Dopo tre giorni le trattative sul Recovery Fund sono ancora bloccate
Il Consiglio europeo è stato riconvocato per oggi pomeriggio, nella speranza di arrivare a un accordo al ribasso. Comunque andrà, è già una pessima figura per tutta l’Unione
Il Consiglio europeo è stato riconvocato per oggi pomeriggio, nella speranza di arrivare a un accordo al ribasso. Comunque andrà, è già una pessima figura per tutta l’Unione
Le trattative del Consiglio europeo a Bruxelles sono entrate nel proprio quarto giorno: il vertice è stato riconvocato per oggi pomeriggio alle 16, e si trasformerà così nel più lungo della storia europea. Il fatto che sia stato rinnovato anche per oggi, dopo un weekend di scontro frontale, è di per sé una buona notizia: significa che c’è, quantomeno, lo spiraglio per arrivare a un accordo. Accordo che però, al momento, sembra ancora lontano.
Secondo le ricostruzioni giornalistiche, nelle scorse ore — la riunione plenaria è andata avanti fino all’alba — le trattative sono state vicinissime a saltare: in particolare, il presidente francese Macron avrebbe letteralmente “sbattuto le mani sul tavolo” e minacciato di andarsene.
La nuova proposta di Charles Michel
La discussione, al momento, ruota attorno alla nuova proposta presentata dal presidente del Consiglio Charles Michel, che prevede di mantenere la cifra complessiva di 750 miliardi di euro, aggiustando però la composizione dei finanziamenti: 400 miliardi sarebbero erogati come sovvenzioni, 350 miliardi sotto forma di prestiti. I cosiddetti paesi “frugali,” però, chiedono di ridurre ulteriormente le sovvenzioni a 350 miliardi. Quella dei 400 miliardi sembra essere la soglia limite sotto cui Germania, Francia e Italia non hanno intenzione di scendere, e la soluzione dovrà essere un compromesso proprio tra queste due proposte, se si vuole arrivare ad un accordo in tempi rapidi. L’offerta dei “frugali” è costruita per essere quanto più possibile allettante nei confronti dei paesi mediterranei, anche se ai danni dell’Unione: i 50 miliardi di differenza sono in larga parte tagliati dai programmi europei — sul green deal e sulla ricerca, ma anche sulla sanità.
Da parte di tutti infatti c’è la volontà di chiudere il più in fretta possibile, anche per evitare che il protrarsi delle trattative porti inevitabilmente ad un “no deal.” La proposta al ribasso dei “frugali,” però, è stata fulminata nel corso della giornata anche dalla presidente della BCE Christine Lagarde, secondo cui all’Unione europea serve “un accordo ambizioso, non un accordo rapido” — una dichiarazione che, probabilmente, spera anche di calmare i mercati. Il summit era stato organizzato nel fine settimana proprio per avere una soluzione definitiva in tempo per la riapertura delle borse. Ovviamente non è andata così.
“Il ragazzo olandese”
I toni della discussione, finora, sono stati piuttosto accesi: Conte, al termine della seconda giornata dei lavori, parlava senza mezzi termini di un “ricatto” dei paesi frugali, ma anche il premier ungherese Viktor Orban non ha avuto parole gentili per l’olandese Mark Rutte, a cui ha attribuito un “odio personale” nei confronti dell’Ungheria. “Dobbiamo chiarire che se l’accordo è bloccato — ha detto Orban — non è a causa mia, ma a causa del ragazzo olandese, perché è lui che ha iniziato questo caos.” La spaccatura tra Rutte e Orban corre anche su un altro fronte, che rende le trattative ancora più complesse: tra le condizionalità chieste dai paesi “frugali” c’è anche “lo stato di diritto.” Si chiede, insomma, di mettere nero su bianco il rispetto della democrazia — o per lo meno, un certo allineamento verso le politiche europee in materia — per l’erogazione dei fondi. Per i paesi di Visegrad, e per l’Ungheria in particolare, si tratta di un problema insormontabile.
I resoconti mediatici dei colloqui privati tra i leader europei attribuiscono a Conte frasi addirittura epicheggianti: “Vi state illudendo che la partita non vi riguardi o vi riguarda solo in parte. In realtà se lasciamo che il mercato unico venga distrutto tu forse sarai eroe in patria per qualche giorno, ma dopo qualche settimana sarai chiamato a rispondere pubblicamente davanti a tutti i cittadini europei per avere compromesso una adeguata ed efficace reazione europea,” avrebbe detto a Rutte.
Per Rutte non si tratta di una battaglia solo ideologica, ma anche politica. Il Primo ministro si è incastrato da solo con dichiarazioni durissime durante un dibattito al parlamento olandese solo martedì scorso. Si tratta di una battaglia per la sopravvivenza: lo scontro politico in vista delle prossime elezioni nei Paesi Bassi è tra lui e il ministro delle Finanze Woepke Hoekstra, che da più di due anni sta conducendo una ambiziosa quanto pericolosa campagna internazionale per raccogliere supporto per una serie di riforme al ribasso dell’Eurozona. Lo scorso marzo Hoekstra era stato nominato più volte anche dalla cronaca italiana: fin dalle prime settimane dell’emergenza coronavirus ha svolto infatti il ruolo di censore di qualsiasi progetto espansivo europeo. Le sue posizioni estremiste da sempre sollevano lo sdegno di molti altri paesi europei: lo scorso marzo il Primo ministro portoghese Costa aveva definito i suoi commenti “ripugnanti,” e aveva dichiarato che la sua linea “minava completamente lo spirito dell’Unione europea.”
Il fronte dei paesi rigoristi non è comunque compatto come sembra: Danimarca, Svezia e Finlandia sarebbero favorevoli a una proposta “di compromesso,” che porti a 375 miliardi l’ammontare delle sovvenzioni. Nel corso della giornata di oggi Michel proverà a rilanciare su 390 miliardi, ma con sconti sul bilancio europeo per rendere la proposta più digeribile. Ricordiamo che, secondo la proposta iniziale del Recovery Fund, le sovvenzioni sarebbero dovute ammontare a 500 miliardi. L’intransigenza mostrata dai paesi nordici, di fronte allo scenario peggiore — quello di un “no deal” — è vissuta con una certa insofferenza dalla cancelliera tedesca Angela Merkel: accettare un’ulteriore ribasso sull’importo delle sovvenzioni sarebbe una sconfitta politica grave per la presidente di turno dell’Unione, ma uscirne senza accordo sarebbe un fallimento ancora peggiore.