EGnGVd6VAAAmx0z

in copertina, foto via Twitter. Manifestanti a Hong Kong puntano i propri laser contro un foglio per dimostrarne l’innocuità

C’è molto da imparare dalle proteste che hanno attraversato il mondo quest’anno: dall’organizzarsi su Telegram al distribuire volantini tramite AirDrop.

È difficile parlare dell’uso di app, social network e telecomunicazioni per organizzare proteste e manifestazioni dopo l’esperienza delle primavere arabe. Sull’uso di Facebook e Twitter nelle mobilitazioni in Medio Oriente e Nord Africa è stato scritto molto, e in modo molto approfondito, ma a distanza di sette–nove anni dalle proteste, è ancora difficile farne un’analisi matura e senza hype. Su tutte, resta non risolta la domanda più grossa: sappiamo che i social media rendono più facile mobilitarsi, ma siamo certi non rendano più difficile organizzarsi? Non si è trattato tanto di movimenti senza leader, quanto di movimenti senza un programma — senza un’ideologia — ben definita. Un discorso simile si potrebbe fare sul movimento statunitense Occupy, che ha scosso il mondo per poi ottenere molto poco di quello a cui ambiva.

Negli ultimi mesi abbiamo visto succedersi una serie importante di mobilitazioni, proteste, sollevazioni popolari — da Hong Kong, ovviamente, al Cile, passando per la Catalogna, il Libano, l’Iraq, e molte altre. A differenza di Occupy Wall Street e dei movimenti della Primavera Araba, queste proteste sembrano non solo generalmente meglio organizzate, ma anche ideologicamente più solide, con richieste esplicite, e libere da spettri di lotte tra poveri o settarie.

Le tattiche adottate dai manifestanti a Hong Kong stanno facendo scuola, e lo stesso presidente del Cile, il miliardario conservatore Piñera, ha sottolineato come la logistica di chi protestava gli ricordasse quella del “crimine organizzato.” Ci troviamo così a sottolineare l’utilizzo dei mezzi digitali di organizzazione, quasi un decennio dopo, con la possibilità che questa volta siano strumenti utili per la protesta e non come semplice spunto giornalistico

Di seguito abbiamo elencato alcune delle lezioni che si possono trarre dalle storie dei contestatori di quest’anno, organizzate dalle più semplici alle più complesse.

Organizzarsi

Usare app di chat criptate

L’uso di app di messaggistica criptata — dalla onnipresente WhatsApp a Signal, passando per Telegram, ben diffusa — sono il minimo sindacale se avete bisogno di parlare in riservatezza di dove andare a protestare domani mattina. Tra queste, Telegram è probabilmente il servizio più utile a fini organizzativi, perché permette di creare non solo canali di broadcasting ma anche di tenere sondaggi istantanei all’interno di una chat, permettendo di prendere scelte in gruppo molto rapidamente. Va però ricordato che nessuno di questi servizi garantisce oggi completa sicurezza. Come rivelato da Lorenzo Franceschi-Bicchierai e Riccardo Coluccini, anche in Italia era distribuito un malware governativo per Android che permetteva alla polizia di leggere le conversazioni di Facebook Messenger, Viber, e WhatsApp. Inoltre, qualsiasi modello di chat “centralizzata” come questi servizi espone a rischi di attacchi DDoS da parte dello stato contro cui stiamo protestando, che può provare a rendere il servizio lento o inaccessibile, come avrebbe provato a fare la Cina nei confronti di Telegram lo scorso giugno.

Un uso fondamentale degli strumenti di messaggistica è la compartimentazione: non serve avere solo grandi chat di gruppo, ma è necessario organizzarsi in tantissimi gruppi chiusi, in particolare con referenti tecnici. I contestatori di Hong Kong si interfacciano costantemente in chat con gruppi di avvocati, medici, infermieri, e grafici, che li possono suggerire e aiutare nell’organizzazione della mobilitazione. L’organizzazione in diverse chat parallele permette di organizzare il lavoro senza ricadere necessariamente in modelli verticistici.  

Nascondere la propria identità

Come scrivevamo prima, le chat criptate non garantiscono completa sicurezza, soprattutto se il proprio telefono è stato compromesso. I contestatori ad Hong Kong e Barcellona cercano di “frammentare” la propria identità il più possibile, utilizzando account con username diversi su tutti i propri device, cercando di ruotare le conversazioni su vecchi telefoni o tablet che avevano già di proprietà, e anche da un’app all’altra — se ha una funzione di comunicazione, va bene, che sia Telegram, Tinder, o anche Pokémon Go. Oltre a Telegram, le proteste di Hong Kong sono organizzate su LIHKG, una piattaforma strutturalmente simile a Reddit, che può essere usata anche solo via web e permette l’iscrizione solo a un’utenza collegata da un provider di Hong Kong. Il meccanismo di upvote e downvote di LIHKG si è rivelato più di una volta fondamentale a Hong Kong, permettendo ai contestatori di evitare trappole della polizia giudicando le segnalazioni in base a quanto erano state votate precedentemente.

Spiegarsi

Bluetooth

Con il protrarsi delle proteste è necessario non solo continuare a organizzarsi, ma anche parlare con le persone che convivono con le manifestazioni — per spiegarsi, per non sparire sotto la pressione della propaganda del governo, per trovare altri compagni di lotta. Per farlo, gli attivisti di Hong Kong utilizzano AirDrop, la tecnologia Apple che permette di inviare file attraverso bluetooth e wi-fi peer-to-peer. Tantissimi tengono il proprio telefono impostato in modo da poter ricevere file anche da “sconosciuti,” perché AirDrop è un modo molto rapido per passarsi documenti sia a casa che al lavoro — ma a quanto pare è anche un ottimo modo per inviare volantini e documenti. L’uso di AirDrop è tattico, sebbene il protocollo bluetooth non sia particolarmente sicuro, perché permette di inviare documenti solo a persone che sono nelle estreme vicinanze, evitando di inviare documenti a casaccio. Inoltre, ogni documento ricevuto via AirDrop viene visualizzato con un pop-up modale sul telefono, dando quindi un’ottima rilevanza al proprio contenuto.

La comunicazione locale via Bluetooth può essere utile anche in momenti di protesta concitata: sempre a Hong Kong durante le proteste in tantissimi hanno usato Bridgefy, un’app che permette di mandare messaggi senza usare internet, ma attraverso una rete mesh bluetooth

Cosa deve dire una protesta

Un malinteso che ha distrutto tantissime proteste degli ultimi anni, soprattutto quelle appunto leaderless e dall’organizzazione orizzontale, è una tendenza al gigantismo delle richieste e dei “programmi” dei contestatori. Le proteste di quest’anno, in particolare, oltre a quelle di Hong Kong quelle di Extinction Rebellion a Londra, dimostrano una nuova maturità nella comunicazione delle ragioni di chi protesta.

Le proteste di Hong Kong, in Libano, a Londra sono caratterizzate da pochissimi punti, rigidi, inamovibili, radicali. Il migliore esempio, come dicevamo, è Extinction Rebellion. Il gruppo ha solo tre richieste: annunciare la crisi climatica, darsi come obiettivo l’azzeramento delle emissioni entro il 2025, e la gestione della politica ambientale a livello popolare. Di questi tre, il più interessante è il secondo: arrivare a zero emissioni in meno di sei anni non è tecnicamente impossibile, ma poco ci manca. Il punto non è pretendere davvero che l’obiettivo sia raggiunto — XR non è un partito politico: visto che quasi certamente le scadenze che i governi si sono imposti non saranno rispettate, è fondamentale darsi quanto più anticipo possibile per realizzare la conversione entro un tempo utile. 

L’obiettivo immediato è quello di spostare la finestra di Overton attorno alla risposta alla crisi climatica. Definita dal sociologo Joseph Overton, la finestra è lo spazio di dibattito che va da “impensabile” a “legge.” Ponendo con forza pretese radicali, XR, come i contestatori in Libano e Cile, stanno spostando forzosamente la finestra di Overton, portando nel discorso politico parlamentare misure che fino a poche settimane prima erano oltre il radicale.

Vasta scala

Sviluppare le app che servono

Quando le proteste raggiungono una scala simile a quelle di Hong Kong e Barcellona l’uso di strumenti non dedicati non è semplicemente più sostenibile. Muoversi su app e piattaforme di grandi aziende o multinazionali inizia a diventare un pericolo personale rilevante, in particolare in paesi dove le forze di sicurezza o il governo arrivano a paragonare le proteste a azioni di terrorismo. 

A Hong Kong le proteste si muovono grazie a un’app di mappe crowdsourced, HKMap.live, dove è possibile vedere costantemente dove sono presenti i posti di blocco all’interno della città. L’app è stata al centro di uno scandalo perché Apple l’ha rimossa dal proprio App Store, ma è un’app interamente costruita su tecnologie web, che può essere utilizzata senza nessun controllo da chiunque abbia un telefono con un browser moderno. La potete provare anche voi a questo link, se non siete a Hong Kong vi dirà che non siete “entro i confini della mappa,” ma vi permetterà comunque di navigarne l’interfaccia. In Catalogna Tsunami Democràtic utilizza Twitter e Telegram per raggiungere il pubblico più vasto possibile, ma ha costruito una vera e propria app, disponibile solo per telefoni Android e non attraverso il Play Store ma solo attraverso sideloading — la possibilità di installare app fuori dai canali di distribuzione ufficiali, fornita da Google su Android ma non da Apple. Il link all’app è disponibile solo sotto forma di QR Code, generabile da chi sia già all’interno del network. Una volta scaricata, l’app inserisce l’utente in una “cellula” locale, permettendogli di comunicare con altri attivisti vicini a lui, e di organizzare i lavori sul territorio. La diffusione fuori dagli schemi istituzionali e l’organizzazione locale dovrebbe permettere a Tsunami Democràtic di organizzare proteste in molti posti contemporaneamente, e di evitare con maggiore efficienza il controllo delle forze dell’ordine.

Blogger, designer, cose web e co–fondatore di the Submarine.