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Tra meme, sciabole e lanciafiamme, il presidente della regione Campania sta sfruttando l’emergenza sanitaria per guadagnarsi la rielezione.

Vincenzo De Luca governa a modo suo da prima della rinnovata fama raggiunta in questi giorni di quarantena: dal giorno del suo insediamento alla regione promette di bonificare la Campania, di risanare la sanità regionale — all’epoca della sua ascesa commissariata — e dai primi giorni dell’epidemia di nuovo coronavirus presenta in video le previsioni dei posti letto occupati dai contagiati per giustificare le proprie misure eccezionali.

La sua personalità pubblica oltremodo aggressiva gli ha meritato tempo fa anche l’imitazione di Maurizio Crozza. In questi giorni di emergenza nazionale, il governatore non ha mancato di offrire nuovo materiale al comico, con quelle battute al vetriolo che l’hanno fatto diventare, da sindaco di una media città del sud Italia come Salerno, una vera e propria icona della comicità italiana, elogiata persino da Carlo Verdone per la scelta dei tempi umoristici.

De Luca, il Pol Pot campano

Del resto, la migliore immagine di Vincenzo De Luca l’ha fornita lui stesso, nel 2010, al termine di un comizio per le elezioni regionali campane a Piazza del Plebiscito a Napoli: “Come avrei voluto aprire il comizio? Dicendo che mi stava scoppiando il cuore per la gioia. Ma era una cosa troppo tenera, io devo difendere la mia immagine di carogna.” E il Presidente della regione Campania quell’immagine l’ha sempre difesa, a qualsiasi costo: duro e sferzante con chiunque e con qualsiasi mezzo. Non a caso i suoi avversari politici a Salerno, visti i suoi trascorsi nella fila del Partito Comunista Italiano, lo appellavano col poco edificante nomignolo di “Pol Pot,” il dittatore cambogiano capo degli Khmer rossi.

La stessa immagine di cui il presidente De Luca ha fatto uso nelle ultime settimane, quelle della pandemia che, solo in Campania, ha provocato oltre duemila contagi e più di cento decessi. Ecco De Luca pronto a schierare i “Carabinieri col lanciafiamme” — video rilanciato persino dalla top model Naomi Campbell — per stigmatizzare la voglia di festeggiare dei neo laureati, o le mascherine di “Bunny il coniglietto” per criticare gli aiuti sanitari inviati dalla Protezione civile. Questo campionario di frasi hanno spinto Vincenzo Iurillo del Fatto Quotidiano — testata redatta da quelli che De Luca, orgoglioso dei suoi processi giudiziari, definiva “giornalisti pipì” — a delinearne un ritratto impietoso: “Quel che gli storici sicuramente diranno è che De Luca fu un politico e un uomo violento. Nel linguaggio e non solo». E del resto, del suo fare bellicoso, De Luca ne ha fatto un mantra. Come quella volta che, rivolgendosi all’opposizione nel Consiglio regionale campano, come un novello Sun Tzu, ammise candidamente: “Se volete collaborare, bene. Se volete le sciabole, meglio.”

E qualche volta, l’attuale Presidente della regione Campania ha anche minacciato di usarle per davvero, le sciabole. Come quella volta che, durante la sua prima presentazione alla regionali campane, dichiarò: “Mi è capitato di sentire quel grandissimo sfessato di Travaglio, che aspetto di incontrare per strada al buio qualche volta a Roma.” O come quella volta che, dopo l’elezione a presidente della regione — “minacciato” di decadenza per effetto della cosiddetta Legge Severino — confidò a un giornalista della trasmissione di Canale 5 Matrix: “È stata una cosa infame che ha fatto questa, da ucciderla”, riferendosi al Presidente della Commissione parlamentare antimafia, Rosy Bindi. Ancora una volta, umorismo e violenza verbale: un dolce veleno da distillare contro chiunque.

Dalle lotte contadine, alla guida della regione Campania

Per comprendere appieno la personalità di Vincenzo De Luca, però, è necessario fare un ulteriore salto indietro nel tempo. Precisamente nel 1999, in occasione delle Elezioni europee, presso la sede storica del Partito Comunista Italiano napoletano, che in quegli anni ospitava i Democratici di Sinistra. Durante la discussione, narra la leggenda, De Luca insieme a un compagno di partito, uscì per prendere un po’ d’aria. Nei pressi, di piazza del Plebiscito — fra le piazze più grandi d’Italia — De Luca iniziò a contare i passi da una parte all’altra dell’emiciclo. Giunto alla fine, si rivolse all’altro: «La vedi questa piazza? Quella che farò io a Salerno sarà un passo più grande».

Da sindaco di Salerno, infatti, quel sogno non l’ha mai abbandonato. Si chiama, almeno per il momento, piazza della Libertà: uno slargo da 27 mila metri quadrati, duemila in più di piazza del Plebiscito che si ferma a 25 mila. Quando sarà terminata, visto che i lavori — fra sequestri dell’area e ditte di costruzioni fallite — proseguono a singhiozzo, sarà la ciliegina sulla torta di una trasformazione edilizia di cui De Luca si intesta ogni merito. Non è un caso che, dalle parti di Salerno, venga soprannominato Vicienzo ‘a funtana per la sua smania di abbellire ogni angolo della città, in un’improbabile quanto eterna competizione col capoluogo partenopeo.

Eppure, Vincenzo De Luca non è salernitano di nascita. Classe 1949, l’attuale Presidente campano nacque a Ruvo del Monte, in provincia di Potenza. Solo successivamente si trasferì a Salerno, dove frequentò il liceo prima e l’università dopo. Il suo impegno politico iniziò fra le fila dell’Alleanza Contadini, che poi confluirà nel PCI. Fu in questi anni, probabilmente, che apprese quella capacità di parlare alla pancia del popolo e i metodi ruvidi che oggi lo contraddistinguono. Per tutti gli anni Ottanta, poi, De Luca guidò la Federazione provinciale del partito, fino ad approdare nel Consiglio comunale di Salerno nel 1990.

Arrivarono gli anni di Tangentopoli, quando a Salerno fu arrestato il sindaco Vincenzo Giordano. De Luca, nel frattempo diventato vice sindaco, assunse il controllo della città e, da quel momento, non lo lascerà più. Avvertita l’aria della Seconda Repubblica, nel 1993, seppur con difficoltà, riuscì a farsi eleggere sindaco. Seguirono dieci anni di dominio incontrastato, segnati dal 71% di preferenze raccolte alle successive elezioni del 1997. Nel 2001 non potè ricandidarsi, perché la legge vieta un terzo mandato consecutivo. Così alla guida di Salerno pose un suo fedelissimo, Mario De Biase, mentre lui fu eletto alla Camera dei deputati. Sarà riconfermato anche nel 2006, ma la sua natura è quella di sindaco. Così a giugno di quello stesso anno, vinse le elezioni amministrative e fece ritorno a Palazzo di Città.

Salerno è sua, ma, già dal 2010, l’obiettivo diventa Palazzo Santa Lucia, sede della giunta regionale campana. Sembra un controsenso da parte di chi ha abbandonato Roma per un più modesto ruolo di sindaco. Invece, è proprio della logica di quell’uomo che attraversando la piazza più importante di Napoli, si ripromette di costruirne una ancora più grande in una città per natura seconda al capoluogo. Lo dimostra anche il governo della regione stessa: dal 1970 sono appena cinque i presidenti non napoletani, appena uno salernitano: si tratta di Gaspare Russo, ma erano gli anni a cavallo fra il ‘76 al ‘79. Poi trionfa sempre quel napolicentrismo, che De Luca non nasconde di voler abbattere. A vincere, in effetti, è comunque un non-napoletano: si tratta del molisano, solo adottato da Napoli, Stefano Caldoro. De Luca scalpita, a malapena resiste alla tentazione di dare l’assalto al palazzo della regione e non esita a lanciare le solite battute al vetriolo. Fino a quando, in un remake della prima, vince contro il presidente uscente e si prende ciò che, di fatto, ritiene suo.

L’emergenza sanitaria e il secondo mandato da Governatore

L’emergenza sanitaria rappresenta anche un’occasione, come furono le manette nel 1992. Le regionali sono alle porte e De Luca, già prima dell’emergenza, ha chiarito di volersi candidare per un secondo mandato. Poco importa se con il Partito democratico e il Movimento 5 stelle a sostegno. Proprio come negli anni delle sue prime esperienze da sindaco, e forse anche più di allora, è consapevole che il decisionismo che l’ha sempre contraddistinto rappresenta l’arma per vincere ancora una volta la sfida contro il napolicentrismo. Ed ecco spiegata la linea dura adottata dal governo deluchiano perché, peraltro, sia l’unico fra i politici dentro e fuori dai confini campani — persino Matteo Salvini è attualmente fermo — che, anche in questo periodo, stia investendo in advertising sui social network. Sono gli stessi strumenti di analisi di Facebook a dare i dati: dal 23 al 29 marzo, 1.645 euro di sponsorizzate per acquisire nuovi fan sulla sua seguitissima pagina, la stessa dove lancia i suoi strali contro i trasgressori della quarantena. E le opposizioni? Già indecise sul da farsi prima della pandemia — si era parlato della discesa in campo del ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, e dello stesso ex presidente della Campania, Stefano Caldoro — sono ovviamente fermi. E così De Luca ha un’immensa prateria dove proporsi ancora alla guida della Campania.

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