Possiamo parlare seriamente dello smart working?

Dalle dichiarazioni di Beppe Sala alla fantasiosa rappresentazione di Susan, in Italia sembra impossibile discutere seriamente dello smart working. Potremmo cominciare, per esempio, smettendo di chiamarlo così

Possiamo parlare seriamente dello smart working?

Dalle dichiarazioni di Beppe Sala alla fantasiosa rappresentazione di Susan, in Italia sembra impossibile discutere seriamente dello smart working. Potremmo cominciare, per esempio, smettendo di chiamarlo così

Dopo essere stato raccontato come una rivoluzione durante le settimane del lockdown, lo smart working ha iniziato a fare paura a qualcuno. Dopo gli attacchi diretti di Beppe Sala, ieri sulla stampa è rimbalzata ovunque la storia di Susan, la visualizzazione 3D che immagina una donna che fa smart working da 25 anni.

Partiamo da un presupposto: l’espressione smart working è un neologismo italiano, un inglesismo da manager, che fonde la necessità di fare telelavoro, diventata un obbligo per milioni di persone durante il lockdown, con una spinta verso un lavoro più “agile,” con consegne e obiettivi al posto di orari. Per questo è necessario, mentre si costruisce come sarà il lavoro in futuro, dopo la pandemia, discutere seriamente di come e dove si lavorerà. Non perché “per ripensare le città ci vuole tempo,” ma per garantire contratti e orari giusti, con un rispetto vero del bilanciamento tra vita e lavoro.

Show notes

In questa puntata sono con voi: Sebastian Bendinelli @sebendinelli e Alessandro Massone @amassone. Per non perderti nemmeno un episodio di TRAPPIST, abbonati su Spotify e Apple Podcasts.

in copertina, foto di Beppe Sala, via Instagram, e Susan