Diverbi di verbi di Federico Demartini dimostra il peso dei giochi di parole

Diverbi di verbi è un libro realizzato in letterpress da Claudio Madella di Good Types, estratto dalla rubrica Bisticci di Frizzifrizzi. Ci faremo spiegare quanto è difficile fare un libro intero in letterpress e perché è importante riconoscere il valore della retorica dei giochi di parole: al Rob d

Diverbi di verbi di Federico Demartini dimostra il peso dei giochi di parole

in copertina, foto di Dario Sonatore

Collezione estratta dalla rubrica Bisticci di Frizzifrizzi, Diverbi di verbi è un libro realizzato in letterpress da Claudio Madella di Good Types. Ci faremo spiegare quanto è difficile fare un libro intero in letterpress e perché è importante riconoscere il valore della retorica dei giochi di parole: al Rob de Matt sabato 7 settembre, alle 17:30.

Progettato in stretta collaborazione tra Claudio Madella di Good Types e Federico Demartini, autore della rubrica Bisticci per Frizzifrizzi, Diverbi di verbi è un volume in quaranta pagine realizzate in letterpress — un’opera enorme — che raccoglie otto verbi estratti dalla rubrica della rivista online.

Stampato nel laboratorio di stampa tipografica Officina Novepunti, Diverbi di verbi usa la propria fisicità — stampato in letterpress, rilegato a mano con rivetti metallici — per dare una nuova fisicità ai giochi di parole di Bisticci.

Incontreremo Demartini e Madella sabato 7 settembre al Rob de Matt, nel contesto di Gomma Festival, per farci spiegare quanto è difficile fare un libro intero in letterpress, e perché è importante riconoscere il valore della retorica dei giochi di parole. Nel frattempo, abbiamo raggiunto Demartini al telefono per farci raccontare come il percorso che ha portato alla pubblicazione del volume.

foto di Dario Sonatore

Partiamo dall’inizio: raccontami che cos’è Bisticci, su internet e sulla carta, prima di essere un libro.

La rubrica è nata dalla stima per il lavoro editoriale di quel magazine e dei suoi fondatori. Bisticci è cominciato come una rubrica di opinione, che ha come punto di partenza le parole — il metodo con cui noi animali sociali dialoghiamo per costruire un sentiero comune. Il format parte da questi giochi di parole che vengono stampati e poi fotografati nel contesto in cui vanno a finire — e diventano punto di partenza per una discussione.

Ho scelto di fare i bisticci in bianco e nero e con una macchina da scrivere per uscire dal problema di non saper disegnare, di non saper fare niente in termini di art direction. Invece alla fine anche Pietro Corraini mi ha spiegato che ho tirato fuori una delle art direction più forti che si possano fare. La metafora del format è quella del dizionario, con un lemma e sotto degli esempi d’uso, ma in questo caso quasi non servono a niente, perché sono duplici, è un gioco.

Perché poi il Bisticcio non è soltanto il doppio gioco di parole, il 99% delle volte uso l’omonimia, il doppio significato.

Il ruolo delle parole è fondamentale nella comunicazione, ma le parole spesso possono voler dire il contrario di quello che sembra. Pensa ai preti, che quando dicono “rivelata” non intendono svelata ma “con due veli.” Le parole hanno un significato e un peso nella comunicazione, molto di più di quanto comunemente si ritenga. Pensa a come parlava il nostro ex ministro degli Interni, quando scriveva “zingaraccia” — quello è un dispregiativo, e ha un peso — era un comportamento gravissimo da parte di una persona che oltre a essere un comunicatore era un ministro.

foto di Dario Sonatore

Con Bisticci abbiamo deciso di fare una cosa — grazie a Simone, che forse è l’unico editore così in Italia — che ci permetteva di spaziare tra argomenti e toni veramente diversi tra loro, senza essere imbrigliati in una rubrica di commento. È diventato qualcosa di completamente libero, costruito su un percorso, per certe parole anche lungo anni: mi viene in mente un gioco, trovo un omonimia, e me la metto in tasca, fino a momento giusto. Adesso porterò i Bisticci all’Unione nazionale femminile, per un evento del Corriere della Sera sul corpo della donna nei secoli, e hanno visto queste parole che parlano di corpo — in particolare “Pene,” e “Bacino,” “Fallo spesso,” — e per loro ho fatto un altro bisticcio, di cui devo scrivere l’articolo, che parla del ruolo della donna nel mondo moderno.

I Bisticci avevano già una loro fisicità, ma come sono diventati un libro?

Un’altra delle mie passioni è quella della tipografia e del letterpress, di tutto quello che mi avvicina a una espressione delle parole con una progettualità che io riuscissi a maneggiare, con i tempi di una stampa analogica, senza essere turbo come la roba digitale. Io non so lavorare bene al ritmo del digitale e non sono bravo nella art direction, invece riesco a vedere e comprendere la bellezza del testo stampato. Officina Novepunti la conosco dalla fondazione perché uno dei fondatori è un mio compagno di liceo, e così nel tempo libero ho iniziato a lavorare nelle comunità di tipografi qui a Milano, in particolare per l’evento Letterpress Workers. È nel contesto di quella progettualità che ho conosciuto Claudio Madella, che è lo stampatore di Diverbi di verbi.

Alla fine i Bisticci erano già fisici, solo la rubrica era digitale: il progetto è sempre stato molto fisico, e ho sempre voluto raccoglierli in qualche forma. Parlando con Claudio ne abbiamo stampati alcuni, facendo prendere forma fisica ai Bisticci — iniziando da biglietti d’auguri che ho mandato a Natale, che non avevano proprio la forma del Bisticcio ma erano frasi che mando in giro.

Nel frattempo Claudio ha aperto un suo progetto, che si chiama Good Types, che si concentra proprio nel dare forma a pensieri — stampa aforismi, vecchi scritti — e lui cerca sempre nuovi stimoli per svolgere il suo ruolo di stampatore e di designer. In Italia si tende a dividere i ruoli, ma nel resto del mondo chi disegna i caratteri poi va fino in fondo, e disegna spesso un prodotto completo.

Noi essendo molto amici abbiamo ragionato, perché non facciamo un libro? La proposta è arrivata direttamente da lui, perché stampare un libro in letterpress è una vera mazzata. Io ammetto che l’avevo suggerito qualche volta però, anni fa. È un lavoro veramente oneroso nei laboratori.

Claudio è riuscito davvero bene a selezionarli — non si potevano ovviamente fare tutti, sarebbe stato un lavoro infinito. Si è trattato di un progetto gigantesco: alla fine i “verbi” sono otto, per un totale di quaranta pagine. Ma sono quaranta pagine fronte / retro, con la fatica aggiunta per cui se fai un errore perdi due composizioni, non solo una.

foto di Claudio Madella

Abbiamo fatto una selezione specifica — abbiamo scelto i verbi, invece di fare una selezione tematica, o scegliere i bisticci che ci piacevano di più, perché volevamo ottenere un doppio effetto: che fossero smontabili, per farli tornare veri e propri bisticci, ma che funzionassero tutti insieme, come libro, e in futuro anche appesi come installazione, perché vedere tutti vicini tutti i verbi immediatamente aggiunge un ulteriore livello di significato. È da questo dialogo tra i vari bisticci scelti che nasce il titolo, Diverbi di verbi.

Quando leggi il libro è un rincorrersi, è un trovare cose nuove — non è un libro da leggere dall’inizio alla fine per scoprire cose nuove. Si può fare, e se ti piacciono i giochi di parole ti diverti. Oltre a essere un bell’oggetto da mettere in casa, vorrei invece che il libro costituisse un percorso che a un lettore insegni qualcosa, che veda che lavoro ho fatto sulla lingua italiana, e che voglia farlo anche lei, o lui, per se stess*: prendere le parole e ragionarci seriamente sopra. Usare le parole per se stessi e per gli altri.

Abbiamo iniziato la conversazione parlandone come giochi di parole, ma è chiaro che hanno un valore più profondo, e la stampa in letterpress serve anche a questo, no? Gli conferisce peso, in qualche modo.

Io sono convinto che gli status su Facebook siano i nuovi aforismi, e tutti siamo autori di noi stessi — è una forma liberatoria, poter pubblicare quello che si pensa, sempre. Io lo faccio con Bisticci, e probabilmente senza questo lo avrei fatto comunque sui social.

Se devo dire quello che penso io, noi non sappiamo bene il valore che hanno le parole. La lingua italiana incoraggia tantissimo l’uso della retorica, noi la usiamo sempre — lo facevano anche i latini, di cui siamo discendenti! Le figure retoriche ci rendono molto più potenti di come saremmo usando solo la lingua solo attraverso la didascalia.

Il gioco di parole attrae l’attenzione e la mantiene, ti permette di essere incisivo, è davvero potente: ma le persone lo fanno perfino senza saperlo. Hanno studiato le figure retoriche a scuola ma non sanno cosa fanno, che potere hanno. Io come ludolinguista mi interrogo e ho scoperto questa cosa lavorando a Bisticci, ma è il senso di padroneggiare una lingua, che poi è il senso di comunicare efficacemente. Io come designer, e parlando con una comunità di designer, posso far passare questo messaggio. Una persona che la vede possa capirlo per se stesso — anche solo pensando a come scrive gli status su Facebook. Anche io riesco a essere più incisivo non solo quando scrivo un concetto interessante, ma quando lo scrivo in modo interessante. L’espediente del gioco di parole fa mantenere l’attenzione — poi si spera che non la usi solo Salvini, ma anche gli altri. E da Bisticci a Letterpress Workers lo scopo è proprio questo, dare spazio e voce a persone e opinioni diverse, per avvicinare le persone invece che per metterle una contro l’altra.

foto di Claudio Madella
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