L’India ha un grosso problema con il neofascismo

Il suprematismo indiano è un movimento neofascista che mira a eliminare i diritti delle minoranze musulmane presenti in India e sta ricevendo l’appoggio, anche violento, da parte del governo del Paese.

L’India ha un grosso problema con il neofascismo

in copertina, foto via Twitter

Il suprematismo indiano è un movimento neofascista che mira a eliminare i diritti delle minoranze musulmane presenti in India e sta ricevendo l’appoggio, anche violento, da parte del governo del Paese.

Si aggirano fuori dai campus universitari, spesso in gruppi di almeno cinquanta persone, tutte con il volto coperto da cappucci e maschere. Marciano in gruppo impugnando catene, mazze da cricket e martelli da fabbro. Il coro che si leva dal gruppo è: “Shoot the traitors to the nation” (sparare ai traditori della nazione). Il gruppo è l’Akhil Bharatiya Vidya Parishad, frangia universitaria della ben più ampia organizzazione paramilitare Rashtriya Swayamsevak Sangh. I nemici sono tutti coloro che non rispecchiano l’identikit dell’indiano puro e che “sporcano la razza indiana,” ovvero i musulmani.

Il Rashtriya Swayamsevak Sangh (RSS) venne fondato nel 1925 da Keshav Baliram Hedgewar, sulle orme dei movimenti di Adolf Hitler, Benito Mussolini e dall’estrema destra europea degli anni Venti. Alla fondazione, l’obiettivo cardine del RSS era quello di fondare la cosiddetta Hindu Rashtra, la nazione pura indiana, attraverso la diffusione dell’ideologia indiana nazionalista dell’Hindutva, formulata da Vinayak Damodar Savarkar nel 1923. L’Hindutva è la teoria socio-politica alla base del conservatorismo indiano ed è al centro del gruppo dei partiti nazional-conservatori che si riuniscono sotto il macrogruppo chiamato Sangh Parivar. In questa organizzazione confluisce anche il RSS, tanto che la traduzione dall’hindi di Sangh Parivar è “Famiglia del Rashtriya Swayamsevak Sangh.” Nel corso degli anni, il RSS si è reso celebre per la sua organizzazione paramilitare, per le numerose accuse e condanne di tentati omicidi politici, per gli attacchi collettivi contro le minoranze etniche e gli atti di terrorismo, oltre che per i collegamenti con Nathuram Godse, l’assassino di Mahatma Gandhi. Nonostante l’ampia diffusione, il RSS non partecipa alle elezioni, anche se è da sottolineare il fatto che il Sangh Parivar abbia tra i propri membri anche il Bharatiya Janata Party (BJP), partito attualmente al governo.

foto via Twitter

Ad oggi, il RSS conta tra i 3 e i 4 milioni di iscritti, divisi in diverse formazioni controllate dall’Hindu Swayamsevak Sangh, l’organismo centrale del movimento suprematista indiano. Tra questi sottogruppi, l’Akhil Bharatiya Vidyarthi Parishad (traducibile in “Concilio studentesco totalmente indiano”) è il più noto a causa delle aggressioni verso le minoranze etniche, come accaduto nel recente attacco al campus dell’università di Delhi. L’attacco – che ha causato più di 30 feriti tra insegnanti e studenti – è solo una delle ultime di una serie di attacchi dell’ABVP ai danni dei campus universitari della zona di Delhi: la presidente dell’unione studentesca della Jawaharlal Nehru University di Delhi, Aishe Ghosh, è stata ferita da un agguato organizzato da membri del ABVP e la stessa sorte è toccata a insegnanti e studenti di religione musulmana. Il filo conduttore in questi continui attacchi sembrano essere le critiche rivolte dalle università di Delhi verso il Bharatiya Janata Party, membro della RSS Family. A favore di questa tesi c’è il fatto che la polizia indiana non sia intervenuta per impedire le violenze, nonostante i vertici del ABVP abbiano confermato che gli aggressori fossero loro membri. L’attivista Yogendra Yadav ha addirittura affermato di essere stato bloccato da alcuni agenti di polizia prima di essere aggredita da uomini e donne chiaramente identificabili come membri del ABVP.

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La violenta reazione dei gruppi dell’RSS e il conseguente immobilismo di polizia e governo ha come fulcro le critiche alle ultime leggi del governo conservatore indiano, in particolar modo al Citizenship Amendment Act, abrogato lo scorso dicembre. Il Citizenship Amendment Act propone infatti una via preferenziale per i rifugiati afghani, pakistani e bengalesi al fine di ottenere la cittadinanza indiana. L’unica condizione che la legge pone è quella di non essere musulmani. Per capire il motivo di questa speciale postilla si deve tornare alla teoria dell’Hindutva, secondo cui la nazione debba essere “purificata dalla religione islamica.” La legge ha generato diverse proteste che si sono scatenate per tutto dicembre e gennaio e sono ancora in corso oggi, con diversi arresti da parte della polizia che, secondo le testimonianze, non ha fatto a meno di intervenire in modo violento.

Il clima teso e la profonda scissione nella società indiana sono lo specchio di quella che da molti media locali è stata definita la più grande crisi socio-politica dei 72 anni di democrazia in India, un Paese diviso in minoranze che vogliono vivere e avere gli stessi diritti di tutti gli altri ma che si trovano a dover convivere con quello che è, a tutti gli effetti, un movimento di suprematismo indiano.