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Spesso si parla di dipendenza da smartphone, da internet o dai social media in maniera generica o per sentito dire. Ma quanto è diffuso il fenomeno, e come ci si muove per contrastarlo? 

Tutti abbiamo uno smartphone. E ci facciamo di tutto: telefoniamo a un amico per chiedergli come sta o gli mandiamo un messaggio per chiedergli se gli va una birra, cerchiamo chi era il presidente degli Stati Uniti nell’anno dell’Unità d’Italia, scattiamo una foto al nostro cane e la pubblichiamo, paghiamo le bollette tramite l’app della banca, paghiamo il conto del ristorante dopo aver prenotato un tavolo e controllato le sue recensioni, controlliamo che tempo farà domani e qual è il percorso più veloce per arrivare in centro con i mezzi anche se c’è sciopero. Alcuni sono in grado anche di diagnosticarsi malattie a seconda dei sintomi e prescriversi una terapia adeguata. Basta una ricerca su Google. E questa massa di informazioni è subito reperibile, da (quasi) qualsiasi posto, in qualsiasi ora. Sicuramente tu, che leggi queste parole, hai lo smartphone in tasca o in mano.

Quanto usiamo lo smartphone

Secondo il report 2019 di We Are Social, il tempo che noi italiani passiamo su internet, da qualsiasi dispositivo, è mediamente poco più di 6 ore al giorno. Significa che se 8 ore le passiamo a dormire più di un terzo del tempo restante lo passiamo connessi. E i dati che si leggono in giro, principalmente riportati dai quotidiani da qualche anno a questa parte , sono inquietanti: giovani che controllano il telefono 75 volte e adulti circa 50 volte al giorno, o addirittura 100, mentre la Stampa, supportata dai dati della rivista Neuropsychiatry, parla di “disturbo patologico,” “quadro allarmante,” “crisi d’astinenza.” In Cina, è noto che da qualche anno esistono veri e propri centri di riabilitazione per combattere la dipendenza da social media.

Ma è giusto parlare di dipendenza?

Gif di Geo Law

Se effettivamente c’è una dipendenza da smartphone, come è possibile riconoscerla in una società dove tutti ne hanno uno? È una dipendenza collettiva? Come facciamo a capire se ne siamo dipendenti e soprattutto come facciamo a curarci? Come si inserisce all’interno delle altre dipendenze? Per avere un’idea chiara, anche solo su che cosa sia davvero una dipendenza da smartphone, mi sono confrontato con una sociologa, una psicologa e i responsabili di due progetti nati quest’anno sul territorio milanese per contrastare le dipendenze: uno del Comune e uno privato. 

Valentina Di Liberto, sociologa e presidente del centro Hikikomori, ha trattato diversi casi di dipendenze sociali e ci spiega innanzitutto che parlare di dipendenza “da smartphone” è improprio, almeno terminologicamente: vuol dire tutto e niente, è troppo generale. Sicuramente inquadra un problema ma va sempre associato a qualche altra dipendenza: da internet, da social media, da videogiochi, da siti porno, da relazioni virtuali. Alla base, quasi sempre, si trovano forme di isolamento o ritiro sociale. Il cellulare diventa il dispositivo che consente di avere accesso a realtà virtuali che vengono percepite dal soggetto come alternative a una realtà concreta in cui non trova gratificazioni.

Non c’è da stupirsi quindi se i più colpiti sono i ragazzi giovani, tra i 14 e i 15 anni, insomma i nativi digitali, a causa della loro altissima competenza tecnologica, che li rende più esperti e più fragili allo stesso tempo. “Il telefono, per loro, è parte integrante della vita quotidiana, è come se fosse una parte del corpo, un prolungamento psico-tecnologico del proprio sé, un ponte di accesso verso un mondo virtuale parallelo a quello reale,” spiega la dottoressa Di Liberto. La dipendenza è connessa in genere a forme di disagio molto forti presenti nei soggetti più esposti: emarginazione, isolamento, bullismo, situazioni traumatiche, deprivazione affettiva, che portano pian piano al disinvestimento rispetto al mondo reale verso una fuga nel virtuale percepito come più gratificante. 

Gli effetti sul comportamento

“Una persona ‘dipendente’ non riesce mai a disconnettersi, a spegnere i dispositivi: non ha controllo su di essi,” continua Di Liberto. Uno stato ansioso da cui possono derivare meccanismi ossessivi che occupano uno spazio enorme nella vita quotidiana, fino ad arrivare, nei casi più gravi, a fenomeni dissociativi.  

Fattori comuni, come per molte dipendenze, sono la tendenza a minimizzare e la difficoltà a riconoscere il problema. “Solitamente sono i familiari ad accorgersi che qualcosa non va, i più esposti al comportamento disfunzionale, in quanto l’isolamento tipico della dipendenza da realtà virtuale tocca per prime le relazioni interpersonali. I segnali sono principalmente due: l’apatia e, appunto, l’isolamento. La cura a questo disagio sta in una rete di persone, solitamente amici e familiari, che aiutino chi ne è dipendente a prendere consapevolezza della sua condizione.”

Modernità e dipendenza tecnologica 

Secondo Diana Medri, psicologa presso il Centro Clinico SPP, servizio di psicoterapia psicoanalitica dell’adulto a Milano, queste nuove dipendenze rispondono a bisogni attuali quali la connessione con il mondo, la paura della solitudine, l’aggiornamento costante: “Gli smartphone sono fortemente legati alla propria identità, al proprio status di uomo moderno.” I più colpiti naturalmente sono i più esposti, quelli che non sono mai stati abituati a vivere senza dispositivi, ma anche chi, ad esempio per lavoro, è costretto a usarli in continuazione. Bisogna sempre considerare, anche del punto di vista psicologico, che una dipendenza “può scaturire da tanti fattori in concomitanza, non da uno solo come può essere l’età o l’istruzione.” E soprattutto funziona esattamente come tutte le altre dipendenze: “Una persona che non può smettere di bere ed è sempre ubriaco è un alcolista, una persona che non riesce a rinunciare ad un bicchiere di vino la sera non è un alcolista. Tutto sta nella misura,” spiega la dottoressa Medri. 

Lo sportello dipendenze del comune di Milano

A ottobre il Comune di Milano ha aperto uno sportello dipendenze, SostieniMi, aperto tutti i giorni dalle 9 alle 17 e il martedì e il giovedì dalle 13 alle 21. Si tratta di una linea telefonica, un servizio di messaggistica istantanea e una mail che offrono un primo ascolto a chi riconosce di avere un problema e si trova quindi in una situazione di naturale disorientamento. Il servizio è gestito dal Centro Ambrosiano di solidarietà — selezionato dal Comune attraverso un avviso pubblico di co-progettazione — che ha messo a disposizione un’equipe multidisciplinare con adeguata formazione (un coordinatore e tre operatori sociali tra educatori e psicologi, impegnati in una turnazione settimanale) supervisionata da uno psicoterapeuta esperto in problematiche legate alle dipendenze e in counselling telefonico. SostieniMi collabora inoltre con i Ser.D (servizi pubblici per le dipendenze patologiche), gli SMI (Servizi Multidisciplinari Integrati), i NOA (servizi alcologia), ATS e le altre realtà del Terzo Settore che fanno parte della rete di contrasto alle dipendenze. 

Nel corso dei primi tre mesi di attività — ci ha raccontato l’ufficio stampa dell’assessore alle politiche sociali e abitative Gabriele Rabaiotti — soltanto tre contatti hanno dichiarato di avere una dipendenza da smartphone, a riprova che spesso — non essendo ancora percepita come tale — risulta difficile riconoscere di avere una dipendenza e quindi chiedere aiuto. 

A seconda del tipo di richiesta e del mezzo utilizzato (mail, messaggio WhatsApp, telefonata) questa può essere gestita nell’immediato o nel primo giorno di apertura del servizio (per esempio se è stato lasciato un messaggio in orario notturno). Solitamente la prima telefonata coincide con una richiesta di informazioni o di semplice ascolto. Se si verificano successivi contatti e si riscontra un bisogno allora si indica all’utente il servizio più indicato, come può essere il Ser.D o lo SMI. Sull’efficacia del servizio si aspetta la conclusione della fase sperimentale, a gennaio 2020, per pronunciarsi e per decidere come proseguire. 

Digital Life Coaching

Il 24 giugno di quest’anno Cerba Healthcare Italia ha presentato il progetto Digital Life Coaching per affrontare le dipendenze da internet e videogiochi. La psicologa Maria Rosaria Montemurro si occupa di dipendenze da almeno un decennio e spesso si è imbattuta in questo disagio che, sottolinea, “altro non è che un sintomo di un disturbo sottostante, una patologia già esistente, che va poi a interferire con la qualità della vita del soggetto.” L’ambulatorio propone un percorso psicoterapeutico che attraverso un lavoro sul soggetto permette di ristabilire un equilibrio nella vita di tutti i giorni. Il primo passo è la consapevolezza di se stessi e della propria situazione, per poi valorizzare le risorse positive del soggetto sulla base di una valutazione clinica, e approdare infine a “un nuovo modo di stare in relazione con sé e con gli altri, in maniera più funzionale.” 

Per chi usa la tecnologia in maniera scorretta invece è previsto un percorso di coaching a supporto del Digital Detox. “Chi ha una dipendenza da internet,” spiega la dottoressa Montemurro, “non frequenta la rete per necessità o svago ma per rispondere a un impulso incontenibile (craving) che lo spinge alla totale perdita di controllo. Il comportamento è patologico quando la relazione che si instaura tra il soggetto e un oggetto (sia esso una sostanza stupefacente sia essa una tossicomania oggettuale: gioco d’azzardo, internet, videogiochi) diventa compulsiva e reiterata, incontrollabile.” A causa dell’ansia astinenziale di quando si ritrova offline il soggetto si ritrova invalidata sia la vita sociale che quella lavorativa, senza considerare i disturbi dell’alimentazione, i problemi visivi e l’alterazione del ritmo circadiano. Oltre all’ambulatorio Cerba Healthcare ha avviato progetti nelle scuole e nelle aziende, al fine di sensibilizzare direttamente i giovanissimi, ma anche i genitori, a una corretta educazione digitale, unica vera prevenzione di queste dipendenze.