Adama Traoré è stato ucciso durante un fermo di polizia esattamente come George Floyd, ma il suo omicidio è ancora senza colpevoli. Da quattro anni, i suoi familiari si battono per chiedere giustizia
“Il 19 luglio 2016, mio fratello Adama Traoré morirà. Durante un giro in bici, incrocerà un gruppo di gendarmi, e si ricorderà all’improvviso di essere uscito senza documenti. Adama verrà picchiato, gli saliranno sopra in quattro e sopporterà un peso complessivo di 250 chili. Adama dirà loro: Non riesco a respirare.”
Queste le parole di Assa Traoré, la sorella di Adama, intervistata da Konbini alla fine di gennaio 2020. Dalla morte del fratello, per la quale ad oggi nessun agente di polizia è stato ancora condannato né messo sotto processo, Assa e il Comité Adama hanno ripreso le redini di un movimento civile contro le violenze delle forze dell’ordine esteso a tutta la Francia e che nasce, nella sua versione contemporanea, dalle famose rivolte delle banlieues del 2005.
In tutte le autopsie richieste dalle parti risulta senza dubbio che Adama sia morto per asfissia. Ma sulle cause, le perizie divergono in modo sostanziale (vi ricorda qualcosa?). Da pochi giorni è uscito un ennesimo rapporto autoptico sul corpo del giovane, nel quale il ragazzo viene definito soggetto di origine africana e, senza fare menzione del placcaggio a terra da parte dei poliziotti, la causa dell’asfissia viene ritrovata in un difetto cardiaco, che avrebbe portato il cuore a soffrire di un edema cardiogenico.
Secondo la famiglia, la compressione della cassa toracica durante il fermo sarebbe la sola ed unica causa della morte del giovane, mentre un’ulteriore perizia ritrova in alcune malattie pregresse quali la sarcoidosi e la drepanocitosi la causa del decesso, che unite ad un considerevole sforzo avrebbero causato l’asfissia. Questo sforzo non sarebbe tuttavia il placcaggio a terra bensì il pregresso giro in bici durante il quale il ragazzo viene fermato. La distanza percorsa da Adama? 450 metri. Per chiedere giustizia, oggi 2 giugno 2020 è previsto un presidio di protesta davanti al Tribunale di Parigi.
Assa nel video nomina anche Lamine Dieng (morto nel 2017 a 25 anni nel quartiere parigino di Belleville), Hakim Ajimi (morto nelle Alpi Marittime nel 2008 a 22 anni) e Ali Ziri (deceduto a 69 anni nel 2008 ad Argenteuil, nella banlieue nord di Parigi), tre vittime del placcaggio a terra per le quali nessun rappresentante delle forze dell’ordine è stato condannato o messo sotto processo. Il giorno dopo la morte di George Floyd, nel 20esimo arrondissement parigino un uomo di nome Amara Touré verrà fermato dalla polizia e bloccato a terra con il collo schiacciato. Dopo qualche secondo dall’inizio del video che filma l’accaduto, visibile sul profilo Instagram di Assa Traoré, si sentiranno in sottofondo i poliziotti intimare al collega che mantiene fermo Amara di fare attenzione à sa tête, e si vedrà l’uomo lasciare la presa, pur mantenendo il fermato immobilizzato a terra.
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Da quando la famiglia Traoré ha iniziato la propria lotta per una giustizia processuale, quattro dei fratelli di Adama sono stati in prigione, e la sorella Assa ha ricevuto varie denunce a suo carico tra cui un rinvio a giudizio per avere detto la frase: “Adama, i gendarmi ti hanno ucciso ma non potranno uccidere il tuo ricordo.”
I Traoré hanno molto in comune con i Cucchi: in entrambi i casi le sorelle delle vittime si sono scontrate con il sistema giudiziario e poliziesco e contro l’insabbiamento della vicenda per denunciare la morte dei fratelli sotto la custodia dello Stato (Adama verrà dichiarato morto nella gendarmeria di Persan due ore dopo essere stato fermato).
Le morti causate dai fermi di polizia sono all’origine anche dei famosi moti del 2005 nelle banlieues francesi. Il 27 ottobre di quell’anno, Zyed Benna e Bouna Traoré (17 e 15 anni) muoiono per elettrocuzione nel tentativo di scappare da una pattuglia di polizia a Clichy-sous-Bois, nella periferia nord della capitale.
Le proteste iniziano la sera stessa e si allargano rapidamente a circa 80 comuni nei dintorni di Parigi e poco dopo a circa 200 banlieues in tutta la Francia. Per tre settimane, la nazione è messa in stato di emergenza e la società viene sommersa da questa rabbia repressa, con radici profonde. Le due morti furono la famosa goccia che ha fatto traboccare il vaso, riempito di una violenza molto più sottile e che prevedeva una quasi totale impunità per le forze dell’ordine, colpevole di soprusi quotidiani indirizzati alle comunità che vivevano nelle periferie e nelle cité.
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A partire dalla fine degli anni Sessanta, le zone ad alta densità di abitanti, trasformate durante i “Trenta Gloriosi,” si popolarono di nuove comunità arrivate in Francia dalle ex colonie. Le caratteristiche strutturali di questi quartieri e un discorso politico che ne reiterava un’idea negativa hanno fatto sì che nel giro di pochi anni diventassero delle vere e proprie polveriere di risentimento e rancore nei confronti dello Stato e dei suoi rappresentanti. Lo politica locale e nazionale non ritenne importante intervenire per risolverne i problemi, e già nel 1979 scoppiarono le prime rivolte nel quartiere della Grappinière, nella periferia di Lione. Da questo momento in poi lo scontro non fece altro che accelerare, e per tutti gli anni Ottanta e Novanta varie zone periferiche saranno al centro di numerose ondate di rivolta, tra cui quelli del ‘94 a Rouen, le cui immagini verranno inserite nel titoli di apertura del film La Haine (che festeggia in questi giorni i 25 anni dall’uscita, avvenuta il 31 maggio 1995) fino ad arrivare alle più famose e violente del 2005.
La politica non perse tempo per spiegare in tutti i modi che le rivolte non erano legate né alla legislazione francese né alla situazione socio-economica in cui le periferie erano state relegate. L’allora ministro delegato al Lavoro Gérard Larcher affermò nel 2005 che una delle cause delle violenze era “la poligamia delle famiglie immigrate,” che sarebbe stata anche “una delle cause della discriminazione razziale sul mercato del lavoro che colpisce le minoranze etniche che vivono in Francia.”
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Anche l’allora ministro dell’interno Nicolas Sarkozy aveva riconosciuto nella poligamia la causa degli scontri: “Ci sono più problemi per un figlio di un immigrato dall’Africa nera o dal Nord Africa che per un figlio di svedesi, danesi o ungheresi. Perché la cultura, la poligamia, le origini sociali lo rendono più difficile.” Prima ancora, nel 1991, il futuro presidente della Repubblica francese Jacques Chirac aveva pronunciato il suo famoso discorso le bruit et l’odeur (il rumore e l’odore) mettendosi nei panni di un “padre di famiglia, francese, con due o tre figli che vive in una casa popolare e non arriva a 15.000 franchi al mese,” che vede il vicino di pianerottolo immigrato “con tre o quattro mogli e una ventina di figli, che guadagna 50.000 franchi di prestazioni sociali, senza naturalmente lavorare!”, arrivando alla conclusione che l’inquilino francese non poteva che diventare pazzo, soprattutto se a questo si aggiungono “il rumore!… e l’odore!”.
La colpa venne data anche al mezzo di opinione più diffuso tra i giovani, il rap. Come ci ricorda Michael Olivier sul Guardian (e nella sua traduzione italiana su Internazionale n. 1359), già nel 1995 i Ministère Amer vennero denunciati e gli NTM addirittura condannati a sei mesi di carcere per aver scritto dei versi contro la polizia. Gli scontri nel 2005 non hanno fatto altro che allargare questo sentimento di odio e rancore ai vertici dello Stato, l’offesa alla dignità della Repubblica divenne un reato addirittura punibile col carcere e i rapper vennero accusati di incitazione alla violenza e razzismo contro i bianchi.
Assa Traoré viene intervistata pochi giorni dopo la morte di Cédric Chouviat, deceduto il 5 gennaio 2020 a seguito di un fermo di polizia durante il quale viene usato il placcaggio a terra. Questa tecnica, che ha causato la morte di George Floyd negli Stati Uniti, è da anni sotto accusa da parte dei movimenti contro le violenze poliziesche francesi : “Se ci avessero ascoltato, Cédric non sarebbe morto,” commenta la donna nel video.
Nonostante il caso Chouviat abbia avuto una risonanza a dei livelli più alti del normale nella scala politica francese, ad oggi non ci sono ancora novità processuali al riguardo e l’avvocato che difende i poliziotti, Laurent-Franck Lienard, ha dichiarato che: “Se si viene controllati e ci si oppone [i poliziotti] faranno uso della forza. […] Se si fa uso di violenze contro di loro, loro avranno ragione, perché questo è il principio democratico: l’uso della forza deve rimanere dalla parte della Legge,” presupponendo quindi che il caso non dovrebbe neanche sussistere, e che la morte di Cédric sia stata una spiacevole e involontaria conseguenza di un corretto uso della forza.
Biblio-filmografia
Assa Traoré, Elsa Vigoureux, Lettre à Adama (non ancora disponibile in italiano), 2017
Laurent Mucchielli, Véronique Le Goaziou, I giovani e la violenza. Una questione aperta, 2010
Guido Caldiron, Banlieue. Vita e rivolta nelle periferie della metropoli, 2005
Umberto Melotti, Le banlieues, 2007
Matthieu Kassowitz, La Haine (L’odio), 1995
Ladj Ly, 365 jours à Clichy-Montfermeil, 2007
David Dufresne, Christophe Bouquet, Quand la France s’embrase, 2007
In copertina: 16 marzo 2019, manifestazione per Adama Traoré a Place de la République, Parigi, via Facebook
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