La nuova era psichedelica degli Eugenia Post Meridiem

Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Eugenia degli Eugenia Post Meridiem per farci raccontare i loro primi due singoli — “Blue Noon” e “Low Tide” — in bilico tra psichedelia e influenze indie e folk.

La nuova era psichedelica degli Eugenia Post Meridiem

Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Eugenia degli Eugenia Post Meridiem per farci raccontare i loro primi due singoli — “Blue Noon” e “Low Tide” — in bilico tra psichedelia e influenze anglosassoni provenienti dalla scena indie e folk, e per avere un assaggio di quello che ascolteremo dal vivo il 26 maggio al MI AMI.

A proposito delle diverse influenze in “Blue Noon”, il vostro ultimo singolo, mi piacerebbe sapere qualcosa di più sugli ascolti che hanno ispirato il brano.

Era un periodo che ascoltavo surf, garage, folk, una certa psichedelia, soul, indie ’90-2000. Faccio un po’ di nomi: Brian Wilson, Tim Buckley, Syd Barrett, Nick Drake, Crosby Stills Nash & Young, Cat Power, Amy Winehouse, Wilco, Smashing Pumpkins, Flaming Lips, 13th Floor Elevators, The Sonics, The Seeds, Marvin Gaye, Al Green, Donny Hathaway, Curtis Mayfield…

Ti andrebbe di raccontarci un po’ la genesi del progetto Eugenia Post Meridiem?

Il progetto nasce nell’estate del 2017 quando ho incontrato Matteo (bassista ndr) con cui ho iniziato ad arrangiare i primi brani. Dopo quell’estate, caratterizzata da diversi live a Genova e dintorni, ho deciso di prendermi un periodo di pausa per scrivere e viaggiare individuando come mete Lisbona e Parigi. Al mio ritorno ho deciso di riprendere in mano il progetto iniziando da subito la ricerca di nuovi elementi. La scelta è ricaduta su Giovanni, che aveva già suonato in un piccolo progetto precedente con Matteo (bassista) e Matteo (batterista), compagno di Conservatorio di Matteo (bassista).

Ho letto che venite da Genova, c’è un luogo della città che vi ispira particolarmente, per qualsiasi motivo, nella scrittura delle canzoni?

In realtà durante la stesura dei brani preferiamo prendere spunto da esperienze personali o modelli astratti, che sono sì legati a luoghi fisici ma difficilmente alla città di Genova.

Dite di appartenere ognuno a un mondo musicale diverso, quali sono questi mondi? Secondo voi ce n’è uno predominante?

Ognuno degli elementi che compongono Eugenia Post Meridiem ha effettivamente esperienze musicali pregresse differenti che spaziano dall’elettronica al jazz, al soul, passando per r’n’b, shoegaze, psych rock etc. Difficilmente però questi elementi emergono all’interno del progetto, a meno che non siano influenze volute. Questo perché durante la stesura di un brano, o meglio di un arrangiamento, si pensa alla necessità comunicativa della canzone prima che all’espressione individuale di ciascuno. Questo non esclude la possibilità espressiva individuale, che trova spazio all’interno di limiti determinati durante la scrittura.

“All’immagine di una bassa marea ho sempre associato il fatto di essere nata alla fine di un millennio — e in generale all’idea che un millennio finisca — come su un precipizio. Millenni che si chiudono e si riaprono come maree che finiscono di ritirarsi e subito su se stesse si rinnovano.”

Al di là degli ascolti personali di ognuno di voi, cosa ha influenzato la scrittura di “Low Tide”, il vostro primo singolo?

Tutta una serie di riflessioni che mi frullavano nella testa al mio ritorno a Genova, di amicizie che si consumano… In generale però mi interessava la parola “ritorno”, in diverse declinazioni di significato. Poi all’immagine di una bassa marea ho sempre associato il fatto di essere nata alla fine di un millennio —e in generale all’idea che un millennio finisca — come su un precipizio. Millenni che si chiudono e si riaprono come maree che finiscono di ritirarsi e subito su se stesse si rinnovano. Mi immagino la marea come una grossa sfinge di sabbia — sabbia compatta, e mi viene in mente il contrasto con la sabbia delle clessidre — che osserva con la coda dell’occhio, sempre un pelo in ritardo, il succedersi di ogni era.

In un’intervista racconti la tua esperienza a Lisbona e dici di aver suonato molto per strada. Parlacene un po’, cosa ti ha insegnato quell’esperienza?

Il busking è stato una forma intensissima di studio, conoscenza ed esercitazione delle mie abilità, possibilità e mancanze. Mi ha insegnato a rapportarmi con qualsiasi tipo di pubblico e a gestire di conseguenza le mie emozioni, la mia fisicità ed espressività di fronte ad esso. Stare ferma in un punto per un’ora o più ti mette di fronte alla realtà statica della strada, che essendo di solito solo un luogo di passaggio, si conosce veramente solo in parte. Mi sono ritrovata in situazioni anche poco piacevoli…  insomma fare busking restituisce uno spaccato antropologico urbano davvero forte, a volte forse anche troppo. Comunque ho imparato anche a caricare pesi notevoli!

Tra l’altro nella stessa intervista racconti di aver suonato anche nelle strade di Genova, hai notato qualche differenza o la strada è sempre la strada?

Forse ci sono meno turisti, ma l’atmosfera che si creava a Lisbona era molto simile qui a Genova.

Ma soprattutto, si riesce a guadagnare qualcosa in quel contesto?

Per quanto mi riguarda è andata sempre molto bene, abbiamo finanziato una grossa parte delle spese del disco facendo busking.

Che idea ti sei fatta del pubblico degli artisti di strada?

Sorprendentemente, sia in Italia sia a Lisbona, ho sempre notato che, più della comunità artistica, famiglie, anziani e persone magari non frequentemente a contatto con la musica, siano tendenzialmente più interessate e attratte da chi si propone e sfrutta la strada come luogo artistico performante.

Tra una settimana invece suonerete al MI AMI. Non vi chiedo se siete carichi o no perché immagino già la risposta. Invece se vi trovaste tra il pubblico e non sul palco a che concerti vorreste assistere quest’anno?

Vorremmo andare all’Umbria Jazz per Snarky Puppy e Kamasi Washington, poi ci interesserebbero Ypsigrock e Beaches Brew, ma ne verranno fuori altri che ci interesseranno.

“Low Tide” è il primo singolo che avete pubblicato. Nei prossimi mesi suonerete molto in giro per l’Italia, cosa ci farete sentire dal vivo?

Sicuramente tutti i brani dell’album e qualche novità!

Ci state già lavorando?

Si, il nostro primo album si intitolerà In Her Bones, l’abbiamo registrato l’estate scorsa e uscirà a ottobre. Però stiamo già scrivendo pezzi nuovi che, speriamo, andranno a comporre il prossimo disco. La grande novità è che non sarò più solo io a scriverli — come per In Her Bones — ma ognuno di noi sta provando a portare dei pezzi su cui lavorare insieme. Noi ci abbandoniamo all’esigenza di scrivere, senza fretta, ma comunque speriamo di lavorare presto al prossimo album.

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