Milano chiude il 2019 soffocando nelle polveri sottili, in linea con il trend di un decennio che, nonostante lievi miglioramenti e timide politiche di contrasto, non registra certo un bilancio positivo.
Tra il 27 e il 28 dicembre le polveri sottili sono tornate a superare il limite di 50 microgrammi per metro cubo in tutte le zone di Milano. La città è schizzata al tredicesimo posto nella classifica di AirVisual delle aree urbane con la peggiore qualità dell’aria al mondo. Oggi la situazione è leggermente migliorata: siamo solo al ventesimo posto.
È un’emergenza che si ripete uguale tutti gli anni, specialmente nei mesi invernali — quando le emissioni dovute ai riscaldamenti domestici si aggiungono a quelle dovute al traffico automobilistico. Le misure per contrastarla sono immancabilmente troppo timide, e il fatto in sé ha smesso di fare notizia, nonostante i numerosi studi che inquadrano il fenomeno come una vera e propria strage: secondo l’Agenzia Europea dell’Ambiente, sono infatti quasi mezzo milione all’anno le morti premature, mentre nella sola area urbana tra Monza e Milano muoiono ogni anno 115 persone per cause riconducibili all’inquinamento atmosferico.
Ma come è cambiata la situazione negli ultimi dieci anni? E possiamo aspettarci un miglioramento dai prossimi?
Innanzitutto, bisogna specificare che con inquinamento dell’aria o atmosferico si intende principalmente un livello troppo elevato di biossido di azoto (NO2), di PM10 (con il quale si indica una frazione di particolato costituito da polvere, fumo, e microgocce di sostanze liquide e solide disperse nell’aria), PM2.5 (che è sempre particolato ma con particelle di diametro inferiore) e ozono troposferico. I livelli di queste sostanze cambiano durante l’anno, tra stagione calda e stagione fredda, a seconda dei cambi della pressione atmosferica, e la loro concentrazione è condizionata anche dalla morfologia del territorio e dalle condizioni meteorologiche.
“Nel nostro territorio la presenza di Alpi e Appennini determina condizioni meteorologiche che ostacolano la dispersione degli inquinanti e ne favoriscono l’accumulo al suolo, rendendo più difficile raggiungere gli obiettivi che la normativa italiana ed europea, così come le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, richiedono.” (ARPA)
Gli elementi chimici nocivi che si disperdono nell’aria sono prodotti da svariate azioni che vanno dal comune riscaldamento degli ambienti e dalla combustione, dagli autoveicoli in genere, fino allo smaltimento dei rifiuti o dei residui vegetali e agricoli, e ai gas di scarico prodotti dalle industrie di ogni tipo e dimensione. Questo comporta un’ampia diversificazione dei problemi e, di conseguenza, delle soluzioni, che si potrebbero attuare per limitare l’inquinamento: alcune riguardano la sensibilità dei singoli, altre sono regolarizzate a livello istituzionale. Nell’UE è il Consiglio d’Europa che emana le direttive per la regolamentazione delle emissioni di sostanze inquinanti, che sono poi indirizzate a ogni Stato membro. Per questo, in Italia, ogni provincia ha “a disposizione” un numero massimo di giorni durante l’anno in cui è consentito superare il livello massimo di inquinamento dell’aria — il problema è che la maggior parte delle province più ampie supera il tetto massimo di molto e ogni anno ripetutamente.
Il livello di inquinamento atmosferico si è, in tutta Italia, nettamente ridotto dalla fine del secolo scorso, per poi assestarsi su una media ancora grave, ma certamente più bassa rispetto al decennio precedente. Nell’area lombarda, ad esempio, la deindustrializzazione degli ultimi trent’anni ha rimosso una parte delle principali fonti inquinanti. A livello statale, il nostro paese ha condizioni peggiori rispetto agli altri stati europei, a causa di normative meno vincolanti e di una diffusa arretratezza economica che rende più difficile ai settori terziario e secondario dei miglioramenti in termini di ecologia e sostenibilità.
Per quanto riguarda nello specifico gli ultimi anni in Lombardia, i livelli di inquinamento dell’aria, dell’acqua e del territorio, sono studiati e registrati da ARPA, l’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente. Le raccolte dei dati dell’ultimo decennio vanno, per ora, dal 2011 al 2017. L’ultima sintesi generale dei livelli riguarda il 2017, ed è stata resa pubblica nel 2018; ci dice che sono stati superati i limiti annuali di PM2.5, il limite di media annua di NO2 nelle zone urbanizzate, e il limite di O3 su tutto il territorio regionale ad eccezione delle zone montuose. Il 2017, secondo ARPA, è stato un anno ”caratterizzato da condizioni meteorologiche particolarmente sfavorevoli alla dispersione degli inquinanti.”
Nonostante una striscia critica di 17 giorni di superamento dei limiti, i paragoni con gli anni precedenti — e in generale quelli di lungo termine — indicano un netto miglioramento della dispersione di PM10 e dei metalli normati. Nell’arco dell’ultimo decennio, pur con questa generale tendenza alla riduzione dell’inquinamento, emerge che tra il 2014 e il 2016 sono state registrate le emissioni più alte. Queste crisi potrebbero almeno aver avuto un ruolo nel portare presso la cittadinanza e la politica una sensibilità maggiore sulle misure preventive da attuare.
Uno studio di Legambiente uscito a gennaio 2019 è utile per capire in che termini le città italiane sono ancora troppo indietro rispetto alla media europea, e quali sono i passi in avanti che sono stati fatti. Ad esempio, in Lombardia fino al 2018 nelle province di Monza, Milano, Lodi, Brescia e Bergamo, sono stati costantemente superati i limiti massimi annui di ozono e PM10.
“Capofila delle città che nel 2018 hanno registrato il maggior numero di giornate fuorilegge è Brescia con 150 giorni (47 per il Pm10 e 103 per l’ozono), seguita da Lodi con 149 (78 per il Pm10 e 71 per l’ozono), Monza (140), Venezia (139), Alessandria (136), Milano (135), Torino (134), Padova (130), Bergamo e Cremona (127) e Rovigo (121). Tutte le città capoluogo di provincia dell’area padana (ad eccezione di Cuneo, Novara, Verbania e Belluno) hanno superato almeno uno dei due limiti.”
Secondo il report di Legambiente, tutte le città italiane sono accomunate dall’assenza, “ormai non più sostenibile,” di misure strutturali pensate per abbattere in modo drastico i livelli di inquinamento e di riportare l’aria a livelli qualitativamente accettabili. Legambiente fa anche notare che in Italia si sente gravemente pesare la mancanza di una strategia antismog di ampio respiro. E “a nulla, o quasi, sono serviti i piani anti smog in nord Italia scattati, senza troppa convinzione, il primo ottobre 2018 con il blocco parziale della circolazione per i mezzi più inquinanti.”
Nonostante questo, però, non tutto è fermo: dal 2015 circa molti enti locali hanno messo in atto misure preventive per cercare ridurre le emissioni nella loro area di competenza — non tutti: Regione Lombardia, ad esempio, non è mai stata molto sensibile al tema dell’inquinamento. Sono stati redatti programmi come il PUMS (Piano Urbano per la Mobilità Sostenibile), approvato tra gli altri dal Comune di Milano, che hanno l’obiettivo di limitare l’inquinamento e regolarizzarlo e hanno ricevuto il plauso della stessa Legambiente.
Il PUMS definisce una strategia per raggiungere obiettivi di sostenibilità, che si può racchiudere in sette punti principali: integrazione modale, sviluppo della mobilità collettiva, pedonale e ciclabile, crescita della sharing mobility, razionalizzazione della logistica urbana, rinnovo del parco veicolare con mezzi a basso impatto ambientale ed elevata efficienza energetica. Un altro progetto è LIFE PREPAIR promosso da ARPA Lombardia; ha a disposizione 17 milioni di euro (10 emessi dall’Europa) per promuovere stili di produzione e di consumo che siano più sostenibili e che migliorino la qualità dell’aria, proprio come il progetto Bacino Padano, più indirizzato alle grandi attività produttive.
In generale, le politiche sostenibili sviluppatesi negli ultimi anni sono tutte volte a promuovere una riduzione della motorizzazione nelle città — in Italia è registrato il più alto tasso di motorizzazione d’Europa, con 65 automobili per ogni cento abitanti. — un incremento dei sistemi di car sharing e bike sharing, ampliamenti delle zone a traffico limitato, regolamentazioni sui rifiuti per le aziende, conversione dei vecchi mezzi pubblici con altri elettrici e sostenibili. Questo, però, non basta: i veicoli, per quanto sia la fonte su cui è più agevole intervenire per gli enti locali, non sono affatto l’unica sorgente di inquinanti del paese — ecco perché servirebbe un piano di ampio respiro da parte dell’autorità governativa.
In sostanza si può concludere che il bilancio degli ultimi dieci anni per quanto riguarda l’inquinamento atmosferico nel nord Italia, e specificamente in Lombardia, non è positivo. I livelli consentiti sono sempre superati dalle province più popolate, e i programmi attuati sono ancora troppo deboli e poco pervasivi per essere davvero efficaci.
L’Italia è ancora molto indietro rispetto agli altri stati europei. Rimane però indubbia la crescente sensibilizzazione degli ultimi anni, che sta portando un numero sempre più ampio di persone a porre attenzione verso i consumi e la sostenibilità. Non si può non ricordare come le manifestazioni di FFF siano state partecipatissime in tutto il mondo, Milano e Lombardia incluse, e hanno testimoniato come una sensibilità ambientale radicale sia ormai molto diffusa soprattutto tra i più giovani.
Anche le istituzioni hanno dovuto fare i conti con questa mobilitazione, almeno riconoscendone l’esistenza e contribuire a portare il tema sulle prime pagine dei giornali. In questo clima, si stanno sviluppando più sistematicamente progetti di intervento — anche se, come ormai è chiaro, sempre più a livello europeo e locale che nazionale. La speranza è che il prossimo decennio porti con sé azioni più decise e pianificate per contrastare un’emergenza ancora sottovalutata a tutti i livelli.