La rotta balcanica al contrario: i migranti respinti illegalmente dall’Italia finiscono in Bosnia
Secondo le autorità italiane, un vecchio accordo con la Slovenia renderebbe possibili le deportazioni verso est dei migranti che arrivano in Italia. Ma secondo Gianfranco Schiavone, vicepresidente dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione, “questo provvedimento non è legittimo”
in copertina, la Croce rossa assiste alcuni migranti a Kalesija, in Bosnia-Herzegovina. Foto via Twitter
Secondo le autorità italiane, un vecchio accordo con la Slovenia renderebbe possibili le deportazioni verso est dei migranti che arrivano in Italia. Ma secondo Gianfranco Schiavone, vicepresidente dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione, “questo provvedimento non è legittimo”
Nelle ultime due settimane sono stati documentati diversi trasferimenti di richiedenti asilo in territorio sloveno dalle città italiane Trieste e Gorizia, a ridosso del confine. Da lì la catena di respingimenti, coordinata dai vari corpi di polizia, li ha portati prima in Croazia e poi fino in Bosnia e addirittura in Serbia, da dove molti migranti erano partiti per l’ultimo tratto del loro lungo viaggio. La denuncia arriva da Asgi (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione), che lo scorso 6 giugno ha inviato una lettera al ministero dell’Interno — oltre che alla Questura e alla Prefettura di Trieste e alla sede italiana dell’Unhcr — con la richiesta di interrompere questa pratica.
Proprio il Viminale a metà maggio aveva annunciato l’impegno ad aumentare le riammissioni, oltre a inviare 40 agenti di polizia sul confine orientale. “Stiamo seguendo l’indirizzo politico del Ministro e facciamo fede ad un articolo dell’accordo bilaterale tra Slovenia e Italia firmato sì un po’ di anni fa, ma ancora in vigore” ha spiegato il prefetto di Trieste Valerio Valenti in una dichiarazione riportata da TriestePrima. L’accordo bilaterale in questione è quello tra Italia e Slovenia sulla riammissione delle persone alla frontiera, firmato a Roma il 3 settembre 1996. In virtù di questo accordo sarebbe possibile effettuare la riammissione dall’Italia in Slovenia se i migranti si trovano sul suolo del nostro paese entro dieci chilometri dalla frontiera, ed entro una certa ora del pomeriggio. L’esistenza di questo accordo apre una domanda: quelle delle ultime settimane sono riammissioni legali o respingimenti mascherati? Gianfranco Schiavone, vicepresidente di Asgi, non ha dubbi.
“Questo provvedimento non è legittimo perché l’accordo è superato dalle normative Schengen.”
Come spiega Schiavone, e come evidenziato dalla nota di Asgi, non è ammessa alcuna riammissione o altra forma di respingimento nei confronti di chi vuole presentare la domanda d’asilo: questa domanda deve essere registrata nel paese in cui lo straniero si trova e solo dopo, se necessario, deve essere applicato il regolamento di Dublino per stabilire quale sia il paese competente. Episodi simili di riammissioni erano stati segnalati anche nel 2018: “Si trattava di un numero contenuto, ma si era cercato di negare comunque tutto,” sostiene Schiavone. Ora invece, secondo i dati citati dal vicepresidente di Asgi, sarebbero più di 200 i riammessi in Slovenia dal 20 maggio a oggi, soprattutto cittadini afghani e pakistani.
Ma l’approccio è cambiato anche in profondità. Se prima la Questura di Trieste aveva ammesso che in Slovenia possono essere riammesse solo persone che non intendono fare domanda d’asilo, ora il Prefetto sostiene che alle persone respinte non venga negata la possibilità di chiedere asilo in un paese comunitario, “in quanto la Slovenia fa parte dell’ambito europeo.” Secondo Asgi la situazione è di estrema gravità. Alle persone che hanno subito questa pratica non è stato fornito nessun atto amministrativo che motivasse il loro spostamento. “Questa procedura non è legittima senza un esame delle singole situazioni,” ricorda Schiavone. A queste persone, a quanto pare, veniva detto che sarebbero state portate in un centro per l’isolamento fiduciario, o gli si dava appuntamento per presentare la domanda d’asilo.
Invece venivano caricate in un furgone e portate oltre frontiera.
“Abbiamo notizia di persone riportate indietro fino a Bihac in Bosnia,” racconta Schiavone. Le testimonianze sono state raccolte da una rete di Ong che opera tra Trieste e la rotta balcanica ma “la raccolta dei dati è ancora in corso.” Una di queste persone è Alishah, un migrante afghano di 27 anni che da 10 mesi si trova in Bosnia. Contattato su Facebook racconta di come sia stato respinto 13 volte durante i suoi tentativi di raggiungere l’Europa occidentale. È stato fermato 4 volte in Slovenia, e le restanti in Croazia. Qualche settimana fa Alishah è però riuscito ad arrivare in Italia. “Mi hanno preso le impronte digitali, ma poi ci hanno chiesto di sederci a tre a tre in un furgoncino per rimandarci indietro,” racconta. Alishah è stato consegnato prima alla polizia slovena e poi a quella croata che ha portato lui e i suoi compagni al confine con la Bosnia. Lì “ci hanno preso borse e vestiti e bruciato tutto,” continua Alishah, “ci hanno picchiato fortissimo e poi ci hanno deportato.”
In un video postato da un attivista dal campo serbo di Adaševci qualche giorno fa, un altro uomo afghano racconta di aver lasciato le impronte digitali a Trieste e di essere poi stato trasportato indietro fino in Serbia, grazie a questo sistema di riammissioni a catena. Nella denuncia di Asgi vengono citate anche le numerose inchieste internazionali e i dati raccolti da Ong che testimoniano i maltrattamenti e i trattamenti inumani e degradanti a cui è sottoposto chi viene respinto lungo la rotta balcanica, soprattutto in Croazia. È riscontrato da anni l’uso sistematico di armi, come strumento di minaccia e di offesa, i migranti vengono poi quasi sempre insultati, picchiati e derubati da non meglio identificati agenti di confine duranti i respingimenti in Bosnia o in Serbia.
Una recente inchiesta di Amnesty International su alcuni respingimenti avvenuti a fine maggio in Croazia testimoniano torture da parte degli agenti Croati, che dopo aver picchiato i migranti cospargevano le loro ferite con maionese e ketchup. È importante ricordare che dal 2013 anche la Croazia è un membro dell’UE. “L’Unione europea non può più tacere e ignorare volontariamente la violenza e gli abusi della polizia croata alle sue frontiere esterne. Il loro silenzio sta permettendo e persino incoraggiando gli autori di questo abuso a continuare senza conseguenze,” ha evidenziato in una nota Massimo Moratti, vicedirettore dell’ufficio europeo di Amnesty.
Per quanto riguarda l’Italia “non si può ricondurre la ripresa di questa pratica a un aumento del numero degli arrivi, che seppur esiste non è così considerevole. Credo invece che si voglia sfruttare l’emergenza Covid come scusa per dare una stretta nei confronti di chi attraversa il confine. Bisognerebbe capire da chi provengono queste direttive e per quali motivi,” conclude Schiavone. Anche mettendo da parte le domande sulla legittimità di questa pratica, l’Italia si sta rendendo pericolosamente complice e corresponsabile dei più volte denunciati respingimenti violenti da parte di Slovenia e Croazia. Una vicenda sulla quale è urgente fare luce se non si vuole che a pagare siano sempre gli ultimi.