Il primo Ramadan in quarantena, visto dai giovani musulmani italiani
“La quarantena non ci ha fermato, siamo sui social insieme. Ci sono molti lati positivi: abbiamo apprezzato nuovi valori come la pazienza e il senso di maturità”
Fanous Ramadan sono le “lanterne della speranza” che illuminano le strade delle città del medio e del vicino Oriente, nel mese sacro alla comunità musulmana. Nei mercati tradizionali di quelle regioni se ne possono trovare di tutte le dimensioni, colori, fatture. Anche al Cairo, la capitale egiziana dove ha avuto origine questa tradizione. Il Cairo è anche la città di origine di Ziad, che vive a Milano stabilmente dal 2012, lavorando come informatico.
Ziad ha 22 anni ed è arrivato in Italia per raggiungere il padre, partito qualche anno prima per cercare lavoro. Quest’anno, suo padre ha costruito una lanterna fatta di cartone e carta velina rosa. “In passato i bambini mettevano una candela dentro a questa lanterna e cantavano una canzone. Adesso funziona con le lampadine. I miei genitori ci portavano sempre a comprarla. Era molto importante per noi,” racconta Ziad.
La tradizione egiziana fa risalire Fanous al periodo dei Fatimidi, intorno al decimo secolo. Secondo una delle storie raccontate da Ziad, il califfo — che nella tradizione islamica indica il sovrano successore di Maometto — usciva nella notte per capire se fosse arrivato il mese del Ramadan, seguito da tanti bambini con le lanterne. Nel calendario arabo il Ramadan è il nono mese dell’anno: “Per sapere che è arrivato un nuovo mese arabo si deve guardare la luna. Si chiama Hilal, la luna crescente,” spiega Ziad.
Dal racconto del suo Ramadan milanese si intuisce la nostalgia dei ricordi del Cairo, dove il mese del digiuno assume una dimensione totale, una ricorrenza paragonabile alle settimane che precedono il Natale o la Pasqua. “Si digiuna dall’alba al tramonto. I primi Ramadan li ho fatti in Egitto. All’inizio in Italia non riuscivo a digiunare la giornata completa. Mia madre mi costringeva a non farlo perché è più duro,” racconta Ziad. In questo periodo al Cairo il sole tramonta alle 18:45, invece a Milano alle 20:50. Digiunare è più difficile, soprattutto in un paese che non si adatta ai ritmi della comunità religiosa: “In Egitto il mese di Ramadan è un po’ come una vacanza, come agosto. Qui non è così.” Per Ziad l’impatto con la realtà italiana non è stato semplice: “All’inizio non era così speciale, mi sentivo solo. Nel 2015 poi ho conosciuto le comunità islamiche di Milano. Il primo Ramadan che ho fatto con loro è stato il più bello. Ho imparato tante cose sulla mia religione con una mentalità islamica occidentale più aperta, qualcosa che non conoscevo prima.”
Il Ramadan quest’anno è diverso per tutti, a causa ovviamente della pandemia che ha colpito tutto il mondo, senza badare alla fede religiosa. “La quarantena non ci ha fermato, siamo sui social insieme. Ci sono molti lati positivi: abbiamo apprezzato nuovi valori come la pazienza e il senso di maturità,” racconta Ziad. Su Instagram è molto attiva la comunità dei Giovani musulmani d’Italia (Gmi), con dirette giornaliere e ospiti da tutto il mondo. Si parla di religione in chiave moderna, di meditazione, consapevolezza di sé e anche di come le nuove tecnologie influenzino la spiritualità. Zoom e Skype sono diventate le piattaforme ideali per condurre preghiere e riflessioni di gruppo in quarantena.
Il modo fondamentale per avvicinarsi ad Allah durante il Ramadan è la preghiera, che scandisce le giornate dall’alba al tramonto. Le elenca Zaccaria, milanese di 24 anni: “Mi sveglio alle 3:30 e faccio un piccolo pasto prima del digiuno. Mangio un po’ di cioccolato fondente, cereali e un danone. Poi facciamo la preghiera del mattino (fajr) e mi collego online con altri giovani per fare il ‘ricordo di Dio.’ Dopo una persona del gruppo fa una riflessione personale.” Tra studio e riposo, seguono gli altri momenti di preghiera: duhr (a mezzogiorno), asr (alle 17:30), maghrib (per la rottura del digiuno) e ishaa, l’ultima preghiera, alle 22:50. “Dopo ci sono le preghiere non obbligatorie, che solitamente si svolgono in moschea e si chiamano taraweeh.” Il lockdown non ha cambiato il Ramadan di Zaccaria, ma gli ha permesso di passare più tempo con la famiglia: “In un periodo normale passo la maggior parte della giornata all’università,” dove studia ingegneria meccanica.
L’islam è la seconda religione per numero di credenti in Italia, dopo quella cattolica. I musulmani in Italia sono due milioni e mezzo secondo le ultime stime, 1 milione e 400 mila tra gli stranieri secondo il rapporto Ismu. Il rapporto tra Italia e islam viene strumentalizzato costantemente, con polemiche mediatiche e politiche di ogni tipo. L’ultima in ordine cronologico riguarda la conversione di Silvia Romano, la cooperante sequestrata dai terroristi di al-Shabaab e liberata il 9 maggio dopo un anno e mezzo di prigionia tra Kenya e Somalia. Spesso la parola musulmano — “chi crede nell’Islam” — viene confusa più o meno inconsciamente con “islamico,” parola connotata negativamente negli ultimi anni. Ma le cose stanno cambiando, soprattutto tra le nuove generazioni. Una rappresentazione nuova è raccontata Skam Italia, serie tv alla quarta stagione che vede tra le protagoniste Sana Allagui, adolescente italo tunisina che affronta le difficoltà di portare il velo in una società non sempre accogliente. Ne ha parlato Aya Mohammed, blogger e attivista nata in Egitto e cresciuta a Milano, nell’ultima puntata di Chiamando Eva.
Durante il Ramadan le moschee e i centri di preghiera diventano un luogo di aggregazione sociale dove si prega, si consumano i pasti in modo comunitario e si fa beneficenza. I pasti nelle moschee sono sempre gratuiti. Quest’anno la condivisione è avvenuta grazie alla distribuzione dei pacchi per i bisognosi. “Non è solo mese di digiuno materiale, ma anche di digiuno dalle cattive azioni, dalle malelingue. Il musulmano cerca di digiunare sotto vari livelli. Le preghiere serali sono importantissime per consolidare il rapporto con Dio ed è anche il mese della carità e della donazioni,” spiega Yassine Lafram, presidente dell’Unione delle comunità islamiche d’Italia.
La convivialità è un altro tratto fondamentale del mese del digiuno: “In questo Ramadan è mancata tantissimo la vita comunitaria. Le famiglie si scambiano le visite. Il pasto che rompe il digiuno è un momento di socializzazione della comunità. Siamo dispiaciuti ma la crisi vale per tutti. Come le festività pasquali sono passate in un certo modo così è per noi,” spiega Lafram.
L’Iftar, la cena dopo il digiuno, avviene in famiglia: “Cosa mangiamo? Dipende da cultura a cultura. Noi mangiamo solitamente una zuppa tipica, c’è un dolce di sfoglia con miele, un po’ di insalata pesce e focaccine ripiene con carne tritata o pollo,” risponde Zaccaria. La tentazione di Ziad sono invece i dolci tipici egiziani preparati dalla madre: “Mi alleno due volte al giorno per questo!” Il 24 maggio i festeggiamenti per Id al-ftir, la festa della rottura del digiuno si terranno quasi sicuramente in famiglia. “Si tratta di una grande festa. Abbiamo deciso di sospendere tutte le celebrazioni preventivamente,” spiega Lafram. Le chiese riapriranno ufficialmente il 18 maggio, ma non i luoghi di culto delle altre minoranze, comprese le moschee: “Si poteva gestire meglio la comunicazione e trovare una data per tutti. La Cei ha trovato la data del 18 maggio. Aspettiamo le date per il nostro tavolo.”