in copertina, foto CC Molly Adams, via Flickr
Il punto non è fare una gara tra chi è più o meno svantaggiato, ma rendersi conto dei meccanismi sociali che ci condizionano, spesso senza che nemmeno ce ne accorgiamo.
Avete mai sentito la frase “Check your privilege”? Le traduzioni in italiano possono essere varie: “Controlla il tuo privilegio,” “Sii consapevole del tuo privilegio,” “Tieni d’occhio il tuo privilegio.” Ma nessuna delle traduzioni rende il colore dell’espressione inglese, che ricorda un’operazione quasi meccanica e doverosa come il check-in in aeroporto o in hotel.
Già utilizzata da Peggy McIntosh in un saggio del 1988, l’espressione “Check your Privilege” ha iniziato a circolare online e sui social network a partire dal 2006, fino a diventare virale. Se vi ci siete imbattuti e ne avete cercato il significato, avrete probabilmente scoperto essere un modo per ricordarci che il nostro punto di vista è influenzato dal nostro background. Le nostre esperienze di vita, più o meno privilegiate, influiscono sul nostro modo di vedere le cose ed è bene ricordarselo. In una discussione, infatti, rischiamo di risultare miopi se ci dimentichiamo che ciò che per noi risulta scontato, per qualcun altro potrebbe non esserlo.
We’re at a moment in history where the real intersectional issues of equality are facing us all & if voices of people of colour, women, LGBT, disabled people, neurodiverse people, people w/mental health issues, working class & poor make you uncomfortable #CheckYourPrivilege
— Alex Beverley (@MsAlexBev) June 30, 2019
Questa frase è legata, quindi, al concetto di “privilegio”, ampiamente studiato in sociologia (la cosiddetta “Privilege Theory”) e spesso fortemente dibattuto.
Ma che cosa si intende esattamente per privilege? Secondo questi studi si può considerare “privilegio” l’avere accesso al potere sociale non sulla base del merito, ma per la semplice appartenenza ad un gruppo sociale dominante. Il privilegio, quindi, varia secondo diversi fattori come l’etnia, il genere, l’orientamento sessuale, l’età, la classe sociale, la cittadinanza, la religione, e molti altri. Ogni persona, sulla base delle sue caratteristiche ed esperienze di vita, sarà in qualche modo privilegiata e in altri modi svantaggiata.
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Questo concetto si lega a diverse branche di studi. La teoria femminista, ad esempio, si è occupata molto del tema: il femminismo si origina proprio dalla presa in considerazione delle disparità basate sul genere e dal confronto tra il cosiddetto “male privilege” (privilegio maschile) e la situazione storico-sociale delle donne per la lotta verso la parità. Tuttavia, l’idea di privilegio si lega anche al femminismo intersezionale. Per molti anni il femminismo occidentale è stato infatti criticato come troppo autoreferenziale nel focalizzarsi sulle problematiche di un gruppo ristretto di donne spesso bianche e per molti aspetti (quali, ad esempio, istruzione, classe sociale ecc.), appunto, “privilegiate.” Il concetto di intersezionalità sottolinea come le diverse forme di esclusione sociale siano interconnesse e non si possano considerare come categorie separate tra loro. Una donna nera disabile, ad esempio, sperimenterà un livello di esclusione sociale diverso da quello di una donna bianca abile. Per questo motivo, dunque, se il femminismo vuole occuparsi delle donne in modo inclusivo, non potrà prescindere dai collegamenti esistenti tra la discriminazione di genere e le altre forme di oppressione.
La teoria del privilegio, però, non si ritrova solo nel femminismo. Pensiamo, ad esempio, al cosiddetto “Heterosexual Privilege” ossia il privilegio di essere eterosessuali in una società strutturata per favorire l’eteronormatività e il binarismo di genere. Questo concetto è stato ampiamente discusso ed esaminato nei Queer Studies (in ambito accademico e non) per sottolineare come la nostra società veda l’essere eterosessuali come la norma e, costruendo attorno ad essa una serie di aspettative sociali e comportamentali, porti a discriminare chi se ne distanzia. Un altro esempio molto discusso negli ultimi tempi, nato sulla scia dei cosiddetti “Fat Studies”, è, poi, il “Thin Privilege”, il privilegio che le persone magre (o comunque rientranti in determinati canoni di peso) hanno nel confrontarsi con una struttura sociale che tende ad avvantaggiare chi possiede un corpo conforme a certe norme. Chi, invece, non rientra in quei canoni di peso che la società vede come “normali” andrà incontro ad una serie di discriminazioni ravvisabili a livello pratico, oltre che documentate a livello statistico. Questi sono solo alcuni esempi, ma la teoria del privilegio è ampia, abbraccia diversi ambiti e continua ad essere sviluppata e discussa.
Il concetto di privilegio, d’altra parte, è molto delicato e può portare facilmente a dei fraintendimenti. Sui social network, ad esempio, l’espressione “Check your privilege” è stata spesso utilizzata per zittire l’interlocutore, come se l’essere in qualche modo “privilegiato” dovesse portare all’esclusione dal dibattito. Il rischio, dunque, è che, se non inteso in modo corretto, questo concetto possa creare solo tensioni e incomprensioni.
Ma, quindi, qual è il vero significato di “Check your privilege”? E in che modo dobbiamo intendere questa espressione?
Riguarda la propria consapevolezza
Un po’ di tempo fa ho completato uno dei vari quiz online che ti danno la possibilità di calcolare il tuo livello di privilegio (sì, esistono!). Rispondi ad una serie di domande, premi il tasto “Check Your Privilege” ed ecco che ottieni un risultato in percentuale che ti informa di quanto tu sia privilegiato. Può sembrare assurdo e il significato è sicuramente più che altro simbolico (e così deve essere inteso). Però mi ha fatto riflettere. Il punto non è certo instaurare una sorta di gara tra chi è più o meno svantaggiato, ma rendersi conto di alcuni meccanismi sociali che ci condizionano, spesso senza che nemmeno ce ne accorgiamo. Più che il risultato, infatti, è stato interessante confrontarsi con le domande e rendersi conto che alcuni aspetti della mia vita, che avevo sempre dato per scontati, corrispondevano, invece, ad una forma di privilegio.
Prendere atto del proprio “privilegio” e tenerne conto può essere innanzitutto un modo per conoscere noi stessi e la nostra posizione all’interno della società. Questo ci può aiutare in molti modi, rendendoci più aperti al dialogo, più flessibili nel tenere conto anche di altri punti di vista e, dunque, più propensi ad andare a fondo quando si discutono determinate problematiche.
Può essere un’occasione per imparare
Sentirci dare dei privilegiati all’interno di una discussione può infastidire. Eppure, non ha senso prenderlo come un insulto: forse chi ci sta davanti ha le sue buone ragioni per dirci di fare un passo indietro. È normale, infatti, che il nostro punto di vista sia condizionato dalle nostre esperienze di vita. Queste, però, a volte ci impediscono di capire a fondo una questione che solo mettendosi nei panni altrui può davvero venire compresa. I privilegi, infatti, sono insidiosi perchè ci fanno credere che valgano per tutti. Chi, invece, non li possiede avrà indubbiamente una visione più chiara delle conseguenti discriminazioni. Porci in un’ottica di dialogo e scegliere di informarci sulle effettive ineguaglianze presenti nella nostra società può essere quindi un’occasione per accrescere la nostra conoscenza.
Bisogna evitare i sensi di colpa
Essere in qualche modo privilegiati non è una colpa dei singoli individui. Allo stesso modo non è una cosa di cui vergognarsi e per cui sentire il bisogno di scusarsi. Il punto è che le disuguaglianze sono frutto di pregiudizi insiti nella società e molto difficili da scardinare. Sentirsi o far sentire in colpa non serve a nulla. Il punto, infatti, non è certo privare i gruppi privilegiati dei loro diritti, ma rendersi conto che quella che per alcuni è una situazione “di default,”, per altri è ancora qualcosa per cui lottare.
Anche se non siamo direttamente responsabili del sistema che ci ha reso in qualche modo privilegiati, lo siamo per quanto riguarda il modo in cui reagiamo ad esso. Chi è privilegiato ha un ruolo importante nel cercare di capire le dinamiche sociali e nel tentare di scardinare i pregiudizi su cui si basa il sistema dei privilegi. Può essere, infatti, un buon alleato nella lotta per un mondo più equo e riconoscere la propria posizione è il fondamentale punto di partenza. Gli uomini, ad esempio, sono alleati importanti per la lotta femminista, ma dovranno tenere conto che per capire a fondo il problema ci sarà bisogno di fare un passo indietro, ascoltare molto e informarsi. Allo stesso modo, però, chi sperimenta un certo tipo di oppressione dovrà cercare di mantenere un certo grado di apertura verso le buone intenzioni di questi potenziali alleati.
Non è personale ma strutturale
Quando si parla di “privilegio” dal punto di vista sociale si fa riferimento ad una struttura generale che esiste a prescindere dalle diverse esperienze dei singoli soggetti. Il sistema che a livello storico e sociale rende un certo gruppo svantaggiato rispetto ad un altro non sempre è ravvisabile nelle vite dei singoli individui, ma questo non lo rende meno reale. Ciò va tenuto presente a due livelli. Innanzitutto essere privilegiati non equivale all’avere una vita priva di difficoltà: la questione è più complessa e va analizzata tenendo conto della struttura sociale e non delle singole esperienze. In secondo luogo, non bastano le buone intenzioni dei singoli per scardinare un intero sistema. Per questo motivo se un uomo afferma di non fare alcuna differenza di genere, questo non cambia il fatto che il sistema, invece, favorisca in certa misura gli uomini rispetto alle donne (e i numeri lo confermano!).
Lo scopo è il dialogo
Ciò che, al di là di tutto, risulta fondamentale è mantenere un’apertura al dialogo. Se far notare al proprio interlocutore che il suo punto di vista è privilegiato diventa solo una ragione di scontro, difficilmente porterà risultati positivi. È quindi necessario che entrambe le parti cerchino di rapportarsi alla problematica del privilegio in modo costruttivo rispettando per quanto possibile la posizione altrui. Non è certo un tema semplice: è spinoso e pieno di sfaccettature. Eppure un sano confronto su questo tema può essere immensamente utile per lavorare ad una società più equa.