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in copertina, foto di Stefano Colombo

Milano è sempre di più una città dal doppio volto: da un lato il lusso e la crescita continua, dall’altro l’indifferenza verso chi è in difficoltà.

A pochi chilometri da Via della Spiga c’è un’altra faccia di Milano, quella in cui gli sfratti hanno raggiunto quota 2845 nel 2019 — in netta crescita rispetto ai 400 dell’anno precedente — e dove la richiesta di case popolari viene gestita da Aler, che ha ridotto al 20% gli alloggi disponibili per le famiglie indigenti, con reddito ISEE pari o inferiore ai 3.000 euro annui. Eppure, stando al commento di Attilio Fontana sul bando terminato il 2 dicembre, “questa è la Lombardia che ho in mente: più semplice e più vicina al cittadino.”

La situazione

Con la legge approvata dalla Regione Lombardia ed entrata in vigore da dicembre 2019, Aler (Azienda Lombarda per l’Edilizia Residenziale) ha ridotto al 20% il numero degli alloggi accessibili alle famiglie più povere. Una mossa che il direttore generale dell’azienda pubblica milanese, Domenico Ippolito, ha sintetizzato in tre punti: rientrare dalle spese che il Comune ha deciso di non coprire più, eliminare la morosità e sistemare i conti di Aler, che vedono rosso. “La misura vale solo per le abitazioni sotto gestione di Aler, non per quelle gestite da MM o Comune,” ha affermato Ippolito. Va precisato però che dei 2.550 alloggi messi a bando, 1.134 sono in mano ad Aler: questo riduce notevolmente le possibilità di ottenere una casa per i più poveri, a fronte anche della richiesta sempre più alta, che neppure l’azzeramento della lista di bando ha saputo arginare. I dati parlano chiaro: le domande inviate per il bando che si è concluso lo scorso dicembre sono poco meno di 11 mila — con una media di 132 al giorno. Domande, che, in caso di mancata collocazione, verranno gettate nel cestino per via dell’azzeramento delle graduatorie ad ogni bando.

Sarà una vera e propria guerra tra poveri, in cui le famiglie indigenti dovranno sperare di rientrare nel 20% concesso loro da Aler o di ottenere un alloggio messo a disposizione da Comune e MM. Soddisfare le varie condizioni poste dal bando è già di per sé una sfida: gli invalidi e le famiglie numerose ad esempio sono già di fatto escluse, visto che l’offerta di abitazioni è concentrata su piccoli alloggi con barriere architettoniche. Infine, verrà considerato anche il periodo di residenza nella regione: la priorità sarà data a chi vanta una residenza o lo svolgimento di attività lavorativa in Lombardia da almeno cinque anni — e questo criterio, nell’assegnazione, peserà tre volte tanto l’aver già subito uno sfratto. Regione Lombardia sostiene che l’assegnazione partirà “dai nuclei familiari indigenti, che rivestono carattere prioritario nelle assegnazioni” — ma questa giustificazione, dati alla mano, sa molto di arrampicata sugli specchi. 

Reato di povertà

Come detto, un problema è la situazione finanziaria di Aler, attualmente in rosso e in necessità di ottenere fondi. Una situazione che segue una serie di avvenimenti “imbarazzanti” per Aler, partendo dalla lettura del bilancio del 2018 secondo cui l’azienda milanese non ha sfruttato ben 198 milioni di euro destinati all’edilizia pubblica. Oppure il primo piano di risanamento specifico di Aler, terminato in un nulla di fatto. Arriviamo quindi ad oggi, dove la situazione si riverserà sulle spalle dei più bisognosi. 

Aler è un’azienda di edilizia pubblica che sta negando ai cittadini più poveri il diritto di ottenere un’abitazione, ragionando come un operatore privato, provando soprattutto a ottenere maggiori introiti: per fare un’analogia, è un po’ come se un ospedale decidesse arbitrariamente di ospitare solo un certo numero di malati gravi perché convengono di meno. Tuttavia, la cosa non sembra preoccupare Aler e Ippolito, che procedono dritti sulla loro strada: “Ora noi siamo disponibili ad accogliere solamente il 20% degli ingenti, facendocene carico. Per il resto, facciano i comuni,” ha concluso il dg di Aler. Insomma, in questo braccio di ferro, gli unici che verranno stritolati saranno i poveri, trattati quasi come una merce difettosa e indesiderata che nessuno vuole accollarsi pur di fare profitto. Qualche tempo fa, al governo, si era parlato di “abolire la povertà” e a quanto pare qualcuno si sta muovendo in quella direzione. Letteralmente, però.

La reazione sociale

I cittadini milanesi hanno iniziato a discutere del problema organizzando diversi incontri. Un buon esempio è stata la serata organizzata a fine dicembre da Possibile Milano, che ha avuto come protagonisti Ermanno Ronda del Sicet (Sindacato Inquilini Casa e Territorio), Bruno Cattoli di Unione Inquilini, gli studenti della Rete della Conoscenza, Alessandro Coppola del Politecnico di Milano. La serata ha toccato diversi punti che ancora oggi sono avvolti nel mistero, come la cessione del patrimonio pubblico da parte di enti gestori e locali e fondazioni previdenziali-ospedaliere o il social housing, passato da modalità per aiutare la “zona grigia” a strategia per valorizzare immobili posseduti da fondazioni bancarie con soldi pubblici a prezzi di mercato. O ancora il mondo delle aste giudiziarie, in mano a pochi studi legali sempre più specializzati e senza scrupoli — favoriti tra l’altro da tre diversi decreti firmati dal governo Renzi tra il 2015 e il 2016 che hanno dato numerosi vantaggi ai creditori rispetto al passato. Infine, la discussione ha toccato il tema degli sfratti in città: ogni anno si buttano fuori almeno 5.000 famiglie dalla propria abitazione, una rappresentazione perfetta della Milano a due facce di oggi. 

Anche questo fa parte del modello Aler, con la responsabilità di continui fallimenti di miglioramento del bilancio a causa di un’incompetenza continua nella gestione dei fondi scaricata sulla pelle dei poveri e soprattutto dei morosi, accusati di essere la principale causa della cattiva situazione finanziaria dell’azienda. Sembra un po’ la direzione che si sta prendendo in una società e in un sistema economico dove quando non si sa bene con chi prendersela, si fa sempre centro in qualche modo puntando il mirino sulle persone più deboli. 

Alla fine, tutta questa vicenda può essere riassunta in poche righe: gli sfratti e i poveri continuano ad aumentare di anno in anno a Milano, la domanda supera sempre l’offerta e quindi Aler, per migliorare il bilancio, diminuisce le case destinate ai più poveri al 20%, nonostante le famiglie in morosità continuino ad aumentare, con tanto di direttore generale che va per giornali a vantarsi dell’idea. Intanto, nel primo bando sotto la nuova legge, nonostante l’azzeramento, le richieste continuano ad aumentare e la nostra risposta è diminuire l’offerta sempre di più nell’indifferenza di chi dovrebbe proteggere i più deboli. Un piano geniale insomma.