tutte le immagini di Pica
Il progetto Pica ha reinventato la cianotipia per stampare illustrazioni in un ricchissimo blu di Prussia. Sabato 7 e domenica 8 settembre potete stamparle anche voi, al workshop di Gomma.
L’invenzione della cianotipia risale al 1842, quando John Herschel inventò una tecnica per realizzare la stampa fotografica basata sui sali di ferro, che produce stampe di un ricco Blu di Prussia.
Pica, un progetto di Carlos Lalvay Estrada e Pietro Repetto, esplora le sfumature dei blu della cianotipia, trasformandone ogni peculiarità in un punto di forza, stampando lavori grafici ad alto contrasto.
Sabato 7 e domenica 8 settembre potrete stampare anche voi un’illustrazione in cianotipia, partecipando al workshop con Pica dalle 15 alle 17 al Rob de Matt, in occasione del festival di Gomma. Il costo del workshop è di 20 euro a persona, e potete prenotarvi a picadisegnialcianotipo@gmail.com
Abbiamo raggiunto telefonicamente Carlos Lalvay Estrada per farci raccontare com’è nato il progetto, che consigli offre per chi stampa per la prima volta in cianotipia, e perché hanno scelto questa tecnica di stampa fotografica.
Come è nato il progetto Pica?
Il progetto Pica nasce nel 2012 con un amico che è poi diventato socio, Pietro Repetto, un tecnico della stampa dove andavo a stampare i miei disegni. Ogni volta che andavo nel suo laboratorio rimanevo affascinato dalle tecniche che usava… All’inizio in realtà volevamo provare a fare delle incisioni, ma non riuscivamo con gli strumenti a nostra disposizione. Abbiamo provato a fare delle prime stampe in cianotipia, e abbiamo scoperto che il risultato, molto contrastato, era perfetto per il mio stile. Da lì è partito il progetto Pica, che è il nome di un uccello e di una unità di misura tipografica, ma in realtà ha un’origine molto più semplice — sono le prime due lettere dei nostri nomi.
Qual è stato il tuo percorso artistico? Anche da prima di Pica.
In realtà io vengo dal video, ho lavorato per un anno e mezzo per un’agenzia di Genova, e-motion, dove facevo editing. Col tempo, però, ero sempre più affascinato dalla possibilità di fare qualcosa di fisico. Così ho iniziato a disegnare, per avere un’esperienza tattile, per poter fare qualcosa che potessi toccare con mano. Lavorare con Pietro per me è stata l’occasione per mettermi alla prova, e una volta partito il progetto Pica è stato entusiasmante vedere l’interesse che il lavoro riceveva non solo da amici ma anche da persone sconosciute. Col tempo sono anche passato dal figurativo all’astratto, e ora sono tornato a sperimentale, su fronti nuovi — sto provando anche la scultura — ma sono anche tornato al video, portando con me tutte le nuove informazioni acquisite in questi anni con l’illustrazione e la cianotipia.
Ma come funziona una cianotipia?
È una delle primissime tecniche di stampa, si realizza miscelando due soluzioni in acqua distillata di diversi sali di ferro. La miscela, diluita, si versa su una carta abbastanza spessa, di cotone, da acquerello. Si tratta di un tipo di stampa a contatto, per cui poi si deve premere con un torchio il negativo dell’illustrazione o della fotografia — o anche piante secche! — che si vogliono imprimere sulla carta. Quindi, una volta che il negativo è aderente al foglio, lo si espone alla luce del sole o a delle luci UV. Se si usa la luce naturale i tempi possono variare molto, anche più di venti minuti in inverno, mentre d’estate basta un minuto o due. Noi ora usiamo un bromografo — una scatola con delle luci UV — che abbiamo costruito noi stessi. Una volta che la carta è stata esposta, si lava via l’emulsione gialla, si fanno due o tre lavaggi, e la parte che è stata colpita dalla luce diventa blu! Chi viene al workshop scoprirà che facciamo l’ultimo lavaggio con una sostanza “segreta,” che velocizza l’apparire dell’immagine — ed è forse il momento più bello di tutto il processo, perché vedi proprio il blu di Prussia che esce dall’immagine.
Come rende la stampa in cianotipia per le illustrazioni, rispetto alle foto?
Personalmente non mi fa impazzire come tecnica per la stampa fotografica, anche se è nata per quello. Secondo me, al contrario, è proprio più interessante per la grafica, perché produce linee molto pulite e non è affatto una limitazione dover lavorare solo con il blu — rende tantissime tonalità. Forse può essere interessante per fotografie molto “grafiche,” molto contrastate, con grandi corpi neri, che incidano molto. Un esempio che non si può non fare è quello di Anna Atkins, che nel 1843 pubblicò cianotipie delle proprie fotografie alle alghe marine. Il risultato è incredibile, con contrasti fortissimi e le piante che diventano disegni quasi astratti.
Come funziona il workshop che presenterete a Gomma?
Faremo una sintesi del processo che usiamo per stampare i miei disegni! Una prima parte è dedicata a cenni storici e tecnici, poi ognuno sceglie un negativo che vuole stampare — ne avremo molti a disposizione dei partecipanti — e da lì iniziamo la preparazione per la stampa. Alla fine passiamo ogni immagine nel bromografo, e tutti possono portare a casa il proprio progetto. La durata sarà di un’ora e mezza, massimo due ore: è un incontro a cui può partecipare davvero chiunque, da un bambino a una persona di cent’anni.
Ho letto che si può portare un proprio soggetto, cosa consiglieresti?
Sì, chi vuole può portare un proprio negativo. La cianotipia è una tecnica che ha ancora bisogno di essere molto esplorata — ma io consiglio di scegliere una composizione con molto nero, in modo che la stampa sia bella carica, lavorando magari con i grigi per usare le diverse tonalità di blu che verranno realizzate, sia che si tratti di un negativo su acetato che su carta lucida. Per una persona che non ha mai stampato in cianotipia, però, consiglierei di usare uno dei negativi già pronti che avremo a disposizione al workshop, così che siano sicuri di avere un risultato positivo.
contenuto sponsorizzato da Gomma