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Dopo il decreto italiano, anche Malta ha deciso di chiudere i porti alle navi umanitarie, e per la prima volta anche Tripoli ha riconosciuto di non essere “un porto sicuro.” A pagarne le conseguenze sono le centinaia di persone che continuano a scappare dall’inferno libico

Mentre centinaia di persone continuano ad essere intercettate in mare dalla “guardia costiera” per essere riportate nei centri di detenzione del paese — soltanto a marzo sono state più di 600, secondo Alarm Phone — ieri le autorità di Tripoli hanno dichiarato che la Libia non è un porto sicuro, rifiutando lo sbarco a 280 persone che, al momento in cui scriviamo, risultano ancora bloccate su una nave sovraffollata della stessa “guardia costiera.” La causa dello stallo, secondo l’OIM, sono i bombardamenti in corso nella zona.

La decisione arriva a un giorno di distanza dal decreto del governo italiano, firmato dai ministri Di Maio, Lamorgese, Speranza e De Micheli, che di fatto ha chiuso i porti italiani alle navi umanitarie fino al termine dell’emergenza sanitaria, ma solo quelle battenti bandiera straniera — motivo per cui si è parlato di un provvedimento “ad navem,” specificamente emanato per non concedere un porto di sbarco alla Alan Kurdi della Ong tedesca Sea-Eye. Nonostante si tratti di un provvedimento che inasprisce il “decreto sicurezza bis” di Salvini e presenta diversi profili di criticità dal punto di vista della legittimità internazionale, la sua emanazione finora non ha prodotto conseguenze politiche rilevanti. Un gruppo di deputati e senatori della maggioranza ha sottoscritto un appello per chiederne la revoca, ma il governo non ha dato segno di voler accogliere la richiesta.

Ieri anche Malta ha dichiarato di non poter garantire i salvataggi in mare, poco dopo un’ultima operazione di soccorso condotta dalla marina maltese — e dopo le accuse, riportate da Alarm Phone, di aver attaccato e sabotato il motore di un’imbarcazione di migranti in difficoltà. Nella comunicazione che il governo della Valletta ha inviato all’Unione europea si legge che “tutte le persone salvate in mare, che potrebbero anche soffrire di Covid-19, devono essere protette da ogni minaccia vitale, e devono anche vedere soddisfatte le proprie necessità primarie.” Paradossalmente, la posizione ufficiale dei governi europei è che rischiare di morire in mezzo al Mediterraneo sia meglio che rischiare di ammalarsi di Covid-19 sulla terraferma.

Con la decisione delle autorità libiche, nel Mediterraneo centrale si è venuta a creare una situazione di “vuoto” normativo senza precedenti. Che la Libia fosse un porto sicuro era una finzione a cui ufficialmente non credeva nessuno, ma su cui ha continuato a basarsi finora il sistema di respingimenti messo in piedi dall’Italia e dall’Europa. Ora, per la prima volta, è lo stesso governo di Tripoli a confermare di non poter garantire l’incolumità delle persone intercettate in mare e riportate nel paese. Dove, tanto per fare un esempio, solo a marzo 27 strutture ospedaliere sono state danneggiate dai combattimenti, e 14 hanno dovuto chiudere, mentre nei centri di detenzione garantire le misure di sicurezza anti-contagio è quasi sempre impossibile.

Di fronte a questa doppia emergenza — sanitaria e umanitaria — i governi europei hanno deciso di girare la testa dall’altra parte, trovando nella pandemia un pretesto per istituzionalizzare, finalmente, il regime di omissione di soccorso che da tempo vige come norma “non scritta” nel Mediterraneo centrale. Oggi è il quinto giorno di navigazione per i 150 naufraghi soccorsi dalla Alan Kurdi, e di fronte al rifiuto dei governi italiano, maltese e tedesco non è chiaro quando si potrà sbloccare la loro situazione.

Tutto questo, però, non ferma le partenze di chi cerca di fuggire dall’inferno libico per raggiungere l’Europa. Nella notte sono state trasferite a Porto Empedocle 73 persone soccorse dalla Guardia costiera e dalla Guardia di finanza a sei miglia da Lampedusa. Dopo gli sbarchi autonomi dei giorni scorsi e le proteste dei cittadini, il sindaco dell’isola Salvatore Martello è tornato a prendersela con il governo, ma non per la mancanza di un sistema adeguato di soccorso che garantisca a tutti la possibilità di fare domanda d’asilo, come previsto dal diritto internazionale e come ci si potrebbe aspettare da un paese civile. Ovviamente no: Martello è arrabbiato perché “il porto di Lampedusa continua a restare aperto.”


In copertina, foto via Twitter.