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in copertina, foto via Flickr

Nelle ultime settimane oltre all’aumento dei contagi stiamo prendendo confidenza con un altro problema, quello legato alla salute mentale degli operatori sanitari e delle persone costrette da quasi un mese all’isolamento. 

È indubbio che il nuovo coronavirus lascerà una risacca sia economica sia psico-sociale, soprattutto per i soggetti più fragili. L’isolamento ha infatti un impatto psicologico che si rivela solo dopo la fine dell’emergenza. “Non ci sono dati certi sugli effetti della quarantena, è una situazione abbastanza inedita per l’Europa. Sars e Mers avevano una differenza sostanziale: non esistevano gli asintomatici. Dal punto di vista gestionale sono state epidemie più facili e con una percezione più immediata della gravità della malattia e della necessità della quarantena.” Ce lo ha spiegato Anna Giulia Curti, psicoterapeuta di Pavia e membro del gruppo di lavoro We Care Psichiatria, che ha creato una task force di psicologi contro il nuovo coronavirus.

L’articolo dei ricercatori del King’s College pubblicato il 26 febbraio 2020 sulla rivista scientifica The Lancet Journal, ha fatto il punto della situazione sul nuovo coronavirus e sulle possibili ripercussioni della quarantena sulla salute mentale delle persone. Gli autori, confrontando cinque studi comparativi sulle precedenti epidemie, come Sars nel sud est asiatico o Ebola in Africa centrale, indicano che tra i soggetti in quarantena il personale medico e gli operatori sanitari sono la categoria più esposta a rischi da stress post-traumatico, depressione e ansia. “Uno studio condotto sul personale medico entrato in contatto con il virus Sars — riporta l’articolo — sottolinea che il fatto di essere stati sottoposti a quarantena è il fattore più legato all’insorgenza dei sintomi da stress post traumatico acuto.” Questo stress, riporta lo studio, è più grave per il personale ospedaliero che nel resto della popolazione sottoposta a quarantena. Tra le conseguenze della quarantena per il personale ospedaliero ci sono il distanziamento sociale e dai pazienti al lavoro, anche dopo la fine della quarantena. “Oltre al rischio personale di contrarre il virus, queste persone sono fisicamente nel centro dell’emergenza. Per loro non c’è solo l’emergenza sanitaria nazionale, ma centinaia di corpi, malati e input quotidiani da gestire. Insieme al rischio di essere portatori asintomatici per le famiglie,” spiega la psicoterapeuta. 

Il gruppo We Care ha attivato un servizio gratuito su tutto il territorio nazionale, dedicato all’emergenza coronavirus e in particolare all’elaborazione del lutto, agli attacchi di panico e una linea d’ascolto per il personale medico e sanitario, attiva dalle 20 alle 23 fino al venerdì. 

“Per elaborare informazioni delicate serve una certa riflessività. Il personale sanitario non ha nemmeno un momento di tregua tra ospedale e casa, temendo di portare il contagio tra i propri cari. Per le persone che restano a casa c’è invece la possibilità di avere uno spazio mentale sicuro,” commenta Curti. La vulnerabilità del personale sanitario è inoltre aggravata dalla scarsa disponibilità di materiale di protezione individuale adeguato, turni interminabili e pressione costante provocata dal continuo afflusso di pazienti agli ospedali. I tagli alla sanità pesano infatti sulle spalle di medici, infermieri e Oss e si traducono durante l’emergenza in uno stress ulteriore sulla categoria. Il 30 marzo erano già 61 i medici morti sul lavoro a causa dell’infezione da nuovo coronavirus.

Le iniziative di supporto psicologico alla quarantena sono tante. Unicef, Médecins du Monde, Mediterranea si sono mobilitate per fornire servizi di cura della salute fisica e mentale dei migranti, che spesso non hanno accesso al medico di base. C’è anche il servizio garantito dall’Ordine degli psicologi della Lombardia, con un numero di telefono attivo tutti i giorni dalle 8 alle 18 e coordinato da associazioni e federazioni attive in tutte Italia. “Ci chiamano le persone che hanno il coraggio di farlo. Da un confronto tra colleghi, ci siamo resi conto che chi ha realmente bisogno non chiama.” Un problema acuito anche, paradossalmente, dalla quantità di servizi, offerti in maniera frammentata. “In questo momento ci sono anche troppi numeri verdi. Dobbiamo razionalizzare,” commenta la dottoressa Raffaella Buzzi, psicoterapeuta della Federazione psicologi per i popoli, che aderisce all’iniziativa.

Nel momento di maggiore bisogno, i soggetti vulnerabili sono messi ulteriormente a rischio se non riescono a chiedere aiuto. È una certezza anche per le donne vittime di violenza, costrette al confinamento in casa con mariti o compagni violenti. Lo testimoniano la cronaca e i dati resi noti dalla rete dei centri antiviolenza: nella settimana dall’8 al 15 marzo, nel pieno dell’emergenza coronavirus, le telefonate al 1522 — il numero di emergenza per le donne vittime di violenza — si sono ridotte del 55%, rispetto allo stesso periodo del 2019.

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A rischio, secondo lo studio riportato su the Lancet, sono anche le persone che hanno precedenti o situazioni di disagio psichiatrico. In Lombardia sono attivi 91 Cps (Centri per la prevenzione della salute mentale), 21 solo a Milano. L’attività dei centri diurni è stata ridotta o chiusa totalmente, e gran parte del personale sanitario è stata dirottata sugli ospedali, come da ordinanza dell’assessore regionale Gallera e confermato da operatori del settore che hanno preferito rimanere anonimi. Continuano invece i servizi residenziali, di lunga degenza e ricoveri. Anche a Padova, dove esercita la dott.ssa Buzzi, la situazione non cambia: “In questo momento i Cps funzionano a ranghi ridotti o non stanno funzionando. Le persone sono a carico delle famiglie. I centri diurni sono al momento sospesi o funzionano in remoto: una telefonata al giorno, se va bene. Di solito i Cps tendono a lavorare in gruppo.”

Gli autori dello studio concedono che queste conclusioni fossero prevedibili,, ma indicano come “sia preoccupante aver verificato casi di quarantena tra le ragioni di stress post traumatico, anche dopo mesi o anni dalla fine di questa.” Da qui la necessità di prevedere azioni contro gli effetti della quarantena a partire dall’inizio del confinamento. Tra i fattori che influenzano positivamente la popolazione in quarantena ci sono una corretta informazione, la definizione di tempi e modalità di confinamento precise, l’assenza di stigma e l’adozione di comportamenti sociali altruisti.

Un gruppo di ricercatori delle università di Singapore e dell’Hubei ha realizzato un sondaggio sugli effetti psicologici del coronavirus, con un questionario online che ha coinvolto 1210 persone coinvolte nell’epidemia di coronavirus in 194 città cinesi. I risultati sono stati pubblicati dall’International Journal of environmental research and public health. È il primo studio che misura gli effetti sulla salute mentale del nuovo coronavirus, dalla chiusura di Wuhan, il 23 gennaio. Il 53,8% degli intervistati ha indicato l’impatto psicologico dell’epidemia tra moderato a grave. La ricerca individua tre gruppi socio-demografici più esposti a depressione e ansia provocati dal nuovo coronavirus: le donne, le fasce meno istruite e gli studenti. Gli ultimi sarebbero più a rischio a causa dell’incertezza provocata dalla diffusione del virus, e dai suoi effetti negativi sui risultati accademici.