Ora che è uscito Merce Funebre, il primo vero album di Tutti Fenomeni — prodotto da Niccolò Contessa —, potete prendervi mezz’ora per ascoltare l’evoluzione di uno dei nomi più interessanti del momento.
C’è stato un periodo in cui Tutti Fenomeni sembrava trovarsi in bilico tra due filoni: quello dei trapper dal vocabolario corto e quello di chi ricerca nell’apparente insensatezza linguistica una chiave di espressione se non necessariamente originale, perlomeno di rottura. Potrebbe far parte di questo secondo insieme Pop X, al quale accosteresti tranquillamente una frase come “vado in Colombia e mi prostituisco” e che invece trovi in “Per quanto ti amo” di Tutti Fenomeni. Frasi come queste allargavano già il quadro a un immaginario stravagante che poco o nulla c’entrava con il meccanismo quasi automatico, industriale e perfettamente riproducibile, con cui proliferava — o comunque ci sperava — buona parte della trap su YouTube (povertà di riferimenti, tre parole e tre concetti). Attraverso i brani di Tutti Fenomeni si intravedeva già invece — anche se ancora ibridata dai canoni musicali del momento: bassoni, “bitch” e versi autoriferiti — una qualche visione artistica folle, che per fortuna si è trasferita completamente in questo album.
Cos’è Merce Funebre
È innanzitutto un calderone di citazioni e riferimenti che ribolle per undici canzoni. Da Anna Bolena a Giacomo Leopardi — citato in “Mogol” e ripreso nel video di “Valori Aggiunti,” ispirato a Enjoy the Silence dei Depeche Mode — sono tantissimi i personaggi e le opere nominate nelle canzoni: Leonardo da Vinci, Mozart, l’Iliade, Caravaggio, Enrico Fermi, per citare solo alcuni dei più evidenti. Ma Merce Funebre, che per questo motivo potrebbe essere interpretato come un album furbo che strizza l’occhio ai memer, non è solo citazionismo gratuito. “Sono lo spartiacque, sono la Trauermarsch, non sono appariscente, come un Papa tedesco” canta Giorgio Quarzo Guarascio — in arte Tutti Fenomeni — nell’ultimo brano dell’album. Se alcuni passaggi come quello appena citato possono far pensare che l’artista c’entri ancora qualcosa con l’egocentrismo stressato e gli stilemi della trap, “Filosofia” e “Marcel” tirano dalla parte opposta aprendo ai ritornelli e a brani in generale più “suonati” e cantabili. Se non vi piace chiamarlo pop, sappiate che a Merce Funebre l’etichetta lol rap sembra comunque stare molto stretta. E in questo sicuramente una parte dei meriti vanno anche a Contessa (vedi “Mogol”). C’è chi accosta Tutti Fenomeni a Franco Battiato essenzialmente perché se fai un video in giacca e cravatta in cui ti mostri autorevole e serio mentre dici “Leonardo da Vinci era molto rock,” allora sei Battiato. Invece dovremmo provare a prendere Tutti Fenomeni per quello che è, senza sondare superficialmente i percorsi di studio, che in alcuni casi portano a costruire contesti artefatti e letture strampalate.
Tutti Fenomeni è un artista che quasi certamente non rivoluzionerà la musica italiana e che non ha introdotto — nemmeno con questo disco — dei nuovi ingredienti che segneranno uno spartiacque tra il periodo precedente all’uscita di questo album e quello immediatamente successivo. Però è un artista brillante, capace di calare i propri testi in una quotidianità a volte estremamente cinica, ma sempre consapevole e romantica. E questo, nella melassa musicale in cui periodicamente ci troviamo invischiati, non può che farci bene.
“La regola sociale più stupida che esista dopo la puntualità
È sicuramente il preavviso
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Dire grazie dopo un sorriso”
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