Il carcere per i “grandi evasori” non è la lotta all’evasione fiscale che serve in Italia

Secondo il Tesoro, manca all’appello il 63 percento dell’IRPEF dovuto: il problema dell’evasione fiscale in Italia è sistemico.

Il carcere per i “grandi evasori” non è la lotta all’evasione fiscale che serve in Italia

in copertina, rielaborazione di foto via Instagram

Secondo il Tesoro, manca all’appello il 63 percento dell’IRPEF dovuto: il problema dell’evasione fiscale non è solo di pochi “grandi evasori,” ma sistemico.

Con l’approvazione del decreto che prevede il carcere per i “grandi evasori” anche questa volta chiuderemo un occhio sull’evasione fiscale “reale,” evitando di affrontare il problema culturale che da decenni affossa l’Italia e che continuerà a impedirne lo sviluppo anche nei prossimi anni.

Uno dei demeriti più insidiosi dei governi Berlusconi è sempre stato quello di aver giustificato e incentivato, più o meno direttamente, i comportamenti peggiori dell’elettore medio italiano, assecondando a più riprese i suoi istinti più sgradevoli. Dall’immagine dello Stato che mette “le mani nelle tasche degli italiani,” con la quale per anni si è ammiccato agli evasori gettando discredito sulle istituzioni, all’utilizzo indiscriminato del condono venduto come un gesto di umanità, da più di vent’anni una parte consistente della politica italiana cerca di inculcare l’idea della deroga, che ci sia sempre un motivo valido per non rispettare una regola e che, in ogni caso, sia sempre qualcun altro a doverla rispettare prima di noi e al nostro posto — i poteri forti, le lobby, i dottoroni. In campo fiscale Berlusconi questa cosa l’ha più o meno brevettata, affinandola negli ultimi venticinque anni sull’elettorato di partite IVA e piccoli imprenditori che fin dalla nascita hanno rappresentato il nocciolo dei votanti di Forza Italia.

Cosa succede oggi

Se qualcuno si aspettava dal governo Pd-Cinque stelle un cambio di passo netto rispetto al passato, ma anche alle esperienze più recenti — a dire il vero almeno su questo fronte ce lo si sarebbe potuto aspettare — si sbagliava di grosso. Nonostante il governo Conte bis abbia annunciato fin dal giorno del suo insediamento una lotta dura all’evasione fiscale, alla fine le misure che metterà in campo non costituiranno un vero cambio di visione rispetto ai governi precedenti.

Le aspettative sui ricavi dalla lotta all’evasione sono già stati ridimensionati. Dai 7 miliardi iniziali che si pensava di poter recuperare si è passati a 3 miliardi di gettito atteso. Si punterà tutto sui grandi evasori, prendendo come esempio il fisco statunitense. In un’intervista pubblicata mercoledì 23 ottobre dal Corriere della Sera il Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha esaltato la nuova norma che prevede il carcere da quattro a otto anni per chi evade cifre superiori a centomila euro. “Secondo l’Agenzia delle entrate, coloro che evadono oltre quel limite rappresentano l’82,3% delle somme evase nel totale: di fronte a questa situazione è inaccettabile che lo Stato rinunci all’azione penale.” Presentandola, Bonafede ha parlato di “svolta culturale.” Secondo Marco Travaglio “è la normativa più avanzata e più coraggiosa in tema di evasione e di frode che si sia mai vista nella storia repubblicana.”

Ma purtroppo non è una svolta culturale

Secondo uno studio della University of London in Italia l’evasione fiscale vale circa l’11,5% del Pil — la media UE è del 5,5%. Solo nel 2015 sono stati evasi 190,9 miliardi di euro su un totale di 823,5 miliardi evasi nell’intera Unione Europea. È evidente che per parlare di svolta culturale si sarebbe dovuto affrontare di petto il problema della piccola evasione. Scrive Davide Maria De Luca sul Post: “Secondo le stime, la tassa più evasa è l’imposta sul reddito (IRPEF) pagata da autonomi e imprenditori: il 63 per cento del dovuto, cioè circa 33 miliardi di euro, non arriva al fisco. Più evasa ancora (in termini assoluti, se non percentuali) è un’altra imposta pagata o intermediata da queste categorie: l’IVA, l’imposta sugli scambi di beni e servizi. Il governo stima che ogni anno circa 35 miliardi di euro di IVA non vengano versati.” Le cifre riguardanti l’IRPEF sono confermate anche dal Tesoro. Li ha citati in diretta Lilli Gruber durante la puntata di Otto e mezzo del 22 ottobre. “Autonomi, professionisti e imprese individuali evadono 32 miliardi all’anno, ovvero il 70% dell’IRPEF totale che lo Stato si aspetta.”

Se da un lato è giusto che lo Stato punisca chi evade le cifre più consistenti e rivendichi con fermezza le prese di posizione in favore della legalità — le tasse si pagano, le leggi si rispettano — bisogna notare come il governo stia facendo di tutto per far passare inosservati il rinvio di quelle pratiche che permetterebbero veramente di combattere l’evasione fiscale: l’abbassamento della soglia di utilizzo del contante, l’introduzione di incentivi per i pagamenti tracciabili, il potenziamento degli organi di controllo attraverso l’aumento di risorse e l’ampliamento dell’organico. È vero, quando si parla di cifre e si osserva la situazione dall’alto, nel suo complesso, i numeri li fanno i grandi evasori. E, a dirla tutta, il recupero delle tasse non versate è in aumento progressivo dal 2006. Ma l’evasione coperta è ancora pari a 107 miliardi di euro e rafforza la convinzione che il problema dell’Italia in materia di evasione sia endemico e strutturale. È connotato nei cittadini e nella storia del nostro Paese — Sergio Rizzo ha scritto che il primo condono fu fatto dall’imperatore Adriano cancellando i debiti con il Fisco degli ultimi sedici anni di tutti i cittadini dell’impero —  e fa ormai parte delle pratiche quotidiane di piccoli commercianti, artigiani, partite IVA, liberi professionisti — ma indirettamente ci siamo dentro anche noi che facciamo finta di niente quando non ci viene dato lo scontrino o accettiamo di avere un piccolo sconto pagando in nero.

C’è chi rema contro

L’abbiamo detto all’inizio, se oggi siamo così affezionati al contante lo dobbiamo soprattutto a Silvio Berlusconi. Nel 2013 raccontava all’agenzia VISTA: “Tutti gli oggetti di lusso, quelli che fanno la gioia delle signore e che sono le scarpe, le borsette, le pellicce, gli abiti, vengono comprati all’estero da chi può farlo e questo ha portato a una diminuzione dei fatturati di molte aziende e di molti settori. Quindi un incremento della cifra possibile da spendere in contanti credo sia vantaggioso per una ripresa di interi settori dell’economia e quindi di tutta l’economia.” Oggi l’uso del contante è difeso dall’ala più estrema del centrodestra. Lorenzo Fontana parla di “intromissione nella vita e nelle abitudini di tutti noi,” Giorgia Meloni scrive: “Se un papà vorrà donare più di 1000€ al proprio figlio dovrà per forza farlo con bonifico, altrimenti multa salata.” Per Matteo Salvini si tratta invece di evasione per necessità, ovvero “molti non pagano le tasse perché non possono farlo.”

La digitalizzazione dei pagamenti e la lotta all’evasione fiscale sono battaglie necessarie ma impopolari. Non minano alcuna libertà individuale, bensì riducono l’illegalità. Se anche questo governo chiuderà un occhio sulle storture profonde del nostro Paese preferendo il sensazionalismo degli annunci — ve lo ricordate il “blitz” a Cortina? — a una riforma profonda che implichi un cambio di prospettiva a lungo termine e un percorso culturale tortuoso, precluderà le possibilità che l’Italia cambi passo, sul serio, e progredisca — non solo dal punto di vista economico — nei prossimi anni.