Su Silvia Romano la stampa italiana ha perso un’altra occasione per non fare schifo

Dopo un anno e mezzo di prigionia Silvia Romano è stata liberata. Ma i giornali italiani sono più preoccupati a raccontare la sua conversione spontanea all’Islam e a infangarne l’immagine, che a spiegarne lucidamente la liberazione.

Su Silvia Romano la stampa italiana ha perso un’altra occasione per non fare schifo

Dopo un anno e mezzo di prigionia Silvia Romano è stata liberata. Ma i giornali italiani sono più preoccupati a raccontare la sua conversione spontanea all’Islam e a infangarne l’immagine, che a spiegarne lucidamente la liberazione

Il 10 maggio è tornata in Italia Silvia Romano, dopo una prigionia lunga 18 mesi tra Kenya e Somalia. La notizia dovrebbe essere questa, ed essere esclusivamente un fatto positivo: una storia drammatica, che potrebbe avere un finale tragico, si conclude con un lieto fine. Invece no: la sua conversione all’Islam, di cui i cronisti parlavano ancora prima che l’aereo che ha riportato Romano a casa atterrasse a Roma, è stata presentata come un “giallo” o come un “mistero,” e ha praticamente oscurato, su tutte le testate nazionali l’unica notizia davvero rilevante: Silvia Romano, dopo diciotto mesi, è tornata a casa sana e salva.

La conversione di Silvia Romano all’Islam, stando alle dichiarazioni date ai magistrati e alla sua famiglia, sarebbe stata spontanea e derivata dalla lettura del Corano durante la prigionia. L’annuncio ha gettato però la stampa italiana nello scompiglio più totale. Appena atterrata a Ciampino, Romano ha detto di stare bene “fisicamente e mentalmente.” Poi davanti agli inquirenti ha ricostruito i mesi del proprio rapimento, dicendo di essere stata trasferita in diversi covi e di non aver subito violenze. Dichiarazioni, peraltro, che pur essendo state rilasciate a magistrati e ROS sono arrivate in mano alla stampa italiana, che le ha solertemente pubblicate — va notato, comunque, che regna ancora una grande confusione ed è lecito diffidare dei vari retroscena che sono proliferati oggi sulle testate del nostro paese.

In Italia sono pochi i giornalisti che hanno un’idea di cosa voglia dire restare ostaggio per diciotto mesi in un paese in stato di guerra civile a bassa intensità, in mano a bande di ispirazione jihadista. Inoltre sembra non ci si sia preoccupati granché dell’opinione di giornaliste, come Giuliana Sgrena, che in passato hanno vissuto le stesse esperienze di Silvia Romano. Eppure tutti i giornali italiani si sono permessi di commentare la sua persona.

Come potete facilmente immaginare, i giornali-spazzatura della destra stamattina danno il peggio di sé: Libero titola “Abbiamo liberato un’islamica,” il Giornale “Islamica e felice, Silvia l’ingrata” — con l’occhiello “Schiaffo all’Italia” — La Verità “Conte e Di Maio fanno uno spot e un dono ai terroristi islamici.” Se volete rovinarvi la giornata, potete vedere le prime pagine qui.

Il problema però non è solo questo: anche giornali in teoria più progressisti e misurati hanno infatti ceduto al clima d’odio collettivo. Repubblica ad esempio ha deciso di pubblicare un editoriale che sembra trasudare diffidenza e odio verso tutto ciò che è islamico — quindi ora anche verso Romano, descritta come dotata di “due volti,” con quello visto ieri a Ciampino che “ha conosciuto il tocco del male” e a cui “toccherà dirci […] cos’è successo in questo lungo tempo. Le foto, purtroppo, parlano già tanto.” Preoccupandosi comunque di specificare che è diventata “musulmana, non fondamentalista.”

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Sempre Repubblica tiene aperta anche la teoria della conversione forzata scrivendo: “L’ipotesi di un’adesione forzata all’Islam sarebbe suffragata anche da una notizia circolata nei mesi scorsi, secondo cui la giovane cooperante sarebbe stata costretta a sposare uno dei carcerieri.” Ovviamente non c’è nulla di dimostrabile e questa notizia, come abbiamo già scritto, è stata smentita dalla Romano. E dalla stessa Repubblica, che poche righe sopra riporta le dichiarazioni della cooperante scegliendo, evidentemente per convenienza, di tenere aperta anche la teoria complottista.

Dove non arriva lo schifo fascistoide di Libero o il Giornale insomma arriva il paternalismo della stampa “giusta,” che agisce in modo non dissimile da quanto aveva fatto Gramellini nel suo tristemente famoso editoriale in cui dichiarava che Romano avrebbe fatto meglio a pensare ad altro per soddisfare “le sue smanie d’altruismo.” La stampa italiana è evidentemente condizionata dal fatto che Silvia Romano è una donna giovane che dichiara di aver scelto liberamente di abbracciare una religione — qualcosa di inconcepibile.

È importante notare come, oltre alla xenofobia e al razzismo, si uniscano nell’odio verso Romano anche il più coriaceo e fastidioso maschilismo italico, che considera le donne e i loro corpi una proprietà, su cui vorrebbe avere dominio totale: vestendoli e svestendoli a proprio piacimento. Quello che più sembra turbare l’opinione pubblica e la stampa italiana, infatti, non è che Silvia Romano si sia convertita all’islamismo: quanto, piuttosto, che abbia scelto di mostrarsi come diversa, che si sia mostrata, con gli abiti che ha indossato per il suo rientro in Italia, straniera. Il titolo sulla prima pagina di Libero di oggi parla in modo chiaro: convertendosi Silvia Romano avrebbe scelto da che parte stare, a quale fazione appartenere. Sembra inconcepibile che una donna abbia potuto prendere una decisione in totale autonomia, e senza con ciò voler tradire nessuno.

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Se Silvia Romano si fosse convertita all’islam ma fosse scesa dall’aereo in maglietta e calzoncini forse nessuno avrebbe battuto ciglio. Averla vista invece indossare, addirittura, un velo che le copre il capo, sembra invece un affronto troppo grande. Una buona prova di questa vera e propria ossessione della stampa italiana — la stessa che porta a scrivere articoli di fuoco contro il burkini, ad esempio — sono i molti articoli che addirittura parlano dei suoi abiti, come questo di ANSA, o che titolano sui suoi “abiti islamici” — che sono, in realtà, abiti che si usano ora in Somalia dopo quasi venti anni di guerra civile, ma che non sono per nulla gli abiti somali “della tradizione” (che sono invece abiti coloratissimi, come dirac e guntiino).

Il 10 maggio sui social è circolata anche un’altra fake news su una presunta gravidanza di Romano. Tra le testate che hanno alimentato la questione va citata Il Tempo, che riporta alcuni commenti che hanno accompagnato il video dell’arrivo di Silvia Romano in Italia. In un articolo intitolato “Silvia Romano incinta? Il dubbio sui social: la mano sospetta sulla pancia” Giada Oricchio, senza prendere alcun tipo di posizione in merito alla vicenda scrive: “Mentre parla si porta la mano più volte sull’addome come una carezza sulla pancia. Un gesto automatico che ha scatenato le illazioni degli internauti: Perché si mantiene sempre la pancia, mica è incinta?!, Pensiero random, anche a voi Silvia Romano sembra incinta?, Comunque secondo me è incinta, Ah ecco perché è stata rimpatriata, è in dolce attesa, Mi sbaglierò, ma credo sia incinta, Anche a voi sembra incinta? Si toccava continuamente la pancia, Se fosse davvero incinta, sarebbe un ulteriore trauma da superare, Domanda stupida, ma è tornata da sola oppure sono in due?, Silvia Romano si toccava la pancia durante l’intervista e secondo me non è perché si sente ingrassata.” Domanda stupida.

Silvia Romano ha dichiarato di non essere incinta, e anche questa ipotesi conferma l’interesse morboso che la stampa e l’opinione pubblica hanno mostrato nei suoi confronti. Ma, nonostante la smentita, la questione è stata ripresa poi da Massimo Giletti in una trasmissione in prima serata che ha alimentato un vortice di gossip in cui sono stati immersi milioni di spettatori — a molti di questi il sospetto che Romano sia veramente incinta sarà sicuramente rimasto innestato, assieme alle altre falsità circolate nelle ultime ore.

Di certo c’è che Silvia Romano è stata liberata. Ma per l’opinione pubblica e la stampa italiana evidentemente non ha il diritto di essere libera davvero.

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