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in copertina, foto via Facebook

Secondo un articolo della Stampa, gli occupanti della comunità autogestita di corso Ciriè a Torino avrebbero pestato e allontanato un uomo nigeriano perché non poteva pagare un affitto. Ma secondo gli attivisti le cose non sono andate affatto così

Domenica, la Stampa di Torino ha pubblicato una notizia su una vicenda che ha coinvolto un uomo di nazionalità nigeriana e gli occupanti dello Spazio popolare Neruda. Non sappiamo dire quanto fossero solide le fonti della Stampa, ma la versione dei fatti pubblicata dalla testata desta qualche perplessità — specie se la si mette a confronto con quanto sostengono gli occupanti.

Partiamo dal titolo. Che afferma: “Torino, picchiato a sangue perché non pagava l’affitto.” Prosegue poi il sommario: “La vittima è un nigeriano di 39 anni. È stato aggredito davanti allo Spazio Popolare Neruda.” Si tratta di accuse davvero pesanti, che infatti hanno sollevato un polverone dalle parti di corso Ciriè, dove abita la comunità autogestita. Questo spazio è stato occupato nel 2015 come risposta alla crisi abitativa della città e oggi ci vivono circa 130 persone, tra cui una trentina di bambini, che provengono da più di 8 paesi diversi. Lo spazio, prima di essere occupato, era un istituto per conciari caduto in disuso. Grazie all’occupazione ora è una realtà attiva, dove è data ospitalità ai migranti e si organizzano corsi di doposcuola, di lingua italiana, feste, giochi, cineforum e presentazioni di libri.

Il fatto in questione è accaduto venerdì scorso. Un uomo nigeriano è stato allontanato dall’abitazione perché, secondo le dichiarazioni dei membri che ci vivono, da mesi non rispettava le regole che la comunità si era data, mettendo a rischio la salute dei residenti. Tra le altre cose, continuava a invitare liberamente ospiti anche durante la pandemia, ignorando le misure di restrizione imposte dal governo e rischiando di diffondere il contagio all’interno del Neruda: sarebbe stata questa la goccia a far traboccare il vaso. Lui, invece, ha raccontato alla Questura di essere stato picchiato da 15 di loro perché non riusciva a pagare l’affitto a causa del Covid–19: è questa la versione che la Stampa ha deciso di raccontare, lasciando anche intendere, in modo inqualificabile, che ci fossero degli interessi sessuali nei confronti della moglie del nigeriano.

foto via Facebook

Le accuse sono pesanti perché picchiare “a sangue” qualcuno significa colpirlo con molta violenza, procurargli dei danni gravi e mettere a rischio la sua vita. Altrettanto grave è l’accusa che per vivere nello spazio si debba pagare un affitto: un’accusa che va d’accordo con le insinuazioni sull’istituzione di non meglio precisati “racket” dell’occupazione, diventando effettivamente “nuovi padroni,” e accusando, implicitamente, di duplicità morale. È un’accusa pesante ma molto comune che viene rivolta a chi aiuta a gestire gli spazi occupati, come è successo a fine 2018 al Giambellino, quando nove persone sono state arrestate con l’accusa di essersi effettivamente sostituite ad Aler nella gestione di appartamenti popolari. È proprio questa accusa a risultare particolarmente infamante agli occhi degli occupanti, perché l’articolo ha giustamente definito il Neruda “il quartier generale della lotta agli sfratti,” ricordando come durante l’emergenza avesse lanciato degli appelli a “non pagare gli affitti ai padroni,” salvo poi essere i primi a pretendere l’affitto e a comportarsi da padroni con gli immigrati.

È evidente quali sono le reazioni che può suscitare una notizia riportata in modo così parziale, senza raccontare anche l’altra versione dei fatti e il modo in cui si sono difesi i diretti interessati. Il primo commento che troviamo appena sotto l’articolo infatti recita: “Ma i centri sociali non stavano dalla parte dei più bisognosi…degli emarginati…di chi è all’angolo? Botte ai nigeriani e felpe North Face…da cosa differiscono…dai fasci che tanto dicono di combattere?.” Mentre nella pagina Facebook della Stampa di Torino, uno scrive: “Ma come: invitano a non pagare gli affitti ai padroni e poi sono i primi a pretenderli, peraltro per qualcosa che non appartiene loro.”

Infatti le cose sembrano essere andate in modo un po’ diverso. Sull’episodio dell’aggressione, Alice, che vive al Neruda da 5 anni, ci ha spiegato: “lui ha dato in escandescenze quando non lo abbiamo più fatto entrare. Ovviamente c’è stata della tensione, non è stata una scelta indolore. C’è stato anche uno scontro, ma se fosse stato veramente picchiato a sangue dubito che dopo qualche ora si sarebbe ripresentato qui: alle 4 di mattina è tornato da noi e ha tentato di entrare forzando la porta. Dopo aver capito che non sarebbe più rientrato, ci ha insultati per un’ora. Adesso passiamo pure per razzisti, ma le decisioni vengono prese collettivamente, da tutti. È stata una scelta unanime quella di estromettere il signore nigeriano dalla comunità; purtroppo, vivendo in un contesto piuttosto complicato, non possiamo permetterci che certe regole non vengano rispettate.”

Sulla questione dell’affitto invece, Loris, che vive lì da 3 anni, ha dichiarato a the Submarine: “Sono accuse infamanti, il cui vero bersaglio è la nostra reputazione. La realtà viene capovolta completamente: ci sono 130 persone che vivono qui da 5 anni che sanno perfettamente che nessuno paga niente. L’accusa di chiedere un affitto alle persone qua dentro, al di là delle conseguenze giudiziarie che potrebbe comportare, va totalmente contro tutto ciò per cui lottiamo quotidianamente. Sostenendo che combattiamo gli affitti per essere poi i primi a rivendicarli, veniamo dipinti come degli speculatori della peggior specie, che vanno in giro a raccontare storielle e poi a casa loro fanno tutt’altro. Anche quelli della Questura probabilmente sanno che qui nessuno paga l’affitto, però è una trovata che gli torna utile per giustificare un eventuale sequestro, ulteriore repressione nei nostri confronti o anche semplicemente per screditare le nostre battaglie.”