in copertina, foto cc AnankeBot
La psicosi portata dal nuovo coronavirus non è un danno solo per l’economia del nostro Paese, ma soprattutto per i lavoratori che da qualche giorno sono costretti a rimanere a casa con molte incognite sul loro futuro.
Per contenere l’epidemia di nuovo coronavirus, la Regione Lombardia, di concerto con il Ministero della Salute, ha emanato un’ordinanza che prevede la chiusura di scuole e luoghi di ritrovo, impedendo le aperture serali di pub, discoteche e locali, vietando anche ritrovi privati e manifestazioni.
Senza valutare o contestare se si tratti di una reazione proporzionata al pericolo posto dal Covid–19, è impossibile non notare come si tratti di misure prese senza considerare le conseguenze su un eventuale lungo periodo, un po’ come se ci trovassimo di fronte a una lunga nevicata che copre tutto il Nord Italia, e non a una crisi che merita una gestione più complessa. Esempio lampante di questa gestione pressapochista è proprio nella chiusura delle scuole, dove per ore non è stato chiaro se si trattasse di una chiusura effettiva degli istituti o una sospensione dell’insegnamento — ovvero, se dirigenti e personale ATA dovessero comunque recarsi a scuola. Un po’ come se chi stesse scrivendo l’ordinanza non fosse nemmeno a conoscenza della differenza.
Il clima di panico e le chiusure obbligatorie di alcuni tipi di locali dopo le 18 danneggiano in particolare, ovviamente, le persone più esposte, che lavorano a chiamata, come finte partite IVA, o in nero. Abbiamo raccolto le testimonianze di alcune di loro.
Gioachino*, 26 anni, barista
“Faccio il barista, principalmente in orari serali. Ero in attesa di un contratto a chiamata; lavoro da novembre, e fino ad ora andavo avanti con collaborazione occasionale (che per legge sono massimo 4 ore al giorno, il resto lo prendevo in nero).”
— Quanti giorni ti hanno detto che ti fermerai a causa del nuovo coronavirus?
“In verità non mi è stato comunicato niente, ieri ho svolto normalmente il mio ultimo turno per questa settimana. Ero stato chiamato per coprire alcuni turni serali, e ora non ce n’è più necessità. Per coprire l’orario fino alle 18 bastano i miei colleghi, che hanno contratto di apprendistato. Attendo i turni di settimana prossima, ma so che si potrebbe anche decidere di chiudere il locale, se i clienti calassero drasticamente. ”
— La reazione dei tuoi capi ti ha spaventato? Ti senti ricattato?
“Per ora i miei capi sono scocciati e sconfortati. Più che spaventato e ricattato da loro mi sento scemo a non avere insistito prima per avere almeno il contratto a chiamata, che forse mi darebbe qualche tutela in più (ma sarebbe comunque poca roba). Mi sento ricattato dalle bollette e dalle spese che dovrò affrontare d’ora in poi, non sapendo quanto riuscirò a portare a casa a fine mese, visto che non si può sapere quanto dureranno le misure di emergenza.”
Mentre parlavamo con Gioachino, è arrivata conferma dai suoi capi che i lavoratori con contratto sono da considerarsi in ferie. Il locale resterà chiuso fino a venerdì, e poi riaprirà sabato e domenica dalle 10 alle 18.
“Fatta presente la mia situazione di vulnerabilità ai colleghi, la responsabile turni (una collega in regola, non tra i gestori del locale ndr) si è offerta di far lavorare me nel weekend per solidarietà.”
Beatrice, 28 anni, cameriera
“Lavoro in un ristorante e in un bar su turni diversi. Il primo resta aperto secondo l’ordinanza che comunque risulta poco chiara a molti del settore. Il secondo ha chiuso nell’orario serale a partire da oggi come da indicazioni, il che significa niente lavoro per me fino a data da destinarsi.”
“L’ambiente della ristorazione prevede normalmente molti rischi a livello igienico nella quotidianità, anche senza nuovo coronavirus. Parlo di persone differenti che di volta in volta e di giorno in giorno entrano ed escono, senza che tu possa sapere dove siano state, chi siano; di contatto ravvicinato a distanze anche inferiori al metro talvolta, contatti con piatti, posate e bicchieri dai quali i clienti mangiano e bevono. Oggi noi camerieri di sala abbiamo lavorato coi guanti in lattice alle mani, consapevoli che non è sufficiente; e che se volessimo evitare i rischi, potremmo deliberatamente decidere di starcene a casa.”
“La mia conclusione è che pur contro i miei stessi interessi, non è logico né di aiuto procedere con un protocollo che chiuda determinati ambienti al pubblico come i bar solo dopo le 18 — ma fino alle 18 tutto bene perché abbiamo a che fare con un virus zombie notturno che al calare del sole inizia a mietere vittime evidentemente — e allo stesso tempo tenga aperte senza alcuna misura preventiva luoghi come i ristoranti e altre tipologie di esercizio. Avrei di gran lunga compreso di più una chiusura imminente e totale, anche se questo avrebbe comportato restare senza lavoro per due settimane e forse oltre. Ad ogni modo, il ristorante oggi era vuoto, i dintorni e le strade semi deserte.”
“Il virus non mi spaventa, come sta portando ad agire e intervenire sì. Ed è un realizzare più duramente del solito che aldilà dei provvedimenti del governo è l’italiano medio a non essere pronto: culturalmente, emotivamente, economicamente.”
Amilcare, 29 anni, audioprotesista con contratto a partita Iva
— Pensi che la tua situazione sarebbe stata più gestibile se fossi stato assunto con un contratto?
“Certo. Avrei più tranquillità se avessi la copertura sanitaria. Se chiudono io perdo e basta, ma se avessi un contratto potrei basarmi sullo stipendio. Ho un fondo, l’Enasarco, che mi rimborsa 1500€ all’anno per assenze per malattia, ma non copre se è l’azienda a chiudere in maniera arbitraria. ”
Giulietta, 27 anni, receptionist
“Lavoro in una reception di una multinazionale. L’azienda ha intimato lo smartworking ai dipendenti fino al primo marzo, annullate riunioni, convegni viaggi. Vietato l’accesso a collaboratori e visitatori esterni. L’azienda è aperta con orario ridotto, mi hanno detto di stare a casa senza turni, per una settimana. Poi non sanno quando tornerà tutto alla normalità. Ho un contratto a intermittenza, le colleghe che hanno firmato un contratto con monte ore full time lavorano dalle 7 alle 17 per passare le chiamate dal centralino a quelli che lavorano da casa. E svolgono altre attività. Hanno fornito una sola mascherina con filtro usa e getta con l’indicazione di metterla e toglierla quando entra qualcuno dall’estero, guanti e salviettine disinfettanti.”
– Come pensi si evolverà la situazione? Tra una settimana siamo punto e a capo?
“Anche se lavoro a chiamata, con le normali esigenze dell’azienda io lavoro sulle 40 ore a settimana. Ovviamente, riducendo il servizio, sono la prima a restare a casa. Come in altre situazioni, questo ha confermato il fatto che io sia l’ultima ruota del carro.”
Amaltea, 26 anni, educatrice scolastica
“Ho un contratto a tempo indeterminato part time, Contratto d2. Staremo a casa una settimana. Non sappiamo se verremo pagati comunque e non sappiamo come reagire se la quarantena si prolungherà — anche didatticamente parlando.”
“Per la retribuzione, semplicemente non ci è stato detto se questa settimana verrà retribuita o meno. Stiamo aspettando delle indicazioni dai comuni, che i comuni devono a loro volta ottenere.”
“Invece per quanto riguarda la didattica, anche in quel caso non sappiamo come reagire. Cioè, maestre, maestre di sostegno e educatrici non sanno se verrà attivato qualcosa via internet, ad esempio.”
“Per ora siamo fermi. Nessuno ha pensato davvero all’ipotesi che questa pausa potrebbe anche essere più lunga, quindi se la prolungheranno, allora ci porremo il problema.”
Radegonda, 29 anni, terapista
“Lavorando come terapista aba (terapie specifiche per bimbi con autismo ndr) con partita iva è arduo non pensare che se non lavoro non guadagno. Fortunatamente il nostro, essendo centro clinico, non ha subito chiusure per ora. Certo, ci sono molte disdette di appuntamenti di persone ansiose o preoccupate per eventuali contagi, però i miei bimbi–pazienti di oggi si sono presentati! A livello di terapie private quindi direi che c’è qualche difficoltà ma tutto sommato si tira avanti…”
“Una nota dolente riguarda gli educatori nelle scuole. Ho mantenuto ore in una scuola per affetto verso il mio primo bimbo in carico, a prescindere dallo stipendio da fame degli educatori scolastici, che siano assunti a tempo determinato o indeterminato, o a partita iva. Si lavora solo in presenza dei bambini loro affidati e in caso di malattia o assenza, sono dispensati dal lavoro e non retribuiti. È un disastro una settimana o forse anche due, così!”
*Tutti i nomi, nel caso non fosse chiaro, sono di fantasia
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