Siamo nel ventunesimo secolo e c’è ancora gente che ascolta lo Zoo di 105

All’ippodromo di Milano si festeggiano oggi i 20 anni dello Zoo di 105, un’ottima occasione per ricordare che ancora oggi uno dei programmi più beceri della radiofonia italiana ha un seguito spropositato.

Siamo nel ventunesimo secolo e c’è ancora gente che ascolta lo Zoo di 105

All’Ippodromo di Milano si festeggiano oggi i 20 anni dello Zoo di 105, un’ottima occasione per ricordare uno dei programmi più beceri della radiofonia italiana ha ancora un seguito spropositato.

Se non lo ascoltate sicuramente ne avrete almeno sentito parlare. Lo Zoo di 105, trasmesso su Radio 105, la radio principale del gruppo Mediaset, è uno dei programmi radiofonici più ascoltati in Italia, con oltre un milione di ascoltatori nella fascia oraria 14-16. Dal 1999 il programma investe nella regressione cerebrale del nostro paese mandando in onda tutti i giorni un misto di sketch da seconda media e gag celoduriste vendendole per satira anticonformista e, nonostante alcuni attriti occasionali con la proprietà della radio, purtroppo non sembra ci siano possibilità di vederlo sparire dai palinsesti.

Qualche giorno fa la trasmissione è tornata alla ribalta su alcuni quotidiani online dopo che Gad Lerner in una puntata di L’approdo — il suo nuovo programma in onda il lunedì in seconda serata su Rai 3 — l’ha criticata pesantemente, accusandola di essere eccessivamente volgare.

Ma Lerner ha solo sfiorato il problema, che non dovrebbe fermarsi all’uso intensivo di parolacce e bestemmie bippate ma allargarsi agli atteggiamenti misogini, omofobi, allo sdoganamento di un linguaggio vessatorio, da bulli, anzi da compagnucci delle medie con dei giganteschi complessi irrisolti da scaraventare sul prossimo.

“Pare che ieri abbia parlato malissimo di noi dicendo che siamo l’esempio della decadenza della cultura italiana. Questo come al solito è il classico parere di chi passa sulle frequenze di radio 105 e si sofferma soltanto sulle parolacce, ma non va a vedere esattamente quello che facciamo, quasi quotidianamente”. Ha risposto così Marco Mazzoli, uno dei conduttori dello Zoo, alle accuse di Lerner. Quando si critica il programma il problema viene spostato dal contenuto al contesto. Come se esistesse uno schema giusto, corretto, in cui inserire la frase: “Una bella figa che ha voglia di farsi una scopata è impegnativa, deve trovare uno col cazzo grosso.” Come se si potesse elevarla, farla diventare ironica, accrescerne il valore. No, è una frase stupida, punto. Fa ridere (forse) solo se hai dodici anni, punto. E verrebbe da pensare che a condurre un programma del genere, in cui si fa un uso larghissimo di frasi come quella appena citata e si ridicolizza quotidianamente uno dei conduttori — Squalo ndr — per le dimensioni del suo pene, si possa avere al massimo l’età di un ragazzino alle prese con i primi brufoli e che comunque, in ogni caso, non lo si dovrebbe fare se si ha un milione di ascoltatori, una coscienza, e una platea che potrebbe essere condizionata da questo tipo di atteggiamenti e più in generale dal parla peggio di come mangi.

Purtroppo non è così e Marco Mazzoli, Paolo Noise, Fabio Alisei e Wender, tutti oltre i quaranta da un pezzo, tutti fuori moda da un pezzo e arroccati su un’ironia provinciale, grezza, conformista, atrofica, non riuscendo veramente a far ridere, per evidente mancanza di capacità e buon gusto si concentrano solo sulla derisione, proponendo tutti i giorni il solito circuito di “scenette” — scherzi telefonici, gag ridicole che si sa già dove andranno a parare (hai detto tette? culo??), banalizzazione del quotidiano, ridicolizzazione dei meridionali — che non ci meritiamo ma ci propinano, tutti i giorni, incessantemente, da vent’anni. E noi, ma anche quel milione di ascoltatori che tutti i giorni si sintonizza su 105 dalle 14 alle 16, dovremmo pretendere di meglio, iniziare a boicottare la radio, ribellarci, per quanto possibile.

Si può iniziare stasera ignorando la festa all’Ippodromo e cominciando, da domani, a sintonizzarsi su un’altra stazione. Per nostra fortuna non siamo nati a immagine e somiglianza di una manciata di conduttori che ha come status symbol la polo di marca. Sì, nel 2019 possiamo, anzi dobbiamo pretendere qualcosa di meglio dalle trasmissioni che ascoltiamo alla radio, perché il mondo è cambiato e gli anni ‘90 sono passati da un pezzo.

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