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in copertina, grab via YouTube

In un colpo gravissimo alla libertà di stampa nelle Filippine, Maria Ressa, co–fondatrice del sito di informazione Rappler, e l’ex giornalista della stessa testata Reynaldo Santos Jr sono stati condannati per “cyber diffamazione”

In una conferenza stampa dopo la sentenza, Ressa ha giurato che continuerà a combattere, dicendo che si voleva fare di Rappler “un esempio.” “La libertà di stampa è il fondamento di ogni singolo diritto che avete come cittadini filippini. Se non possiamo far rendere conto ai potenti, non possiamo fare niente.” Questo è il primo di otto casi che sono stati avanzati contro Ressa e la sua testata, tutti dopo l’elezione di Duterte nel 2016.

Un portavoce del presidente ha commentato la notizia dicendo che la sentenza andrà rispettata e che Duterte “non è mai stato alle spalle di nessun tentativo di limitare la libertà di stampa nel paese.” Una precisazione necessaria perché la storia recente del paese è un po’ diversa: in precedenza il presidente è riuscito a ottenere la chiusura di ABS-CBN, la piú grande media company del paese, e i proprietari del Philippine Daily Inquirer sono stati costretti a vendere la testata a nuovi proprietari, che per coincidenza sono sostenitori del presidente.

La debolezza del caso si commenta da sola. L’uomo d’affari, tale Wilfredo Keng, che aveva denunciato Ressa e Santos, chiedendo un risarcimento di 50 milioni di peso, equivalenti a un milione di dollari per danni: alla fine il giudice si è espresso per il pagamento dell’equivalente di “soli” ottomila dollari. Secondo il Sindacato nazionale dei giornalisti delle Filippine il caso è un “giorno buio” per il giornalismo: “questa sentenza effettivamente uccide la libertà di stampa nel paese.” Anche per il direttore regionale di Amnesty International, Nicholas Bequelin, si tratta di una sentenza “farsa”: “Le accuse contro questi giornalisti sono politiche, l’accusa era politicamente motivata, e la sentenza è completamente politicizzata,” ha commentato Bequelin.

Il caso di “cyber diffamazione” è poco solido anche a livello tecnico, perché si riferisce a un articolo pubblicato sul sito nel 2012, anni prima che la legge fosse in corso. Keng sostiene di essere stato “diffamato” perché collegato con l’allora presidente della Corte suprema, poi rimosso attraverso un impeachment.

Il conflitto tra Rappler e Duterte è di vecchia data: il sito ha pubblicato diversi reportage sulla “guerra alla droga” del presidente filippino, e ha rivelato l’esistenza di una rete di produzione di fake news in suo sostegno.