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in copertina, foto via Flickr, di maxalari

Salvini non è riuscito nemmeno a unire l’Italia nell’odio contro lo straniero: perché ci sarà sempre un povero più vicino. E la sinistra finora è stata completamente incapace di costruire narrazioni alternative a quelle discriminatorie.

L’Italia ha un problema con il razzismo. Nonostante le dichiarazioni di molti politici di destra — guarda caso proprio la parte politica che grazie al razzismo ha costruito la propria fortuna elettorale — essere diversi, in questo paese, è fonte di povertà, svantaggi, bullismo istituzionale e non. Matteo Salvini ha provato a unire tutta l’Italia sotto la bandiera dell’odio per lo straniero, tentando di espandere il proprio consenso dove un segretario leghista non avrebbe mai pensato di andare a raccogliere voti: il meridione.

In parte ci è riuscito, in parte no: le percentuali di gradimento della Lega al sud, per quanto stupefacenti pensando alla situazione di qualche anno fa, rimangono ancora oggi molto più basse che al nord. Le contestazioni più aspre a Salvini si sono viste proprio nei posti in cui ci si può aspettare di veder contestato un leader leghista abbastanza incosciente da salire su un palco in piazza: Soverato (CS), Potenza, Catania. E il sud ha ragione a diffidare: ancora oggi, nel nord del paese serpeggia un odio per il meridione diffuso e ben radicato, nell’elettorato come nella classe politica.

Venerdì è circolata una notizia “shock” — definizione di Today: una ragazza foggiana si è vista negare una casa in affitto in provincia di Milano in quanto, appunto, di Foggia. La proprietaria, in un audio ampiamente diffuso da quotidiani e social network, si definisce orgogliosamente “razzista, leghista e salviniana.” La signora ha fornito alla ragazza una utile mappa del suo cosmo esistenziale: “Per me rom, neri, meridionali, sono tutti uguali. Guardi io sono proprio una razzista al cento per cento. Se vuole comprarsi la casa se la compra, quello che conta è ciò che c’è scritto sulla carta d’identità e io da lombarda e di Salvini la penso così. Io sono razzista e per me mi va benissimo e quello che pensa lei a me non me ne frega un cazzo.” Qualche ora dopo Salvini ha fatto sapere che riteneva la posizione della signora “da cretini,” mentre la signora stessa ha scelto di scusarsi in un posto molto adatto: una diretta su La zanzara. Ma ormai il danno era fatto.

Non è stato l’unico episodio di razzismo verso persone meridionali dell’ultimo fine settimana. Un’impiegata palermitana residente a Forlì è stata aggredita dai vicini di casa in seguito a una lite sul parcheggio condominiale. Si è sentita urlare addosso cose come questa: “Non hai capito che tu non hai diritto al parcheggio perché sei in affitto? Morta di fame e terrona puzzolente. Noi siamo proprietari e ne possiamo mettere anche due di macchine.” Poi i vicini le avrebbero pestato un piede e sputato in faccia: “sei una mafiosa terrona. Qui non vi vogliamo, siamo tutti stanchi di te.” La signora sporgerà denuncia — ora ha comprensibilmente timore a mettere piede fuori dalla propria abitazione.

Per finire, una storia con un finale più positivo: ieri un milanese è stato cacciato da un bed and breakfast di Palermo dopo che non ha avuto nessuna migliore idea se non mettersi a raccontare barzellette sui siciliani in casa di una siciliana.

Il razzismo verso i meridionali in nord Italia ha una tradizione lunga almeno un secolo, coincidente con il diverso grado di sviluppo capitalista delle diverse regioni italiane dopo l’Unità d’Italia. L’episodio del mancato affitto alla ragazza di Foggia ha richiamato alla mente di molti i famosi cartelli “non si affitta ai meridionali” diffuse in molte città del nord negli anni del boom economico del dopoguerra. Oggi un atto di razzismo così esplicito non sarebbe più accettato, ma ciò non vuol dire che il sentimento ideologico di base sia stato sradicato dalla società.

Il razzismo verso i meridionali, infatti, ha da molto tempo visto le stesse dinamiche di quello verso gli stranieri o i rom, anzi forse ne è stato addirittura un precursore. Si è deciso di avvolgere il duro odio in manifestazioni politiche più accettabili rispetto a quanto visto nella prima metà del novecento, in un mondo in cui è stato dimostrato che le razze umane, ehi, non esistono. Dalla fine degli anni ‘80 la Lega è stato il principale catalizzatore di questo sentimento, radicato come detto già da molti decenni, e ha sempre costruito le sue battaglie politiche su un doppio binario: uno superficiale e civile, con richieste come la “devolution” e la critica alla burocrazia italiana; e uno più profondo, caratterizzato da quello che oggi viene definito dog whistling e che fa leva sul razzismo feroce diffuso nelle provincie delle proprie regioni forti. 

È utile ripescare un sondaggio svolto da Bergamo oggi nell’ormai lontano 1989 sul sentimento antimeridionale nella propria area, svolto in fase post-elettorale: “non sorprende il 14 per cento ottenuto dalla Lega Lombarda a Bergamo città nelle ultime elezioni europee, un exploit che si annuncia tutt’altro che passeggero.”

Il 62 per cento dei bergamaschi non accetterebbe un marito o una moglie proveniente dal sud, il 54 per cento non sceglierebbe mai un medico meridionale, e il 67 per cento non vorrebbe un insegnante terrone. L’aumento della delinquenza coincide con le ondate di immigrazione dal Sud?, recita la quarta domanda del questionario di Bergamo oggi. Risponde sì il 66 per cento degli intervistati, la stessa percentuale che poi sposa la tesi che i meridionali rubano case e lavoro ai bergamaschi. Al sesto quesito la risposta affermativa è addirittura plebiscitaria: 70 per cento, e riguarda le responsabilità dei meridionali nell’inefficienza della pubblica amministrazione. Per finire una domanda rovesciata: ritieni importante l’apporto dei meridionali all’economia bergamasca? Anche qui sono una valanga quelli che giudicano nullo questo apporto: il 68 per cento.

Ci si potrebbe immaginare che la nuova Lega “sovranista” di Matteo Salvini abbia messo da parte il razzismo nord contro sud per provare a dedicarsi al potenzialmente lucrativo nord-sud contro tutti: ma non è così. La prova più eclatante di questo razzismo freddo è il dibattito sulle autonomie regionali che ha animato l’ultima parte del governo gialloverde, e che è ancora calda in questo periodo — la cosiddetta “secessione dei ricchi.”

Tre regioni del nord — Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna — hanno infatti deciso di chiedere più poteri al governo centrale in vari settori amministrativi. Ne abbiamo parlato più volte in modo approfondito, ma la sostanza è semplice: le regioni più ricche vogliono tenersi più soldi per sé, e magari poter attuare provvedimenti con più comodità provvedimenti sottilmente discriminatori — ad esempio, escludere i meridionali dalle graduatorie per l’insegnamento sul proprio territorio. 

(È comunque interessante notare al volo che lo stato italiano spende in media a livello pro capite molto di più per i cittadini del nord rispetto a quelli del sud: 4.472 euro al Sud contro 6.034 al Centro-Nord per le politiche sociali; 1.606 contro 1.960 nella sanità. Un fatto che svela bene come la richiesta di autonomia si basi su presupposti prevalentemente “di pancia.”)

Vi suggeriamo la lettura dell’ottimo “Verso la secessione dei ricchi?” del professor Gianfranco Viesti, scaricabile gratuitamente sul sito dell’editore Laterza.

La richiesta di autonomia dallo stato centrale, nel caso di Lombardia e Veneto, è stata avanzata tramite due referendum giuridicamente non necessari, ma che hanno fatto sentire molto grossi i governatori leghisti Maroni e Zaia. Un dato molto inquietante sul quale ci si è soffermati poco, però, è che la richiesta di autonomia è stata avanzata anche da una regione in cui le istanze razziste sono in genere state meno forti, o meno sfruttate politicamente: l’Emilia Romagna.

La giunta guidata dal governatore Pd Stefano Bonaccini ha infatti deciso di seguire l’esempio dei colleghi oltrepadani e provare a ottenere di più dallo stato centrale, anche se non si è lanciata in una ridicola campagna referendaria. E Bonaccini non è stato il solo, nel proprio partito: una lunga lista di sindaci e politici di centrosinistra del nord ha scelto di sostenere lo sforzo autonomistico regionale — tra gli altri: Sergio Chiamparino, Giorgio Gori, Beppe Sala, concordando e appiattendosi in modo spettacolare sulle posizioni leghiste.

Questa adesione testimonia due cose: innanzitutto come, anche su temi locali, la sinistra istituzionale sia del tutto incapace di opporsi alla destra con narrazioni alternative a quelle discriminatorie, xenofobe e conservatrici della destra stessa. Non c’è stato nessuno del Pd che abbia detto la verità: che l’autonomia è una richiesta di privilegi economici e sociali fondata su basi razziste. Ma ci fa capire anche come il senso di superiorità di chi vive al nord rispetto al sud svantaggiato sia diffuso e radicato in modo trasversale: anche nell’elettorato e nella classe politica “progressista” di determinate regioni.

Se abitate al nord e non siete di origine meridionale, vi siete probabilmente imbattuti su base quasi quotidiana in battutine, commenti o discorsi d’odio esplicito da parte di amici o parenti di pura origine padana. Non siete mai andati in giro con qualcuno che una volta ha scherzato sul fatto che i meridionali arrivano in ritardo in compagnia? Non l’avete sentito dire da nessuno dei vostri parenti? Non le avete detto o pensate anche voi qualche volta? D’altronde è per quello che sono poveri, no? Perché non hanno voglia di lavorare.

Alla luce dell’evidenza di questa frattura politica e sociale, è assurdo e pericoloso non indicare il razzismo nord-sud come un effettivo problema centrale nell’Italia di oggi, che ha causato e causa grandi sofferenze sia a livello personale che sociale e politico — specie se la proposta di legge sull’autonomia andrà in porto — e i cui sintomi, come abbiamo visto semplicemente aprendo i quotidiani questo weekend, sono ben visibili.

L’attualità del problema, del resto, è uno specchio della perdurante disparità economica interna all’Italia, che 150 anni di governi post-unitari non sono riusciti in alcun modo a risolvere o attenuare. La forbice tra il nord e il sud del paese è infatti sempre molto larga, e dalla crisi del 2008 si è addirittura allargata. Uno stipendio medio in provincia di Milano è due volte e mezzo uno di Vibo Valentia; l’occupazione al nord è al 70% mentre al sud è al 47%; la speranza di vita è di 84 anni a Firenze mentre è di 80,7 a Caserta.

E il fattore decisivo, che testimonia la drammaticità del problema, è stato reso noto da un rapporto Svimez ai primi di agosto: negli ultimi 15 anni sono migrati dal sud al nord del paese circa due milioni di persone. Numeri da esodo bellico. Nel solo 2017, 132.000 abitanti del sud sono stati costretti a lasciare la propria area di origine; nello stesso anno, 175.000 ragazzi del sud risultavano iscritti a un’università del centro-nord, un quarto degli studenti universitari di quelle regioni.

Il razzismo verso i meridionali, in sostanza, non solo non è dimenticato o dormiente: è attivo e politicamente vitale. Questo significa che può essere usato con grande efficacia da formazioni politiche populiste e xenofobe per stabilire nuove politiche discriminatorie contro i più svantaggiati — uno dei motivi per cui il razzismo è stato inventato. 

È curioso ricordare che gli abitanti del Veneto, una delle regioni che oggi aderiscono con più entusiasmo al credo fascioleghista, sono stati a lungo soggetto di pesanti discriminazioni e di razzismo, almeno fino agli anni sessanta. Tutto è cambiato con il boom economico del nordest, che ha consentito agli abitanti della regione di raggiungere un tenore di vita paragonabile ai cugini lombardi — insomma, dal venire definiti “terroni del nord” a odiare i meridionali il passo è stato breve, e in buona parte dovuto a cause economiche.

È proprio nelle disuguaglianze economiche infatti che sta la radice del razzismo contro i meridionali, così come di quello contro gli stranieri — non a caso entrambi ben cavalcati dalla Lega nonostante l’apparente contraddizione tra gli slogan “prima il nord” e “prima gli italiani:” nell’odio non tanto verso chi è diverso, ma verso chi è più povero.