Sul coronavirus Roberto Burioni è diventato quello che aveva promesso di combattere
Sull’epidemia di Covid-19 le certezze sono ancora poche, ed è difficile distinguere le notizie vere dall’allarmismo, anche per il virologo del San Raffaele.
in copertina, grab di La7
Sull’epidemia di Covid-19 le certezze sono ancora poche, ed è difficile distinguere le notizie vere dall’allarmismo, anche per il virologo del San Raffaele.
Il 26 novembre 2018 Roberto Burioni annunciava con un video su YouTube l’apertura di Medical Facts, un sito internet che avrebbe ospitato post scritti da lui stesso e da altri medici e ricercatori: il dibattito su medicina e vaccini — erano i mesi dell’esplosione di rilevanza del movimento no vax — risultava “animato da approssimazioni ed inesattezze, e quindi potenzialmente molto pericoloso.” Burioni aveva sentito la “responsabilità” di “mettere le conoscenze a cui ho accesso grazie al mio studio a disposizione di tutte le persone che le richiedono.”
Premessa: io non seguo Roberto Burioni su Twitter, e di solito l’esperto del San Raffaele entra nella mia bolla solo quando viene accusato di classismo da qualche utente che invece seguo — cosa che, purtroppo, accade con una certa frequenza. Di Medical Facts mi ero sostanzialmente dimenticato, e stavo bene così. Nelle ultime settimane, tuttavia, è diventato impossibile fare informazione online — soprattutto in Italia — senza parlare di Covid-19, la malattia causata dal nuovo coronavirus che ha causato un’epidemia di polmoniti nella provincia dello Hubei in Cina.
È così che, mio malgrado, ho aperto un link a Medical Facts in cui mi sono imbattuto su Twitter. In questo articolo Burioni in persona scrive che “Sembra che la Chinese National Health Commission il 7 febbraio abbia deciso di considerare casi di coronavirus confermati solo quelli che risultano positivi al test e hanno sintomi.” La tesi sarebbe questa: non è vero che siamo oltre il picco della diffusione giornaliera di nuovi casi della Covid-19 — la Cina starebbe barando nei conteggi, non elencando le persone che sono risultate positive ai test, ma che non presentano sintomi della malattia.
La notizia si basa su un tweet (!) del giornalista del tabloid di Hong Kong Apple Daily Alex Lam. Siccome si tratta di un’affermazione molto pesante, Burioni prende parzialmente le distanze: “Io non so dirvi se è vero, perché non conosco il cinese.” Potremmo scherzare: forse il professor Burioni dovrebbe studiare?
Ma il problema non è il sapere o meno il cinese, e nemmeno la presupposta veridicità del fact checking di Alex Lam — che trovate qui. Il problema, grave, è sostanzialmente di metodo: è la diffusione di informazioni effettivamente non confermate, perché chi scrive ammette nero su bianco non solo di non avere altre fonti ma nemmeno di poter leggere quelle che cita (!) — un comportamento che ci sembra di poter definire diametralmente opposto allo spirito di rigore scientifico con cui il sito era stato fondato. L’allarmismo sulla Covid-19 è un problema dilagante su tutta la stampa internazionale — ieri il Guardian titolava sul rischio di infezione del 60% della popolazione mondiale, in quello che sembrava un racconto di fantascienza — e che sembra avere infettato anche il sito internet di Burioni.
Il contagio di questo morbo pressapochista sembra ormai essersi impossessato di tutto Medical facts. Si vede, ad esempio, anche in questo altro pezzo, che al secondo paragrafo si interrompe con un titoletto: I casi in Cina: letalità in aumento? Che rispetta religiosamente la legge di Betteridge dei titoli, per cui la risposta a tutti i titoli con il punto di domanda è sempre “no” — perché ovviamente se si potesse scrivere quella affermazione senza punto interrogativo lo si farebbe di corsa.
Infatti, il pezzo prosegue spiegando che il tasso di letalità del nuovo coronavirus potrebbe anzi essere drasticamente più basso, proprio perché potrebbero esserci molte più persone contagiate di quanto i conteggi ufficiali vogliano o possano conteggiare — il vostro vicino di appartamento ieri mi ha riferito che secondo lui l’avete anche voi, infatti.
Il pezzo si conclude ottimista, spiegando che la partita contro il virus è “in corso e ce la stiamo giocando alla pari.” Ma resta aperto il dubbio: “sperando che in Cina non facciano i furbi.”
Va detto che non tutto è malissimo su Medical facts: lo scorso otto febbraio il sito riportava in modo corretto e ragionevole lo studio pubblicato sul JAMA, il Journal of the American Medical Association, su 138 pazienti ricoverati a Wuhan, lo stesso studio che aveva fatto cedere anche il New York Times nel puro clickbait, in un titolo che parlava di “dettagli disturbanti.”
La posizione di Burioni sulla materia insomma sembra essere questa: una vaga precauzione su quanto si scrive sulla materia scientifica, ma senza farsi troppi problemi a linkare tabloid discutibili in lingue che non si sanno leggere. E, ancora peggio forse, un pieno abbraccio dello scetticismo nei confronti della gestione cinese del virus. Questo scetticismo gratuito non emerge solo dai pezzi del sito: l’8 febbraio, mentre pubblicava il pezzo ragionevole di cui parlavamo poco fa, Burioni si spingeva a commentare con “Quarantena alla cinese” un tweet di Nat Shupe, un influencer trumpiano e attivista per i diritti dei proprietari di armi da fuoco. Il video del tweet, tra l’altro, è stato caricato per la prima volta da Fang Zhouzi, un giornalista scientifico che definiremmo controverso, che però lo accompagna soltanto scrivendo “trattano le persone come bestie,” senza dare ulteriori spiegazioni riguardo all’accusa secondo cui la persona trascinata non sarebbe affetta da Covid-19.
Il problema alla base di questo atteggiamento è semplice: avere una dose di sano scetticismo sulla gestione di una crisi che minaccia di avere un impatto forte sull’economia di un paese e di tutto il mondo è una posizione non solo ragionevole, ma intelligente. Quello che invece è impossibile non notare è come questo scetticismo possa essere viralizzato, attraverso condivisioni parziali o rimanipolazioni che non fanno altro che alimentare razzismo e panico. Così quello che in un articolo è solo scetticismo alla prima critica su Twitter diventa immediatamente allarmismo per i “dati ufficiali di una dittatura dove se li contesti ti ingabbiano.”
Così, ad esempio, il commento riguardo la diffusione fino al 60% della popolazione del Guardian è diventato questo pezzo di Libero in meno di una giornata. Affrontare il tema del nuovo coronavirus, in particolare nel contesto della vera epidemia di questi anni — il razzismo — è un lavoro completamente diverso da quello di puro “debunking” con cui Burioni è diventato famoso. Non solo la retorica del blasting si mostra in tutta la propria tossicità, ma la mancanza di certezze viene usata come giustificazione paradossale per i propri pregiudizi. In mancanza di un lavoro di analisi sul campo — che capiamo essere al di fuori dell’intento originario di Medical Facts — la copertura di Burioni del nuovo coronavirus svela quanto complottismo e debunking siano in realtà meccanismi simili e dogmatici, adatti soprattutto a lucrare sul funzionamento tossico dei social network.
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