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in copertina, foto di University Alliance

Secondo uno studio condotto in Gran Bretagna, cinesi, indiani, pakistani, caraibici, asiatici e neri hanno dal 10 al 50% in più di probabilità di morte rispetto ai bianchi, per ragioni che non hanno nulla a che fare con la genetica

Un recente studio della Public Health England (PHE), ente governativo del Ministero della Salute e dell’Assistenza Sociale del Regno Unito sostiene che in Gran Bretagna, la mortalità da Covid-19 sia più alta tra la popolazione non bianca. Inquinamento, povertà, occupazione, istruzione sono gli elementi che sembrerebbero determinare questa disuguaglianza etnica, che non ha alcuna base genetica ed è determinata da fattori prettamente sociali.

Il report, intitolato Disuguaglianze nei rischi e impatti del Covid-19, ha analizzato il ruolo di diversi fattori sociali come età, sesso, occupazione, reddito, posizione geografica, che hanno mostrato risultati in linea con la mortalità del periodo pre-covid: nel Regno Unito anche per il coronavirus il rischio di essere ricoverato e di morire aumenta con il crescere dell’età, se si ha un reddito basso e si è maschi. Il dato in controtendenza invece è quello relativo alle persone di colore, che rientrano in una categoria chiamata BAME (Black, Asian, Minority Ethnic), “i cui tassi di mortalità, negli scorsi anni, erano più bassi rispetto ai bianchi britannici,” si legge nel documento governativo. Oggi, invece, i BAME in Gran Bretagna sono più esposti ai rischi del coronavirus. In particolare, secondo lo studio, i Bangladesi sono la nazionalità con la mortalità più alta, circa doppia rispetto ai bianchi. Cinesi, indiani, pakistani, caraibici, asiatici e neri hanno dal 10 al 50% in più di probabilità di morte rispetto ai white.

Tassi di mortalità molto maggiori per afroamericani e ispanici sono stati rilevati anche negli Stati Uniti. Che ci siano fattori genetici che incidono su questo dato è un’ipotesi scartata dalle attuali conoscenze scientifiche. Lo studio del Public Health England, riconoscendo di non aver preso in considerazione tutti i fattori sociali che implicano questa disuguaglianza etnica, cita una ricerca di Ewen Harrison, Annemarie Docherty, Calum Semple, condotta su 10 mila pazienti che si trovano all’interno degli ospedali nel Regno Unito. Indagando sulle associazioni tra etnia e impatto del SARS-CoV2, essa ha rilevato che “una volta inclusi nell’analisi i fattori relativi a età, sesso, obesità e patologie pregresse, non esiste alcuna differenza etnica nella probabilità di finire in terapia intensiva o di morire.” 

La disuguaglianza deriva quindi da fattori sociali. Come sostiene il report di Public Health England, “i BAME hanno maggiore probabilità di essere esposti a infezioni perché più probabilmente vivono in aree urbane e povere, abitano in case sovrappopolate e hanno lavori che li espongono a rischi maggiori.”Come ha ben riassunto sul Guardian Winston Morgan, professore di biochimica e tossicologia all’Università di East London, “l’evidenza scientifica suggerisce che il coronavirus non discrimina, ma sottolinea le discriminazioni esistenti.”

Il report del PHE è stato anche criticato per non aver citato l’inquinamento come fattore capace di influire sulla mortalità da Covid-19. Alcuni studi hanno infatti analizzato la correlazione positiva tra la mortalità e la quantità di particolato presente in atmosfera in determinate aree: una ricerca dell’Università di Harvard ha stimato che nelle regioni con più alto tasso di PM2.5 la mortalità per Covid-19 aumenti dell’8% rispetto alle altre aree. Se è vero che non è stato stabilito un rapporto di causa-effetto, è scientificamente provato che l’inquinamento dell’aria favorisca l’insorgere di alcune patologie respiratorie che rendono il corpo più debole e più esposto al Covid-19:attacchi d’asma, diabete, ictus, infarti e altre patologie cardiache.. . 

Ma le aree più inquinate del mondo sono anche quelle più densamente abitate, dove con maggior probabilità vive la fascia più povera della popolazione.
Una ricerca statunitense pubblicata sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences l’anno scorso aveva sottolineato il diseguale impatto dell’inquinamento dell’aria sui diversi gruppi sociali: a causa dei luoghi in cui abitano, gli afromericani e gli ispanici subiscono dal 56 al 63% di inquinamento dell’aria in più rispetto a quanto non ne producano. I bianchi statunitensi in media invece ne respirano il 17% in meno rispetto alla quantità di cui sono responsabili.

Come ha scritto Winston Morgan, “concentrarsi sull’idea di un fattore genetico serve solo a distrarre da questo,” ovvero da tutti i fattori sociali, politici, economici che contribuiscono ad acuire le disparità. Inquinamento, occupazione, reddito, istruzione sono elementi di disuguaglianza che il Covid-19 non fa che amplificare e mettere in evidenza.

Naomi Klein, attivista e autrice di vari celebri saggi (No Logo, Una Rivoluzione ci salverà, Shock Economy), intervistata da Le Monde, ha dichiarato: “tutte queste lotte in cui siamo impegnati, che siano la lotta contro la violenza della polizia, contro i cambiamenti climatici o per un’economia giusta, sono legate a doppio filo.”

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