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in copertina, foto via Facebook

Mentre la crisi esaspera le disuguaglianze, le misure di sostegno messe in campo dalle istituzioni sono spesso insufficienti. Come in altre città, anche a Milano molti attivisti si sono organizzati per raggiungere i più deboli

Milano è tra le città con le disuguaglianze più stridenti di tutta Italia. Secondo i dati elaborati dal Sole 24 ore alla fine dello scorso anno, il capoluogo lombardo è la città con il reddito complessivo più alto, ma anche una di quelle che presentano le variazioni di stipendio più ampie. Con l’anno nuovo è arrivata anche l’emergenza Covid-19. Come tutte le grandi crisi, anche questa ha portato in evidenza e ha esasperato le contraddizioni sociali già esistenti. Molte famiglie di ogni classe si sono trovate a vedere ridotte da un giorno all’altro le proprie fonti di reddito. Chi già apparteneva alle fasce meno abbienti si è trovato in difficoltà maggiore, con il rischio di finire strozzato tra affitti insostenibili, mutui e spese varie.

Per più famiglie del solito, anche andare al supermercato e permettersi una spesa dignitosa, in queste settimane, è diventato un problema. Il comune di Milano ha provato a venire incontro alle esigenze di questa parte della cittadinanza tramite un programma di buoni spesa nel contesto del programma Milano Aiuta, per cui hanno presentato domanda 36.000 famiglie. Non è un’iniziativa esclusiva del Comune di Milano: i buoni spesa sono stati resi possibili da uno stanziamento apposito di 400 milioni di euro deciso dal governo ormai a fine marzo. Il 7 maggio, inoltre, il sindaco Sala ha annunciato lo stanziamento di altri 2 milioni di euro per l’erogazione di buoni spesa, per altre 5.000 famiglie, che si andranno ad aggiungere alle 15.000 che già lo ricevono. È evidente che questo provvedimento non è stato sufficiente a far fronte a tutte le situazioni di necessità, come ha dichiarato lo stesso Sala. Cosa succede a chi viene lasciato fuori?

Elena è un’attivista e volontaria, che milita nel CSOA Cantiere. Insieme ad altri compagni consegna spese solidali in sella alla sua bicicletta, nell’ambito, appunto, del progetto “Staffette del mutuo soccorso.” Ci ha raccontato che “le famiglie a cui consegnamo non potrebbero entrare nei criteri per i buoni spesa previsti dal comune. Tante persone restano escluse, ad esempio, per il fatto che è necessario avere la residenza. Occupanti e migranti spesso non ce l’hanno, e rischiano di rimanere senza mangiare, oltre che senza casa.”

Il programma di aiuti del Comune di Milano è stato criticato proprio perché i suoi criteri escludono dal novero dei beneficiari proprio alcune tra le categorie più a rischio. Un episodio simile a quanto accaduto anche per i bonus per il pagamento dell’affitto, che, come fatto notare da Francesco Floris in un articolo su Affari italiani, escludono molti inquilini residenti in tutto e per tutto a Milano — tranne che per l’anagrafe. Inoltre, le modalità di presentazione della domanda erano non del tutto chiare, venendo interpretata da molti come aperta anche a chi aveva difficoltà di natura varia o del tutto slegate dall’emergenza Covid-19.

Dove non arrivano le autorità pubbliche, per fortuna, intervengono le molte realtà di volontariato che a vario titolo e con diversa ispirazione politica cercano di raggiungere tutti coloro che ne hanno bisogno. “Esisteva già prima uno spazio di mutuo soccorso, con l’idea di portare mutualismo e solidarietà. Tra i progetti c’era anche il GASP, che sta per Gruppo di acquisto solidale popolare.” Quello che Elena e i suoi compagni fanno ora ne è un’evoluzione. “Ci siamo siamo chiesti: come vengono esasperate dalla crisi le condizioni sociali? Come proseguire? Così ci siamo inventati le staffette di mutuo soccorso, persone che scelgono la bici per portare spese — solidali e no — a chi ne ha bisogno.”

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Le staffette di mutuo soccorso sono attive soprattutto nel quartiere di San Siro, dove accanto al lusso e ai progetti di stravolgimento edilizio c’è anche una delle realtà abitative popolari più grandi di Milano — e tra le peggio gestite dalle istituzioni, soprattutto dall’azienda regionale Aler. In questo quartiere molte persone si trovano in situazioni precarie da prima dell’emergenza Covid-19, e ci sarebbe la necessità di un programma di ampio respiro da parte delle istituzioni anche in tempi normali.

L’idea del mutuo soccorso è insomma una risposta a uno spazio politico lasciato vuoto dalle istituzioni, spesso più lente nell’affrontare i problemi rispetto a quanto può fare una comunità di quartiere. “In breve tempo le spese solidali sono cresciute esponenzialmente,” ci racconta Elena. Le spese sospese sono coperte da un crowdfunding presso il GASP, a cui chiunque può lasciare un contributo. Il progetto, inoltre, vuole sottolineare come anche in tempo di crisi sia opportuno scegliere cibo sostenibile e di qualità. “Mangiar bene non è un lusso. Il mutualismo contempla anche una sensibilità ecologica.”

Durante periodi come questo, infatti, è molto facile che conquiste sociali e culturali, ottenute magari con sforzi di mesi o anni, vengano rapidamente rimesse in discussione, o addirittura demolite. La sostenibilità ecologica della città è in generale uno di questi ambiti a rischio — e lo si è visto in modo molto vistoso, ad esempio, con la diminuzione dell’uso dei mezzi pubblici a causa del rischio di contagio, reale o percepito. 

La filiera alimentare è tra i settori in cui si registrano i maggiori sprechi e problemi di sostenibilità. Recup è un’associazione che si occupa di redistribuire tutto quello che è ancora commestibile ma che viene buttato via in quanto avanzato, ammaccato, e in generale non adatto alla vendita, lavorando soprattutto nei mercati rionali. Durante questa crisi, nonostante la lunga chiusura dei mercati scoperti lombardi, Recup ha trovato il modo di coniugare la gestione degli sprechi con la solidarietà alle fasce più colpite dall’emergenza economica.

“È la quinta settimana in cui siamo impegnati con comune e Sogemi all’ortomercato,” ci spiega Alberto, un membro dell’associazione. “Da lì aiutiamo il comune a creare i sacchetti per le famiglie bisognose, implementati da magazzini di Croce rossa e Banco alimentare.” Nel momento in cui parliamo con Alberto, alla fine della scorsa settimana, di sacchetti se ne fanno circa 1000 al giorno. “Oltre ad aiutarli a fare questo, gestiamo le eccedenze: tutto l’ammaccato lo usiamo per darlo a enti e persone che non hanno codice fiscale.”

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Fuori dal sistema di assistenza comunale, infatti, resta “tanta gente,” come ci conferma anche Alberto. “Abbiamo aiutato T28 in via Padova, associazione CAF in Zona 5, Zam, Lambretta. Ora stiamo cercando di lavorare con Emergency. Ognuna di queste realtà ha 50, 60 famiglie” che in questo momento si sono rivolte loro per assistenza alimentare. Anche Recup ha registrato un aumento delle situazioni che necessitano di un aiuto.

“Abbiamo notato più richieste di aiuti, sì. Si è notato come in due settimane sia scoppiato tutto. Ci è difficile coprire la domanda, perché ci sono più persone che hanno bisogno rispetto al solito.” Ma per Recup, questa crisi è anche un’opportunità di approfondire il lavoro di contrasto agli sprechi che l’associazione svolgeva già prima della pandemia. “Per noi è un passo avanti perché possiamo contrastare lo spreco più a monte, all’Ortomercato. Finora siamo riusciti a recuperare una tonnellata e mezza di alimenti di questo tipo. D’altronde gli enti ufficiali non possono mettere nel sacchetto una melanzana ammaccata…”

Il lavoro di Recup è interessante anche perché si interseca con quello del comune di Milano, andando a integrare la realtà messa a disposizione dall’autorità cittadina, Milano Aiuta. Fin dall’inizio del lockdown, quando è stato chiaro che nel giro di poco tempo la città avrebbe dovuto chiudere le proprie attività per un periodo di tempo indefinito, Palazzo Marino ha accettato e chiesto la collaborazione di varie realtà di volontariato, che costituiscono uno dei tessuti sociali più importanti di Milano — nonostante spesso non ricevano il riconoscimento che meritano. 

Se questa collaborazione è senza dubbio positiva, deve anche imporre una serie di riflessioni sul ruolo e l’adeguatezza delle istituzioni nell’affrontare non solo una crisi come questa, ma anche la precarietà ordinaria.

Appoggiandosi alle associazioni di cittadini e militanti, le stesse istituzioni riconoscono che quanto possono mettere in campo per affrontare l’emergenza non è sufficiente, ed è necessario appoggiarsi a realtà esterne. Ciò significa mettere una parte del peso della gestione della crisi sulle spalle della responsabilità individuale, come è stato fatto molto spesso negli ultimi tre mesi. Realtà di volontariato e di associazionismo svolgono un ruolo delicatissimo senza nessun mandato politico e nessun obbligo, spinti unicamente dal senso civico di chi si sente mobilitato a collaborare.

Tra queste realtà c’è anche Rimake, un centro sociale occupato attivo soprattutto nella zona di Milano Nord. Rimake cerca di fornire una gamma di assistenza ampia, che va dal babysitting all’orientamento sindacale. “Abbiamo cominciato all’inizio con le spese solidali per chi non poteva uscire,” ci racconta Piero, un attivista di Rimake che in queste settimane si è occupato dell’assistenza alimentare. “Poi sia per queste che per lo sportello solidale si è manifestata una fascia di popolazione che aveva difficoltà a pagare. Abbiamo lanciato l’idea delle spese sospese.” 

Il meccanismo delle spese sospese, dunque, è tra i più diffusi per riuscire a mettere in campo una mutua assistenza efficace. “Finora abbiamo osservato due modalità di contributo da parte di chi vuol dare una mano: c’è chi ha chiesto di pagare una spesa per volta a qualcun altro e chi invece ha versato direttamente su un conto corrente.” Non è una sorpresa che anche Rimake abbia notato un aumento delle richieste di aiuto. “Da quasi un mese abbiamo ricevuto diverse decine di telefonate di persone che ci hanno raccontato e chiesto una mano. La maggioranza di chi chiama ha lavori saltuari, informali, che non possono accedere in forma sicura a sussidi. Badanti, lavoratori di cooperative eccetera, che non facendo ore di lavoro non prendono stipendio.”

Per certi versi, Rimake si integra col Comune. “La domanda per i buoni spesa è stata presentata da 36 mila persone e concessa a meno di metà. Il bando era un po’ ambiguo, sembrava potessero aderire anche persone con difficoltà precedenti a Covid. Invece no, e molte persone potenzialmente bisognose non hanno potuto essere aiutate. Ci stiamo integrando col comune, non sostituendo a loro.” L’approccio di Rimake si inserisce nel tentativo non solo di sfamare chi ne ha bisogno, ma di fornire anche — attraverso i meccanismi del mutuo soccorso — gli strumenti per occupare un posto nella società con la giusta dignità personale. “Il nostro è un sistema che si integra in vari passaggi,” conclude Piero. “Diamo un aiuto immediato, ma cerchiamo di far fare a queste persone un percorso verso l’ottenimento di sussidi, di assistenza sindacale, insomma di costruire una loro autonomia, non solo di dargli da mangiare questa settimana.”

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