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In copertina: un fotogramma tratto da “L’adversaire,” Nicole Garcia, 2002

Reso famoso da L’Avversario di Emmanuel Carrère, Romand otterrà la libertà condizionale entro l’estate, dopo 26 anni di carcere. Ma la sua storia ha ancora molto da dirci sulla nostra società.

“Nel caso di Romand il fatto più sconcertante è che la follia sia stata commessa in due tempi, come uno che mentre lavora al computer schiacci il tasto sbagliato, rischiando di perdere un file prezioso, e quando il programma chiede: «Sei sicuro di voler eliminare il documento?», dopo aver soppesato i pro e i contro, dia ugualmente l’ok. Se si vergognava troppo a confessare una bugia tanto puerile ai suoi genitori, poteva sempre raccontare di essere stato bocciato. Se un fallimento gli pareva inconfessabile quanto la fuga, poteva sempre andare dal professore o dal preside di facoltà, spiegargli del polso rotto, della crisi depressiva, e accordarsi per un recupero. Da un punto di vista razionale, qualunque cosa sarebbe stata preferibile a quella che ha fatto lui: aspettare il giorno dei risultati e poi annunciare che era stato promosso, dunque ammesso al terzo anno di Medicina”

Emmanuel Carrère, L’Avversario.

 

Comincia così uno dei casi di cronaca nera più inquietanti della storia francese: con una bugia. Diciott’anni dopo quella bugia, nel 1993, Jean-Claude Romand uccide la propria moglie, i due figli, i genitori. Tenta poi di strangolare l’amante, per cercare infine il suicidio dando fuoco alla propria casa. Non ci riesce, i pompieri lo salvano.

Nei prossimi mesi, dopo 26 anni di carcere, Jean-Claude Romand, “l’avversario”, sarà scarcerato. Entro il 28 giugno gli verrà concessa la libertà condizionale, dopo che nel 2015 aveva ottenuto il diritto di farvi richiesta (inizialmente era stato condannato all’ergastolo nel 1996). Per due anni dovrà portare un braccialetto elettronico e non potrà risiedere nelle regioni francesi dove vivono le persone legate alle sue vittime, ovvero Île-de-France, Borgogna-Franca Contea, Alvernia-Rodano-Alpi. La sua storia è stata resa famosa soprattutto da Emmanuel Carrère, che nel 2000 grazie a L’Avversario ha ottenuto la propria definitiva consacrazione letteraria. Quella di Romand è una storia terribile, che mette i brividi solo a pensarci. Tutti lo definiscono un mostro; molti si chiedono come sia possibile che venga scarcerato; ma proviamo un po’ a capire la sua storia.

Il terrore trasmesso da episodi come questo — e forse il motivo per cui subito parliamo di follia e mostruosità — deriva dal fatto che a compiere queste azioni sia stato un uomo come noi, nel caso specifico un membro della borghesia medio-alta francese, stimato e rispettato dai propri amici e familiari. La classica persona da cui nessuno se lo sarebbe mai aspettato. La cosa più assurda, forse, è che neppure Romand stesso se lo sarebbe mai aspettato. Da una bugia raccontata diciott’anni prima neanche un grande tragediografo avrebbe potuto prevedere un epilogo così macabro. A posteriori, noi possiamo quasi dire che era già tutto scritto, vista la coerenza allucinante con cui si è sviluppata la vicenda, ma lui di certo non poteva.

Di quale coerenza si tratta? Di quella cui ci obbliga la necessità di rimediare a una menzogna. Racconti una bugia per riparare a un danno, poi ne racconti una seconda per riparare le conseguenze della prima. Dunque, ne devi raccontare una terza, poi una quarta, e così via per diciott’anni. Finché la verità sta per venire a galla, e allora tu, esattamente come la prima volta, cerchi di fuggire. Ma questa volta non puoi mentire, puoi solo uccidere i tuoi cari e suicidarti, così esci di scena per sempre, e con te le persone legate alla tua memoria. Sperando di non lasciar traccia.

La vita, però, a volte è così ironica che invece di scomparire nel vuoto vieni salvato; uno scrittore ti cerca e scrive un romanzo su di te, il libro ha successo e raggiuge la fama mondiale: tu, con tutto quello che hai fatto, diventi una delle storie più famose di sempre. Infine, un film. Sarai ricordato per sempre come un mostro, un nemico, un oltraggio ai princìpi fondamentali della civiltà: l’avversario, per l’appunto. Eppure c’è qualcosa che non torna in tutta questa storia, qualcosa di più triste, qualcosa di più tragico. Qualcosa che ricorda le tragedie dell’antica Grecia, dove il vero protagonista si rivela essere il destino, e l’uomo non può fare altro che assecondare la volontà degli dei. Perché è forte la tentazione di pensare che ci sia il destino dietro la storia di Jean-Claude Romand.

Com’è possibile che sia stato in grado di mentire per tutta, tutta la vita, senza mai essere scoperto?

La sua carriera universitaria si ferma al secondo anno, ma tutti credono che si sia laureato in Medicina. Frequenta i corsi, si presenta agli appelli, festeggia gli esiti degli esami insieme agli altri, passa i pomeriggi a ripassare con quella che sarebbe diventata la donna della sua vita, Florence. E invece è ancora iscritto al secondo anno, iscrizione che rinnova ogni dodici mesi solo per ottenere il tesserino universitario. Finge di laurearsi in Medicina alla facoltà di Lione, diventare responsabile di un gruppo di ricerca all’Organizzazione Mondiale della Sanità in Svizzera, addirittura insegnante all’Università di Digione. Invece non ha mai terminato gli studi, non ha mai cercato un lavoro, non ha mai dato una lezione in una facoltà universitaria.

Jean-Claude Romand passa le giornate da solo, seduto in macchina nei boschi al confine con la Francia, vestito in giacca e cravatta come richiesto dai suoi impegni all’OMS. E in tutti questi anni, nessuno si accorge mai di nulla. Mai un incidente di percorso. Nessun inconveniente. Niente di niente. Nessuna chiamata nell’ufficio dove lavora, neanche per comunicare un’emergenza o per i consueti auguri di compleanno; nessuno che si sia mai accorto che quando era ancora uno studente gli esami non li sosteneva veramente, ma si presentava solo all’inizio e alla fine dell’appello, nascondendosi nelle ore cruciali; nessuno che abbia mai notato che mancava il suo cognome nella bacheca dell’atrio dove venivano pubblicati i voti di tutti. Niente, tutto liscio: come nei film più avventurosi, dove per il piacere della trama bisogna saper rinunciare a qualche elemento di verità.

Come nell’Edipo Re, dove il protagonista solo nel pensiero credo di essere libero e padrone delle proprie azioni, ma in verità è già tutto scritto, e il re è semplicemente uno strumento nelle mani del destino. Allo stesso modo, nella tragedia di Jean-Claude Romand a rivelarsi è il destino necessario della psiche umana, adattato alle esigenze della società contemporanea.

La strage dell’avversario non è lo scatto d’ira di un uomo irascibile che perde il controllo della situazione. No, è il compimento lento e premeditato di un processo molto lungo avviatosi diciott’anni prima, al cui fondamento c’è un problema psicologico e sociale ben definito: la paura del fallimento.

Romand ha mentito la prima volta sull’esame di medicina perché si vergognava. La cosa che più lo terrorizzava in assoluto era ammettere i propri fallimenti di fronte ai compagni, ricoprendosi in questo modo d’infamia. Dopo quell’esame si isola completamente, smette di uscire di casa per alcuni mesi, non sapendo come affrontare la situazione. Nessuno sa niente di lui, fino alla seconda grande intuizione: quella di dire che aveva il cancro. In questo modo avrebbe giustificato il comportamento strano degli ultimi tempi, trovando una spiegazione razionale che nascondesse la sua realtà privata. Avrebbe infine potuto riprendere a fare una vita normale: corsi, biblioteca universitaria, esami, ovviamente senza essere iscritto.

Romand si dedica con molto zelo allo studio e non manca di frequentare le lezioni: il tutto per salvare l’apparenza. Il cancro era benigno, dopo un po’ di tempo è guarito, e quella storia viene dimenticata. La menzogna funziona, Romand capisce il potere magico dell’imbroglio e comincia a ricorrervi abitualmente, fino al punto di non avere altra scelta che uccidere la propria famiglia. Probabilmente “avrebbe preferito davvero essere malato di cancro piuttosto che di menzogna — perché anche la menzogna era una malattia, con la sua eziologia, i suoi rischi di metastasi, la sua prognosi riservata,” scrive Carrère, “ma il destino aveva voluto che si ammalasse di menzogna, e non era colpa sua.”

Pensiamo a tutte le persone distrutte internamente dal peso del fallimento, vero o autocertificato che sia. A tutte le persone che sentono su di sé la proiezione del giudizio della società. A tutti coloro che non sanno più accettare se stessi e la propria vita, lacerati dall’intima vergogna di non essere come gli altri. Un male sempre più comune, la cui drammatica esasperazione è rappresentata perfettamente dalla tragedia dell’avversario. Jean-Claude Romand: per alcuni semplicemente un mostro; per altri un essere molto comune, solamente più fragile.