Mentre la circolazione della nostra pagina continua ad essere bloccata, abbiamo parlato con un ex dipendente del centro di supporto di Facebook per farci raccontare dall’interno come funziona la gestione dei rapporti tra il social network e gli utenti.
Dopo la nostra cattiva esperienza con la censura di Facebook — che continua tuttora — e i contatti poco soddisfacenti con il servizio di assistenza del social network (puoi recuperare qui le puntate precedenti), abbiamo parlato con un ex dipendente di Facebook per farci raccontare come funziona la gestione delle criticità della piattaforma dall’altra parte del muro che è l’interfaccia di Messenger.
A differenza delle testimonianze allarmanti sul lavoro dei dipendenti che devono censurare contenuti violenti, il nostro contatto ci parla di un ambiente di lavoro “corporate,” ma non più oppressivo di altri incarichi simili. Gli chiediamo se nella propria esperienza abbia incontrato casi di “blocchi” deliberati alla circolazione dei post delle pagine, e come Facebook gestisce i problemi di questo tipo all’interno della propria piattaforma.
Dalla nostra conversazione sono emersi alcuni punti sostanziali:
- Anche all’interno dell’azienda il supporto è visto come un “middle man” riguardo alle domande sulla distribuzione dei post;
- L’assistenza raggiungibile dagli utenti ha poteri estremamente limitati, con un tasso di successo tra il 30 e il 40%;
- Le comunicazioni tra l’assistenza e il team interno di Facebook avvengono quasi unicamente attraverso form, ed è impossibile richiedere spiegazioni dettagliate;
- I processi legati all’algoritmo sono quanto più possibile opachi, e non c’è nessuna trasparenza per gli utenti e per i dipendenti.
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“Ogni volta che ci veniva presentato un problema che non potevamo risolvere personalmente (accadeva nel 60-70% dei casi) compilavamo dei form di supporto che inviavamo al team interno,” ci spiega il nostro contatto. Una volta ottenuta una risposta, qualunque essa fosse, “il nostro compito era semplicemente far comprendere all’utente le motivazioni di tali scelte, mantenendo un rapporto empatico e umano.”
Sostanzialmente il ruolo dell’assistenza, in almeno il 60% dei casi, è quello di fare il contrario del proprio ruolo ufficiale: creare una barriera artificiale contro cui far rimbalzare le lamentele degli utenti — e dei clienti, nel caso di aziende che comprano anche spazi pubblicitari.
IL MOLOCH DEL “TEAM INTERNO”
L’ex dipendente con cui parliamo ci spiega che l’assistenza stessa non ha modo di ottenere informazioni specifiche dal team interno: “Le comunicazioni con questo team avvenivano tramite una chat privata, ma dovevamo attenerci a regole specifiche per le quali spesso non ci era concesso richiedere spiegazioni dettagliate.” Ci viene spiegato che le risposte del team interno sono molto standardizzate, a causa del “volume di richieste molto elevato.” Anche il nostro contatto comunque ipotizza che ci sia un’altra ragione: “Facebook vuole conservare una certa riservatezza riguardo ai propri processi.”
Ma un comportamento del genere, da parte di una piattaforma come Facebook, è sostenibile?
Secondo uno studio Pew dello scorso anno, negli Stati Uniti i social media hanno superato i giornali cartacei come strumento di informazione. Facebook stesso riconosce questo ruolo, e sul mercato statunitense ha recentemente lanciato un prodotto, Facebook News, interamente dedicato alla diffusione di notizie, realizzato con partner selezionati — che siano selezionati bene o male, è un’altra storia.
La tensione interna di Facebook tra la speranza di regredire verso un’esperienza d’uso più “familiare” — era lo scopo dichiarato della revisione dell’algoritmo del news feed di un anno fa — e la volontà di rivendicare la propria posizione di strumento di informazione all’interno delle società occidentali resta profondamente problematica. Ma, in una direzione o nell’altra, l’azienda va verso i modelli che le permettono di: monetizzare più facilmente il proprio servizio. Non sorprende, in quest’ottica, il fatto che il supporto sia laconico e le sue possibilità limitatissime. In questo caso, riconoscere le proprie responsabilità non conviene.
Il dialogo con gli assistenti del supporto con cui noi comuni mortali interagiamo ha un’utilità limitatissima: i nostri interlocutori raramente possono fare qualcosa per risolvere il problema: “I dipendenti del supporto non hanno la possibilità di intervenire nel processo decisionale, in quanto si occupano prettamente della comunicazione con l’utente,” ci spiega il nostro contatto.
CASI COME THE SUBMARINE
Il nostro contatto ci ha confermato di aver avuto a che fare nel corso della propria permanenza a Facebook con casi come il nostro. Ma ci ha spiegato che nessuno degli assistenti con cui abbiamo parlato — che ci hanno ripetutamente dato versioni contraddittorie — in realtà sapeva niente riguardo alle cause del nostro problema. “Non posso darti risposte al 100% sicure relative al tuo caso, e nessun agente dell’assistenza probabilmente potrà dartele.”
Ma allora perché inventare risposte, contraddicendo a volte se stessi quando non i propri colleghi? Secondo la nostre fonte dipende da un misto di inesperienza e dalla necessità di non ricevere valutazioni negative: “Ci si affida a ciò che il team interno dice, e si cerca di dare risposte che rendano felice l’utente in modo tale da salvare la faccia dell’azienda e non portare a casa un feedback di fine chat negativo. Purtroppo, spesso eravamo costretti a questi giri di parole, proprio perché alcuni processi legati al’’algoritmo non sono trasparenti né per gli utenti, né per noi assistenti.”
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in copertina, elaborazione da foto CC Anthony Quintano