DSCF3800

in copertina, foto di Elena Buzzo

Negli ultimi dieci anni è morta in media più di una persona alla settimana in incidenti ferroviari — senza contare i suicidi. Nonostante ciò, non si fa abbastanza per evitare altre vittime.

Nel decennio tra dal 2006 al 2016 sono morte in Italia 809 persone in incidenti legati alle ferrovie. È un massacro costante, di cui si parla poco, che in genere viene affrontato con fatalità. Quando si parla di incidenti ferroviari, l’attenzione va subito a fatti eclatanti come il disastro di Pioltello dello scorso gennaio, o ai quotidiani casi di ritardi, cancellazioni e violenze sui convogli. Lo stillicidio di vittime sotto le ruote sembra essere qualcosa di scontato, di cui in fin dei conti non si può dare la colpa a nessuno.

Non si può dare la colpa a nessuno, ad esempio, per la morte del ragazzo di 22 anni di Maggianico, in provincia di Lecco, travolto da un treno nel capoluogo di provincia, non è chiaro se vittima di un incidente o di sua volontà. Così come non si può dare la colpa a nessuno della fine della donna deceduta sotto un treno merci a Broni, nell’Oltrepò Pavese, se non eventualmente alla sua imprudenza.

È stato molto difficile anche per noi raccogliere dati certi sul numero effettivo di quante persone muoiano ogni anno investite da treni in Italia. Siamo entrati in contatto con ISTAT, l’Istituto nazionale di statistica, che ci ha fornito una tabella da cui abbiamo tratto dati relativi al decennio 2006-2016. I morti totali investiti da treni o coinvolti in incidenti con materiale rotabile, secondo l’istituto, sarebbero 809 in questo periodo di tempo — una media di 67 morti all’anno in tutto il paese.

Gli autori di questo studio hanno però inspiegabilmente deciso di non calcolare, nel totale dei morti, il numero dei suicidi.

Dato che il numero di chi si toglie la vita è una grossissima percentuale di chi muore in incidenti simili, questa scelta ci sembra quantomeno discutibile. Senza dubbio è rivelatrice di quanto poco la nostra società si interessi alle vittime di autolesionismo, quanto poco si affronti in modo serio e costruttivo il tema, e di come sia legato a doppio filo a quello delle vittime ferroviarie.

In seguito ad un’altra nostra richiesta, ISTAT ci ha inviato altri dati, relativi testualmente a “autolesione intenzionale procurata saltando o posizionandosi davanti ad un oggetto in movimento” — il che significa che la statistica include, oltre alle vittime dei treni, anche chi si butta intenzionalmente sotto un’auto, sotto un tram o sotto una metropolitana. I morti in questa categoria sono stati 111 all’anno. Purtroppo non è possibile sapere quanti di questi siano da considerarsi morti investiti da un treno in senso stretto.

Se hai bisogno di parlare con qualcuno, o conosci qualcuno che ha pensieri suicidi, puoi contattare gratuitamente il Telefono Amico al 199 284 284 (anche via internet) o la Onlus Samaritans al 800 86 00 22.

Esiste però un’agenzia governativa: l’ANSF, agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria, che dovrebbe occuparsi di queste vicende. Ogni anno l’ANSF pubblica un rapporto sulla situazione della sicurezza delle ferrovie italiane e dovrebbe preoccuparsi di sensibilizzare il pubblico sui pericoli che si corrono con comportamenti scorretti in prossimità dei binari.

Abbiamo contattato l’ANSF per rivolgergli alcune domande. L’agenzia ci ha risposto tramite la sua addetta stampa ufficiale.

* * *

Esistono documentazioni precise e rigorose sul numero dei morti investiti dai treni negli ultimi anni e negli ultimi decenni in Italia?

Esistono. Sono pubblicate nei Rapporti annuali predisposti dall’ANSF, che oltre ad essere mandati alle istituzioni, vengono anche puntualmente caricati sul sito istituzionale dell’Agenzia. Prendono in considerazione eventi correlati a carenze legate alla sicurezza, compresi i comportanti errati degli utenti, ma non considerano i gesti volontari che portano al suicidio.

Perché i suicidi non sono compresi nel computo dei morti a causa di incidenti ferroviari?

La legge prevede che l’Agenzia Nazionale per la Sicurezza delle Ferrovie effettui la rilevazione dei dati sulla sicurezza del sistema ferroviario italiano nell’ambito di un Rapporto annuale, da inviare entro il 30 settembre all’Agenzia Europea per la Sicurezza delle Ferrovie (ERA) ed al Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti affinché il Mit possa riferire al Parlamento: Il rapporto, secondo le indicazioni dell’ERA valide su tutto il territorio dell’Unione prende in esame incidenti, decessi e feriti imputabili a problemi legati alla sicurezza sui binari. Non rientrano tra questi i suicidi che sono invece gesti volontari messi in atto dalle persone con il preciso intento di togliersi la vita, casistica questa che esula dalla  sicurezza delle infrastrutture ferroviarie, né tantomeno dalle prestazioni del materiale rotabile e che deve essere ricompresa nella rilevazione statistica relativa ad altri fenomeni (di carattere ambientale e sociosanitario).

Cosa si potrebbe fare per diminuire il numero di morti in maniera radicale, e cosa è stato fatto in questi anni?

Sull’incidentalità ferroviaria l’Italia si colloca tra i valori più bassi dell’Ue pur mostrando possibili margini di miglioramento in particolare sul fronte della manutenzione e degli investimenti dei pedoni. L’ANSF ha avviato, tra le altre cose, da diversi anni un confronto serrato con gli operatori ferroviari (gestori e imprese) per definire una migliore gestione della manutenzione: sulla rete principale italiana esiste una tecnologia che permette il dialogo tra il treno e l’infrastruttura (sistema controllo marcia treno) che ha inciso molto sulla diminuzione degli incidenti, tale sistema è in corso di completamento sulle reti interconnesse alla rete nazionale. Dalla data della sua istituzione Ansf ha affrontato il problema del riconoscimento banchina e della corretta apertura delle porte con una conseguente significativa riduzione degli incidenti legati alla salita e discesa dei passeggeri.

* * *

Siamo però riusciti a trovare dei dati affidabili per il numero dei suicidi ferroviari in Italia, ma è stato necessario rivolgersi a ERAIL, l’agenzia europea per le ferrovie, secondo la quale nel 2017 — ultimo dato disponibile — le vittime di questo tipo nel nostro paese sono state 176. Tra l’altro i dati europei gettano quantomeno dei dubbi sull’affidabilità di quelli italiani, visto che nel totale di chi muore per “autolesione intenzionale procurata saltando o posizionandosi davanti ad un oggetto in movimento” ci sono anche le persone che si tolgono la vita gettandosi sui binari, e come detto questo totale è di 111 persone — e le 65 che avanzano? Non è dato sapere.

Non ci sono solo suicidi, però: molti incidenti ferroviari sono in effetti imputabili a comportamenti pericolosi da parte degli utenti del servizio, come nel caso estremo del ragazzino di Parabiago, morto per una sfida di coraggio con gli amici. La prevenzione degli incidenti ferroviari, almeno quelli imputabili a questi comportamenti, passa anche attraverso campagne di sensibilizzazione rivolte ai più giovani — ma non solo.

Anche ANSF è consapevole del ruolo di una corretta informazione a riguardo. Ecco perché da qualche anno è attiva una campagna di sensibilizzazione a riguardo. Secondo l’addetta stampa dell’Agenzia, “Sul fronte degli investimenti dovuti a comportamenti non corretti degli utenti (attraversamento dei binari, salita in corsa sul treno eccetera) solo una maggiore consapevolezza degli utenti può limitare questo tipo di episodi. Quindi, l’ANSF da diversi anni è scesa in campo con campagne di sensibilizzazione che hanno coinvolto partner quali la Polizia Ferroviaria, le Federazioni della Pallacanestro, del Rugby e della Pallavolo e molti uffici scolastici regionali. Nel 2017 ha prodotto uno spot di pubblica utilità andato in onda sulle reti Rai, sui treni e nelle maggiori stazioni italiane. Inoltre, ha chiesto alle imprese ferroviarie e ai gestori un’azione incisiva di collaborazione per limitare gli accessi alle aree più a rischio.”

Incuriositi, siamo andati a guardare questi video, reperibili nel sito dell’Agenzia. Il primo è un video realizzato con la lodevole partecipazione della nazionale italiana di Rugby, in occasione del torneo Sei Nazioni del 2014.

Soddisfatta del video, l’Agenzia ha fatto il bis due anni fa, puntando stavolta alla pallavolo, che ha visto la partecipazione del commentatore sportivo Andrea Lucchetta.

Abbiamo chiesto qualche delucidazione in merito all’Agenzia:

Pensate che gli spot di sensibilizzazione per la sicurezza ferroviaria siano stati efficaci? Stilisticamente, a livello personale, ci hanno suscitato alcune perplessità.

Lasciando da parte le valutazioni personali, lo spot andato in onda sulle reti Rai, in molte stazioni italiane e a bordo dei treni, è una delle strategie messe in campo dall’ANSF. L’Agenzia in questi anni ha anche avviato campagne di comunicazione con diversi partner, in gran parte indirizzate ai ragazzi in età scolare, ragazzi che sono stati spesso, essi stessi, coinvolti nell’ideazione e realizzazione di cortomertaggi aventi ad oggetto i temi della sicurezza ferroviaria. Sono inoltre allo studio altre iniziative grazie al sostegno di partner istituzionali e non.

Forse l’ANSF si è ispirata a “Dumb Ways To Die,” una video del 2013 diventato un meme noto in tutto il mondo, prodotto dall’agenzia dei trasporti di Melbourne,  che elenca molti modi stupidi per morire fino a culminare in essere travolti da un treno.

Chi muore sotto un treno però non è solo stupido, come suggerito dalla canzoncina. Il compito dell’autorità statale dovrebbe essere fare tutto quello che è possibile per evitare qualsiasi tipo di vittima tra i cittadini che usufruiscono di un servizio pubblico — ad esempio, cominciando a sapere quante sono di preciso le vittime. Negli ultimi anni, in Lombardia, abbiamo assistito a un esempio rilevante di misura attiva per contrastare le morti ferroviarie: l’apertura della M5, che come la futura M4 sarà dotata di barriere antisuicidio.

Queste barriere in genere vengono installate solo sulle metropolitane più moderne — anche se a Milano, nel settembre 2012, sono state installate ad esempio alla stazione di Sesto 1°Maggio. Esistono però anche barriere parziali, molto meno costose, che potrebbero essere implementate con più facilità anche sulle fermate della metro di più vecchia costruzione. O, per esempio, anche alle fermate dei treni, almeno quelle più affollate.

In realtà le barriere non sono le uniche misure concepite per evitare, o almeno ridurre, le tragedie di questo tipo. In alcune fermate di Londra sono state scavate delle cosiddette “fosse anti-suicidio” tra i binari, in modo che chi ci finisce sopra abbia la possibilità di salvarsi restando al di sotto del livello delle rotaie. Le fosse sono costose da installare nelle vecchie fermate, ma possono venire realizzate in quelle nuove.

Una prevenzione più efficace sarebbe utile anche per diminuire i costi e i disagi causati da questo tipo di incidenti. Una delle vittime collaterali più note delle morti ferroviarie sono i macchinisti, che si trovano loro malgrado a guidare mezzi potenzialmente letali. Il problema è particolarmente grave in Germania, dove ogni anno muoiono addirittura circa 800 persone investite da treni, e ogni macchinista assiste ad incidenti di questo tipo in media due volte nel corso della sua vita lavorativa, con ripercussioni psicologiche anche gravi.

Storie altrettanto drammatiche sono quelle delle famiglie delle persone investite, che possono andare incontro a ripercussioni economiche anche pesanti in seguito agli incidenti ferroviari in cui perdono la vita i propri cari. A una donna di Bologna, la cui figlia perse la vita in motorino a un passaggio a livello nel 2002, sono stati chiesti un miliardo di lire di danni — oggi, circa 500.000 euro.

I morti sotto un treno sembrano dunque una categoria che risponde a tutte le caratteristiche perché non venga preso nessun provvedimento per limitarne il numero: troppo poche perché siano percepite come un problema diffuso, troppe perché siano una tragica curiosità statistica. Ciononostante, sia che si tratti di persone venute a mancare o di persone che hanno scelto di togliersi la vita, rimangono vittime di quella che in ultima analisi è una falla, una mancanza in un servizio pubblico che avrebbe il dovere di fare di più per prevenirli.