Si è concluso il viaggio di FREE, che ha spiegato la Shoah nell’Italia dei CPR
Il progetto FREE — “Non c’è futuro senza memoria” è terminato sabato a Milano con una serata dedicata al teatro e alla musica.
in copertina foto dalla pagina Facebook di FREE
Il progetto FREE — “Non c’è futuro senza memoria.” è terminato sabato a Milano con una serata dedicata al teatro e alla musica.
Sul palco di Santeria Social Club sono saliti nel tardo pomeriggio i ragazzi di Che razza di rap, debuttando con uno spettacolo inedito che fonde mondi diversi come quelli del rap e del teatro. Che razza di rap racconta infatti le storie degli immigrati di seconda generazione attraverso gli occhi di una bambina che si trova catapultata in una realtà complessa e ingiusta che la fa sentire straniera in Italia e turista in Marocco (il Paese di origine della sua famiglia).
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Il racconto è stato intervallato dalle esibizioni dei rapper Amir Issaa e Mosè Cov e dalla rappresentazione di clip musicali e a tema — come quella di “Ferite” di Neim Eizza feat. Jake la Furia. In Che razza di rap si sottolinea tra le altre cose un punto centrale, legato ai motivi che provocano l’immigrazione nel nostro Paese e che vengono periodicamente strumentalizzati e distorti dalla destra: si emigra “non per fare l’italiano ma per scappare dalla miseria.” Lo spettacolo è stato inoltre dedicato a Vakhtang Enukidze, l’uomo detenuto nel CPR di Gradisca d’Isonzo e ucciso il 18 gennaio scorso.
La serata è proseguita poi con il concerto di Murubutu. L’artista è da sempre impegnato nella diffusione della cultura tra i giovani e ancora una volta, come l’estate scorsa quando si esibì a Marzabotto nei luoghi della strage nazifascista, ha deciso di schierarsi in prima fila per ricordare le tragedie legate alla storia del nostro Paese e sottolineare l’importanza della memoria storica per il futuro dell’Italia.
Il progetto FREE rappresenta un tentativo unico e riuscito di coltivazione della memoria in grado di aggregare un pubblico eterogeneo, curioso e sensibile a tematiche mai come in questo momento attuali. Dalle famiglie — sabato sera tra il pubblico c’erano anche diversi bambini — ai ragazzi, il progetto ha dimostrato di saper lavorare sulla curiosità delle nuove generazioni alimentando la voglia di conoscere il proprio passato. Non solo per aumentare il bagaglio di conoscenza ma per poter, soprattutto, interpretare il presente e provare a comprendere il futuro.
L’avanzata del neofascismo e neonazismo è infatti un problema che riguarda particolarmente da vicino la comunicazione, perché la battaglia per il cervello dei più giovani è una delle frontiere che le nuove destre hanno riconosciuto e stanno combattendo con più aggressività. Dalla diffusione di teorie del complotto con funzione iniziatica al neofascismo al puro linguaggio d’odio sdoganato come “goliardia,” la didattica della Shoah non può ignorare un contesto che è drasticamente più antagonista di quello che si immaginava nei primi anni Duemila.
Nonostante siano stati fatti passi avanti enormi grazie all’istituzione del Giorno della Memoria, nel 2000, c’è ancora molto lavoro da fare: “la stragrande maggioranza dei ragazzi è portata a conoscere in modo vago e assai limitato cosa sia stata la Shoah, ad identificarla solo ed esclusivamente con Auschwitz e con i tedeschi. Purtroppo la Shoah è stata molto di più,” ci ha spiegato il professor Edallo parlando di didattica della Shoah.
Il tema della memoria, che i fatti di pochi giorni fa accaduti a Mondovì ci ha dimostrato essere estremamente sensibile e contemporaneo, ha a che fare, oggi come ieri, con l’integrazione e non può prescindere da un lavoro sui linguaggi della comunicazione, che con il passare del tempo cambiano e vanno aggiornati e attualizzati. Ancora una volta FREE ha dimostrato di poterlo fare provando a rimuovere la patina di polvere che troppo spesso ha accompagnato questi temi in passato.