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Recup è un’associazione di volontari che cercano di salvare dai mercati cittadini il cibo che altrimenti sarebbe buttato. Abbiamo passato una giornata con loro al mercato di Pasteur.

Il consumismo ha un’altra faccia: quella dello spreco. Viviamo in un sistema economico dove l’importante è vendere quante più merci possibile — se poi qualcosa avanza e va buttato, pazienza. Secondo i dati pubblicati dalla FAO a febbraio, solo in Italia ogni anno vengono sprecati 149 kg di cibo a testa, per un valore di 15 miliardi di euro totali. Tutto questo mentre sul pianeta quasi un miliardo di persone non ha cibo a sufficienza.

Uno dei punti deboli della filiera alimentare, in cui gli alimenti corrono maggiormente il rischio di essere gettati via, è quello della distribuzione. Al termine di una giornata di mercato, le strade sono sempre lastricate di prodotti invenduti e lasciati a marcire. In Italia, il 13% degli alimenti dispersi viene sprecato sui banchi dei centri commerciali e dei negozi.

A Milano però c’è chi prova a fare qualcosa per cambiare questa situazione: per esempio Rebecca Zeccarini, una ragazza che nel 2015, da sola, alla fine di un giorno di mercato in viale Papiniano, ha deciso di chiedere ai negozianti di farsi consegnare l’invenduto per offrirlo ai passanti che ne avessero bisogno. È stato l’inizio di Recup, un’associazione che negli ultimi quattro anni è cresciuta fino a contare più di quaranta volontari. Siamo andati a trovarli al mercato di Pasteur per vederli all’opera.

Quando arriviamo, intorno al banchetto di Recup si stanno affaccendando alcune signore sudamericane, intente a pulire varie cassette di cime di rapa insieme a un anziano italiano. Per prima cosa, Rebecca ci spiega come funziona di preciso la raccolta e la redistribuzione dell’invenduto. E, in realtà, è un procedimento molto semplice: “verso la chiusura facciamo un paio di giri tra le bancarelle di frutta e verdura per raccogliere quello che ci danno. Evitando di far concorrenza alla vendita naturalmente.”

Questo mercato è in una delle zone più multietniche della città: si snoda tra via dei Transiti, via Termopili e via Marco Aurelio, nel quartiere che spesso viene definito (purtroppo) NoLo. “Siccome la gente va a raccogliere si crea una comunità anche di amici: le persone collaborano, non fanno assistenzialismo. È un servizio in cui chi riceve partecipa,” ci spiega Rebecca. Uno degli obiettivi di Recup, infatti, è quello di creare una comunità, facendo interagire persone che non hanno niente a che fare l’una con l’altra — se non frequentare lo stesso mercato. 

Oggi sul banco di Recup si trovano: cetrioli, spinaci, albicocche, cime di rapa, meloni, erbette, lattuga, kiwi molto piccoli — e per questo invenduti — prezzemolo, pomodori. Vedere da vicino quante cose sarebbero state buttate dà molto più disagio che leggere le cifre degli sprechi, che per quanto siano notevoli non rendono l’idea. Proviamo un’albicocca: è matura, ma ancora decisamente commestibile. Però le logiche del mercato, se non ci fosse stata Recup, l’avrebbero relegata inesorabilmente al bidone dell’umido. “Questa è tutta roba che sarebbe stata buttata via. Si tirano su tra i 300 e i 400 chili ogni volta,” secondo Giulio Mandara.

Giulio collabora con Recup fin dai primi tempi, e cerca di coordinare la raccolta al mercato di Pasteur. Sa cosa vuol dire arrivare in un mercato e svolgere un’attività senza scopo di lucro — il che significa, banalmente, convincere i commercianti che non gli si sta facendo concorrenza. “Sì, all’inizio devi spiegare e farti conoscere, far capire che quello che fai non è solo prendere il cibo, ma anche organizzare un’attività di recupero.”

Recup oggi sta cercando di espandersi e, come sostiene Giulio,  “tutto quello che è sostenibilità è collaterale al nostro progetto.” Ad esempio, attività come la creazione di colori con i pigmenti della verdura, il compostaggio o la formazione nelle scuole. In un mercato può capitare che anche il 20% non venga redistribuito e sia ancora commestibile — con un grande spazio a disposizione, la redistribuzione di quanto ottenuto alla fine delle giornate potrebbe essere ancora più efficace.

Recup è attivo in altri 10 mercati, oltre a quello di Pasteur. “In ogni mercato in cui lavoriamo utilizziamo un’attrezzatura più o meno stabile,” ci racconta Rebecca, “che va dal tavolo alla cargo bike nei mercati più o meno grandi. Nel direttivo siamo in 10, più varie altre persone. È difficile calcolare con precisione, e credo non sia nemmeno così importante.” Recup ha iniziato ad agire anche in situazioni differenti dai mercati rionali — ad esempio in grandi manifestazioni come Fa’ la cosa giusta, o la fiera dell’artigianato. “E lì il cibo sprecato si conta a tonnellate.”

A partecipare alle attività sono soprattutto giovani, universitari e liceali. “Ogni mercato è diverso, anche solo come estrazione sociale delle persone che lo frequentano. Dai primi di maggio abbiamo una sede in piazza Abbiategrasso,” ci spiega Rebecca. Oggi, Recup è composta da volontari, ma sarebbe ovviamente una buona cosa riuscire a ricevere un compenso per il lavoro svolto. “La nostra idea per il futuro è di essere un’impresa sociale per creare posti di lavoro e attivare un laboratorio di trasformazione del cibo. Abbiamo vinto un bando di Fondazione Cariplo, dobbiamo capire se fare un laboratorio o altri servizi, e se riusciremo a trovare lavoro per noi. E anche dare lavoro.”

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tutte le foto di Elena Buzzo

Questo articolo è apparso per la prima volta sul nostro primo numero di carta, ANTIFOOD.
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