A Foggia la quarantena non ferma la mafia

Lo scorso 1° aprile un ordigno è esploso davanti alla RSA “Il Sorriso di Stefano”: il terzo in tre mesi. È l’opera di una delle mafie più feroci e meno conosciute in Italia.

A Foggia la quarantena non ferma la mafia
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Lo scorso 1° aprile un ordigno è esploso davanti alla RSA “Il Sorriso di Stefano”: il terzo in tre mesi. È l’opera di una delle mafie più feroci e meno conosciute in Italia.

Il 1° aprile di fronte alla Residenza sanitaria assistenziale “Il Sorriso di Stefano” un uomo viene inquadrato dalle telecamere di sorveglianza mentre si avvicina alla saracinesca della struttura e accende un ordigno, che esplode danneggiando l’edificio e le auto posteggiate di fronte. È il terzo attentato in 89 giorni ai danni della stessa struttura sanitaria o dei suoi gestori, i fratelli Luca e Cristian Vigilante — manager della società “Sanità Più” che insieme al fratello e al suocero Paolo Telesforo gestisce “Il Sorriso di Stefano” — e rafforza una consapevolezza: la mafia non uccide solo d’estate, come raccontava il bel film di Pif, ma colpisce anche durante la quarantena.

L’escalation della violenza foggiana

A Foggia si parla ancora del corteo antimafia del 10 gennaio scorso, a cui hanno preso parte circa 20 mila persone. Il titolo dell’iniziativa era inequivocabile: “Foggia Libera Foggia.” Perché la sensazione, già allora, era quella di una città occupata. Il 3 gennaio un ordigno piazzato sotto l’automobile di Cristian Vigilante esplode, fortunatamente senza ferire nessuno. “Con il primo episodio abbiamo fatto diverse ipotesi: il tentativo di un nuovo racket, vecchie vicende giudiziarie, intimidazioni mafiose” ci racconta lo stesso Luca Vigilante.

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Ma il 16 gennaio successivo, meno di una settimana dopo la manifestazione antimafia, esplode un nuovo ordigno. Questa volta i criminali si accaniscono contro il centro diurno per anziani “Il Sorriso di Stefano,” ferendo una donna. “Se al primo attentato abbiamo pensato al racket, al secondo l’abbiamo escluso perché è chiaro che se qualcuno vuole estorcere qualcosa — prosegue Vigilante — spingendoti verso la protezione dello Stato, poi non sarà più in grado di avvicinarti.” La sua famiglia però decide di non arrendersi. Ed ecco il nuovo attentato, quello del 1° aprile: uno scherzo, un Pesce d’Aprile, un nuovo messaggio da interpretare, come stabilisce la grammatica mafiosa. “L’ultimo episodio è un episodio di violenza pura: in un momento drammatico per via della pandemia, viene collocata una bomba di tale potenza in una zona centrale della città,” ragiona Vigilante. “Da tutto ciò traspare una cosa: chi pone in essere questi atti non fa un atto intimidatorio, che di solito avviene di notte, ma di violenza pura nei confronti di persone già in una situazione difficile, che sono saltati sulla sedia per i vetri rotti e hanno subito danni alle automobili.”

La mafia foggiana, la più brutale in Italia

Tre attentati nel giro di tre mesi, a cui si aggiungono almeno altri tre episodi analoghi all’inizio dell’anno. Sono la fotografia della situazione pugliese, e in particolare di quella foggiana. La stessa che ha scattato la Direzione Investigativa Antimafia, nell’ultima relazione semestrale: “In generale gli ambienti malavitosi della regione, mafiosi e di delinquenza comune, continuano a manifestare forme di aggressività e violenza.” Violenze che nonostante le continue operazioni di Polizia proseguono indisturbate, come dimostrano i recenti fatti di cronaca, e che continuano a crescere. Come ha riconosciuto la stessa DIA, quella pugliese è una mafia che fa “un disinvolto ricorso ad armi, anche da guerra, ed esplosivi, e infine nei confronti di appartenenti alle Forze di polizia o di funzionari pubblici.”

Quella pugliese è una mafia che pur trovandosi lontana dall’immaginario collettivo della criminalità organizzata siciliana e campana, e in maniera simile a quella calabrese, controlla militarmente il territorio portando avanti i suoi traffici e uccidendo, forte della noncuranza dell’opinione pubblica nazionale. “Per noi è una sensazione nuova, sicuramente la percezione di un fenomeno uscito completamente allo scoperto,” riflette Vigilante. Un fenomeno articolato, quello della malavita pugliese, che attualmente si suppone sia composto da tre formazioni principali: la mafia foggiana — a sua volta articolata in società foggiana, mafia garganica e malavita cerignolana — la criminalità barese e la sacra corona unita. Insieme questi gruppi criminali costituiscono la quarta mafia italiana: quella apparentemente meno potente, ma allo stesso tempo fra le più brutali in attività.

Nata nel 1979 — secondo gli storici della criminalità, con la benedizione del boss camorrista Raffaele Cutolo, ‘o Professore, all’epoca confinato in Puglia — negli ultimi anni ha avuto un’evidente scalata al potere criminale. È qui per esempio che le cosche albanesi si sono saldate a quelle italiane per realizzare uno dei principali mercati della marijuana: secondo la Relazione annuale della Direzione Centrale per i Servizi Antidroga, la Puglia risulta la prima regione italiana per sequestro di canapa, con oltre 16 mila chilogrammi di merce sequestrata. Ed è ovvio che i sequestri sono maggiori lì dove il mercato è più fiorente: basta osservare che in Puglia i sequestri sono tre volte quelli siciliani. Situazione simile anche per quanto riguarda la coltivazione della cannabis, dove la Puglia rappresenta la seconda regione italiana dietro la Calabria.

La droga, tuttavia, è solo la punta dell’iceberg, il viatico per il controllo del territorio e di affari molto più grandi. E di business da gestire, qui, ce ne sono innumerevoli. Il traffico di armi, per esempio, importate in Italia attraverso il canale di Otranto dai paesi balcanici, coi quali la mafia pugliese intrattiene stretti rapporti criminali. Ma anche il traffico di esseri umani alla base della prostituzione e dello sfruttamento dei lavoratori nei campi agricoli, con l’odioso fenomeno del caporalato. Non è un caso se il 6 agosto 2018, proprio in provincia di Foggia, si è ribaltato un furgone che trasportava lavoratori in nero, provocando la morte di dodici persone. La criminalità organizzata pugliese, tuttavia, non è capace di gestire solamente i traffici criminali tradizionali, ma anche quelli delle mafie più moderne. Uno su tutti, quello delle scommesse online: un business redditizio, che trova sponde anche in Calabria e in Sicilia, ma che termina quasi sempre in società con sede a Malta.

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E il potere intimidatorio, per una mafia capace di gestire questi traffici, c’è e si sente. Non solo nel tessuto sociale, ma anche nelle trame istituzionali. Lo dimostrano, per esempio, i recenti scioglimenti per infiltrazioni mafiose delle amministrazioni comunali di Cerignola e Manfredonia, entrambi in provincia di Foggia. Senza dimenticare poi le continue sortite nel mondo politico, con il più classico voto di scambio.

Per la mafia foggiana la quarantena rischia di essere un’opportunità

Se questo scenario è già di per sé preoccupante, la quarantena può ulteriormente peggiorare la situazione. Lo ha spiegato perfettamente il Procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero De Raho: “La crisi sanitaria è una crisi economica e sociale. Dunque, una questione criminale. Non c’è crisi che non sia una grande opportunità per le mafie.” Una crisi di cui anche la mafia foggiana potrebbe approfittare per penetrare ancora di più nella società, nell’economia e nelle istituzioni. Dunque, come combattere questo rischio? “La prima risposta devono darla gli inquirenti, per comprendere il fenomeno e dare una risposta giudiziaria. Tutto il resto ha un valore importante, ma non può arrivare alla comprensione di questo fenomeno,” — conclude Vigilante, ricordando il caso della rinascita di Bari. “C’è bisogno di un approccio intensivo sul tema della legalità e della protezione del territorio. Bisogna emarginare quelle situazioni che non sposano queste pratiche.”