitter

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