Tre motivi per cui Dickinson è la serie più importante di questo autunno
Dickinson è il regalo che serviva all’internet del 2019: una serie che parla di genere, depressione, e talento — e lo fa con una indomabile forza vitale e con una finezza rara.
Dickinson è il regalo che serviva all’internet del 2019: una serie che parla di genere, depressione, e talento — e lo fa con una indomabile forza vitale e con una finezza rara.
Dickinson non ha nessun buon motivo per funzionare, e cercando di descriverlo in queste righe, è quasi impossibile convincervi che funziona.
Non c’è assolutamente nessuna ragione perché Dickinson possa funzionare: tra le serie di lancio di Apple TV+, porta sulle proprie spalle parte della responsabilità di definire quello che il nuovo servizio di streaming vuole essere, come House of Cards e Orange is the New Black fecero per Netflix. Questa necessità si riflette — un po’ troppo forse — negli altri titoli di lancio, chiaramente selezionati per dare al servizio l’aura di un “nuovo HBO.”
Dickinson, invece, è una serie perfettamente figlia di internet. Se al suo interno si possono riconoscere gli ingredienti di Euphoria (un’altra serie HBO), l’aspetto preponderante è certamente quello della dissonanza tra la ricostruzione minuziosa degli anni Cinquanta dell’Ottocento, e il linguaggio e la presentazione delle vicende strettamente contemporanei. È una dissonanza che nei primi tre episodi della serie — quelli finora disponibili — non diventa mai vecchia. Alena Smith, la creatrice della serie, insieme a Rachel Axler e Ali Waller (co-autrici del secondo e terzo episodio) usano l’espediente con grande maturità — solo raramente come sketch e sempre per approfondire temi centrali della produzione e della vita di Emily Dickinson.
La premessa della serie — una rilettura queer e femminista dell’adolescenza di Emily Dickinson — è realizzata con sapienza, senza suonare moraleggiante, e anzi, conscia di non potersi prendere sul serio. Da Wiz Khalifa nel ruolo della Morte (sì), un’allucinazione di una Dickinson annoiata, all’atteggiamento che Hailee Steinfeld costruisce per la poetessa che interpreta; il tono della serie è strettamente contemporaneo, e usa la propria ambientazione per rinforzare le proprie argomentazioni, non come divertissement.
Dickinson non è solo una serie divertente però, — anche se basterebbe questo — ma è anche una serie importante.
La ricostruzione di un mito
La poetica di Emily Dickinson è celebrata dalla scuola — statunitense come italiana — ma la sua biografia è spesso deformata in funzione antiretorica e tossica. Dickinson, la persona oltre la poetessa, è completamente assente dai libri di testo, che si limitano a tratteggiare i confini di una hikikomori ante litteram, ritirata dalla società, che scrive pensieri profondi, ma a cui non è concesso essere umana. Le vicende di Dickinson sono largamente di fiction, ma riempiono di personalità una figura che può essere un punto di riferimento, in particolare per i più giovani. La serie sfrutta la poesia della protagonista e il contesto storico per dare una valenza universale e senza tempo ai temi fondamentali della fiction per giovani adulti: la costruzione di una propria identità, il conflitto generazionale, il mancato riconoscimento dei propri talenti e dei propri meriti. Sono temi complessi che spesso vengono affrontati con la scure al posto della penna, e invece Dickinson eredita il tono posato dalla propria protagonista: i genitori di Emily sono evidentemente antagonisti nella storia, baluardi di ideali sorpassati e tossici, ma sono anche esseri umani, ben definiti e non solo macchiette.
La decostruzione dei temi delle serie in costume
Nei soli primi tre episodi, le autrici non cercano di sfuggire da nessuno dei temi dei drama in costume, ma lavorano puntualmente per mostrare i limiti delle idee del periodo, anche quando chi parla è la protagonista, o i suoi amici. Nell’ora e mezza dei primi tre episodi si parla diffusamente del ruolo della donna nella famiglia e nella società — si tratta dopotutto del fronte principale di rottura tra Dickinson e i suoi genitori — ma anche del valore del lavoro, di schiavitù e di sessualità. Nel contesto di una commedia come Dickinson, una resa problematica di uno qualsiasi di questi temi sarebbe quasi scontata, in particolare in una produzione televisiva. Uno dei temi di questo primo arco narrativo è il rifiuto da parte di Dickinson di aiutare a fare “i lavori di casa,” vera e propria religione per la madre, e vero strumento oppressivo della società Ottocentesca. Ma siamo nella casa di ricchi signori, per cui il dibattito sul ruolo della donna nella casa diventa immediatamente “perché non abbiamo un’inserviente?” Alena Smith riesce però a guardare anche queste scene, particolarmente complesse, con un occhio strettamente contemporaneo, senza sminuire la lotta di Dickinson in capricci, ma anche senza umiliare il ruolo della donna che aiuterà la famiglia in casa. La finezza dei narratori continua nelle scene tra Dickinson e Susan Gilbert, amica d’infanzia e futura sposa del fratello, di cui è irrimediabilmente innamorata.
Una ricontestualizzazione per la cultura pop del XXI secolo
La poetica di Dickinson è particolarmente brillante non solo per la propria limpidezza o per le proprie digressioni enfatiche, ma anche perché parla di temi strettamente vicini alla generazione di contemporanei della diciottenne Emily della serie.
Oltre alle descrizioni naturalistiche, Dickinson ha scritto con profondità anche di amore e morte, in testi che descrivono una profondissima angoscia esistenziale. Nel pilota della serie, la Morte (Wiz Khalifa) anticipa a Dickinson che una grande strage sta per arrivare. È una premonizione — ovviamente del tutto fantastica — della guerra di secessione americana, inquadrata di nuovo da una breve conversazione a tavola, quando il padre di Dickinson annuncia che progetta di candidarsi al congresso con una piattaforma “moderata, seppure contro lo schiavismo.”
In anni in cui essere autori di meme sulla depressione è una professione la poetica, e la figura, di Dickinson sono non solo perfetti, ma anche perfetta antitesi del nostro odio verso noi stessi, cinico e derisorio. In questo senso, più che in ogni altro, Dickinson sembra essere un regalo per internet: con la propria mitizzazione della Morte (Wiz Khalifa) (non ci stufiamo di ripeterlo), con la propria colonna sonora con brani di Lizzo e Billie Eilish, mette in scena una commedia che parla di depressione, identità di genere, ruolo della donna, ma lo fa con uno spirito vitale indomabile e prezioso.
Dickinson è disponibile in streaming su Apple TV+.