Quest’anno dovremmo scendere in strada anche il 26 aprile

L’opposizione aperta di Salvini alla festa della Liberazione, insieme al deserto lunare del centrosinistra italiano fa ricadere sulla società civile la responsabilità di organizzare una resistenza a questo governo.

Quest’anno dovremmo scendere in strada anche il 26 aprile

in copertina, i partigiani delle brigate Garibaldi della Val Camonica

L’opposizione aperta di Salvini alla festa della Liberazione, insieme al deserto lunare del centrosinistra italiano fa ricadere sulla società civile la responsabilità di organizzare una resistenza a questo governo.

Quando Matteo Salvini ha annunciato che non avrebbe preso parte alle celebrazioni per il 25 aprile l’ha fatto per soffiare il fischietto al proprio elettorato più a destra, quello già radicalizzato, che più o meno consciamente sa di essere fascista, e che il ministro dell’Interno si contende con le sigle che si possono permettere, forti del loro minoritarismo, di essere esplicitamente neofasciste.

Si tratta di una forzatura grave, che trova un precedente nell’atteggiamento di Berlusconi nei confronti di questa ricorrenza, ma che non è assolutamente detto non abbia dei meriti. Come scriveva giustamente ieri Luca Casarotti su Jacobin, l’idea che la festa della Liberazione possa celebrare una memoria condivisa è un’illusione, e al contrario è fondamentale rivendicare la sua natura conflittuale.

Due anni fa scrivevamo che le celebrazioni moderate e europeiste del Partito democratico durante il 25 aprile erano tossiche perché non riconoscevano che i partigiani avevano sconfitto sì la dittatura, ma non il fascismo. Al contrario, nell’Italia del Secondo dopoguerra un insieme di forze diverse ha lavorato in concerto per una progressiva decriminalizzazione di Mussolini prima, e della sua ideologia poi.

In questo senso è ottimo che i ministri ammiccanti al neofascismo di un governo di destra non si facciano vedere alle celebrazioni di oggi: perché così sia sotto gli occhi di tutti, soprattutto delle tante forze politiche moderate, quanto fosse disonesto il tentativo di costruire una “memoria comune” senza antifascismo.

Sono tantissimi gli errori che sono stati fatti negli anni che ci hanno portato qui: non si è stati capaci di costruire un’epica della Resistenza che contestualizzasse il fascismo come una forza da combattere sempre, e non si è stati capaci di produrre un corpus per tenere vivi i valori dell’antifascismo anche per una sinistra del futuro. Il risultato di questi due errori è avere il fianco scoperto a farsi chiamare “salme,” come aveva fatto Beppe Grillo già sette anni fa, tracciando la strada che ha portato il proprio partito ad abbracciare l’estrema destra.

La sinistra si trova così oggi, disfatta e a pezzi, all’opposizione di un governo in cui il partito più forte opera sfacciatamente in ottica revisionista, e l’altro gli fa da stampella. Senza aver costruito un insieme di ideali futuri per cui combattere.

Quello che resta oggi, prima di capire quali siano i confini per un dibattito politico sano, che rifiuti i codici del fascismo e della xenofobia, è la lotta.

La lotta, sì, perché in questo momento è impossibile pensare di poter indicare quali siano i confini del movimento che può sconfiggere questa ondata. Nel corso di questo anno di governo abbiamo avuto innumerevoli esempi della vitalità della società civile e dell’attivismo, che ha saputo farsi vedere in molte manifestazioni del proprio scontento nei confronti del governo — contro la xenofobia, contro la misoginia, contro il negazionismo climatico, e oggi contro il fascismo.

Nel corso di una campagna elettorale che finora ha dimostrato soltanto quanto il centrosinistra e la sinistra parlamentari siano completamente disarmate di fronte al nuovo dibattito pubblico, allargato a destra verso codici contro cui faticano a presentare alternative, è diventato evidente che non si può più aspettare che la resistenza a questo governo parta dalla politica.

Gli esempi di NO CPR e di People, della resistenza transfemminista di Non Una Di Meno e delle manifestazioni ambientaliste di Fridays for Future dimostra che anche in Italia esiste un fronte più ampiamente “antifa.” Finora è mancata, tuttavia, una forza di sintesi, forse perché ci si aspettava che arrivasse dalla politica, probabilmente perché queste manifestazioni sono nate da istanze in realtà molto diverse, e che finora non hanno comunicato molto.

È impossibile indicare come queste forze possano arrivare a inverare un vero fronte compatto, capace di essere arrabbiato quanto organizzato, ma solo loro hanno una speranza di riuscirci.

Oggi in strada celebriamo la forza con cui i partigiani hanno liberato il paese dalla dittatura. Ma la lotta contro il fascismo è ancora tutta da combattere.