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Delmoro è uno dei nomi freschissimi da tenere d’occhio quest’anno ed esce oggi con Balìa, il suo nuovo EP fuori per Carosello Records. Gli abbiamo chiesto di parlarci delle nuove canzoni per capire dove affondano le radici della sua musica e del suo immaginario.

Partirei dalla tua bio di Instagram che recita “Musica quasi leggera”, ovvero?

Per me l’aggettivo “leggero” è uno dei più belli che ci sia, se vuoi intenderlo un po’ in senso calviniano. Quel “quasi” per me esprime un divenire, come fosse un lavoro a togliere. Più semplicemente, sono un amante di certa “musica leggera” italiana, definita spesso così in termini spregiativi ma tutt’altro che frivola.

La prima volta che ho ascoltato una tua canzone è stato su Radio Deejay. Il pezzo era “Filippiche”, ti va di raccontarci com’è nato quel brano?

I miei brani partono sempre dalla musica, che definisce il tono e spesso suggerisce pure il tema del testo che vado poi a scrivere. Ad essere sincero non mi ricordo di preciso com’è nato perché spesso lavoro a più brani contemporaneamente e mi perdo tra uno e l’altro  — ho bisogno di farlo altrimenti divento ossessivo e non riesco a chiuderli. Mi ricordo che i primi versi sono nati la scorsa estate, in una pausa che mi ero preso, seduto in giardino. Mi piaceva questa immagine di me che cerco delle cose tra le parole, mentre tutto scorre veloce.

Oggi invece esce Balìa, il tuo nuovo EP.

Si, Balìa include gli ultimi singoli usciti e altri tre brani a cui sono molto legato. Credo che in generale si avrà un’idea più ampia del suono che sto cercando di definire, sempre assieme a Matteo Cantaluppi alla produzione. Sono brani molto densi, sia liricamente che musicalmente, ci sono molti riferimenti, e la cosa che mi piace di più è che adoro suonarli sia in versione piano/chitarra e voce sia in full band, cosa non scontata per me, vista la ricchezza degli arrangiamenti, e che sancisce a mio avviso la buona riuscita di un brano.

Che differenze noteremo rispetto a Il primo viaggio, il tuo primo disco?  

Credo che ci saranno molte delle idee ed intenzioni presenti ne Il primo viaggio, affinate e messe più a fuoco con il proseguire della scrittura e con l’aiuto di Matteo in studio. I testi sono sicuramente più diretti, semplificati nella loro struttura per lasciare più potere immaginifico alle singole parole.

“La mia venerazione per Dalla e Conte rasenta il ridicolo, per me sono meglio dei Beatles. Riguardo a Sorrenti, vorrei sfatare un po’ questa cosa: al di fuori di ‘Figli delle stelle’ — brano strepitoso — non sono affatto un suo grande fan, piuttosto del suono che c’era in Italia in quegli anni.”

Nel video di “Idiosincrasia” ad un certo punto si può ascoltare in sottofondo “Un bacio piccolissimo”, un classico della musica italiana pubblicato sempre per Carosello nel 1964. Quel riferimento era solo funzionale al video oppure era anche un modo per stabilire una connessione musicale con quegli anni?

Una connessione musicale con quegli anni c’è, che si mescola ad altre connessioni con gli anni musicali a venire. Credo che ci sia un filo rosso di congiunzione nel mio lavoro che parte dagli anni sessanta fino ai novanta, soprattutto italiani. C’è tanta roba là in mezzo!

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Tra i tuoi riferimenti musicali inserisci cantautori come Lucio Dalla — indirettamente lo riveli anche in “Tre Stelle” citando Com’è profondo il mare — o Paolo Conte, i suoni però rimandano anche agli anni ‘80 e ad artisti come Alan Sorrenti. Dal punto di vista musicale a che cosa ti sei ispirato per la scrittura dei nuovi brani?

La mia esigenza primaria è quella di far combaciare una forte ricerca musicale con una forte ricerca lirica. Anche i nomi che hai citato si distinguono per questa caratteristica, ed ovviamente in modo molto più alto del mio, quindi credo sia normale che in qualche modo mi ispiri a loro. La mia venerazione per Dalla e Conte rasenta il ridicolo, per me sono meglio dei Beatles. Riguardo a Sorrenti, vorrei sfatare un po’ questa cosa: al di fuori di “Figli delle stelle” — brano strepitoso — non sono affatto un suo grande fan, piuttosto del suono che c’era in Italia in quegli anni, chiaramente di ispirazione ai dischi d’oltreoceano ma con forti reinterpretazioni nostrane, molto meglio rappresentato da band come gli Stadio (con Lucio) o dalla chitarra di Alberto Radius.

Sempre su Instagram ho visto che tra i riferimenti metti anche Modjo, come mai?

Sono un grande fan della musica house, dagli albori fino alla ripresa recente in chiave lo-fi, e quando ha preso una vena più pop, mescolata al french touch di fine novanta e a cose più baleariche ci sono state delle hit mondiali per me molto belle. C’è sicuramente qualcosa di Modjo nell’EP, soprattutto per certe linee di basso.

Ho letto che i mesi scorsi hai composto la colonna sonora di Romantic Italia, il podcast di Giulia Cavaliere dedicato alle canzoni d’amore più belle della musica italiana. Per te quali sono tre canzoni d’amore italiane imprescindibili?

Domandone! Davvero difficile, anche perché forse, come ha detto Mina, non esistono canzoni non d’amore. Guarda vado sul sicuro senza pensarci molto e ti dico “La cura” di Franco Battiato, “Amarsi un po’” di Lucio Battisti e “Almeno tu nell’universo” di Mia Martini. Ma ce ne sono almeno cento imprescindibili.

Si parla spesso di te come di un architetto prestato alla musica, e se in realtà fossi un musicista prestato all’architettura? Delle due passioni oggi qual è quella predominante?

Forse la musica è sempre stata quella predominante, perché la sento più come un richiamo fin da quando ero bambino, mentre l’architettura è una passione che si è sviluppata studiandola. Quindi forse dici bene, sono stato un musicista prestato all’architettura (ride). Ora direi che c’è la musica al 98%.

Oggi esce il tuo nuovo EP, Balìa, adesso cosa succederà? Ci sono già delle date in programma?

Sì ci sono delle date estive che annunceremo man mano, Ho iniziato da un po’ la costruzione del live insieme ad una band bravissima, i Tiger Resorts. Assieme a loro i brani stanno davvero prendendo il volo.

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