Nel mare di insicurezze generazionali la questione ambientale, riportata alla luce dalle manifestazioni internazionali dello scorso marzo, coinvolge sempre di più i giovani ma non sembra ancora toccare la sensibilità autoriale degli artisti italiani.
Le manifestazioni per il clima promosse da Greta Thunberg hanno alimentato nel mondo una discussione, quella sull’accelerazione inaspettata del riscaldamento globale e sulle sue probabili conseguenze catastrofiche, che ha mobilitato milioni di persone in 150 paesi. In Italia le marce sul clima si sono svolte da nord a sud in tutte le principali città sulla spinta di un movimento di giovani e nel disinteresse generale della politica, che si è espressa timidamente con un complimento distaccato del Ministro dell’ambiente Sergio Costa.
Il senso di insicurezza generato dalle previsioni drammatiche puntualmente sventolate dall’IPCC allarma le generazioni più giovani, quelle che subiranno maggiormente l’inefficacia delle politiche ambientali e l’inazione dei governi. La problematica ambientale si aggiunge al mare di indeterminatezza che accompagnerà la loro vita, divisa tra precarietà, perdita di certezze e incapacità di orientare il proprio futuro.
Le insicurezze e le aspirazioni dei giovani, che i Coma Cose evocano lucidamente in “Jugoslavia” cantando “Vengo dal niente, voglio tutto”, sono il denominatore comune della nuova scena musicale italiana. Hanno il suono da cameretta dei pezzi indie e la rabbia di Massimo Pericolo che brucia la tessera elettorale e grida “Sono il futuro, senza un futuro”. Continuano a incarnarsi nei “nati nell’89 che hanno Reflex digitali e mettono su Flickr belle foto in bianco e nero” e hanno il volto della “gente che non lavora ma che viaggia sempre” cantata dagli Zen Circus in “Non Voglio Ballare”. Nella maggior parte delle canzoni che ascoltiamo tutti i giorni la fragilità della vita moderna fa a pugni con un modo di vivere sempre più esposto, da social, in cui anche l’insicurezza viene esorcizzata – ed estetizzata – in una foto filtrata con lo sguardo perso nel nulla. Oppure finisce condensata in un meme o nella strofa incisiva e acchiappa ascolti di “Vita Sociale” dei Canova: “Passano leggi sul posto fisso, non averlo neanche, io nemmeno l’ho visto”.
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Il futuro dei giovani è il futuro degli artisti esplosi con l’ondata musicale di questi anni. Età e storie personali si sovrappongono arricchendo di sfumature le strofe dei brani di questi ultimi. Ma l’imponderabilità dei prossimi decenni, che quasi sempre tocca un’esistenza fatta di insicurezze lavorative, relazioni personali traballanti e mancanza di punti fermi a lungo termine, non sembra ancora includere l’ambiente, toccato solo di traverso dagli artisti nelle loro strofe ma sempre più atrofico e avvelenato, oltre che dalle emissioni in costante crescita, dalla mancanza di politiche ambientali organiche e dal disinteresse diffuso che discende dalla classe dirigente ai cittadini.
La musica, per il momento, si sta tenendo a debita distanza. Se è vero che in Spacco Tutto Green Edition qualche anno fa Jake la Furia e Guè Pequeno rappavano di riciclo e risparmio energetico in una campagna sponsorizzata da Telecom rielaborando un loro brano di successo, è evidente che gli episodi in cui musica e ambiente si sono incrociati sono stati per ora rarissimi e l’hanno fatto per lo più sotto forma di concerti mastodontici intestati al clima e presentati da Al Gore in cui una manciata di popstar si abbracciavano forte con la lacrimuccia sperando cambiasse qualcosa che puntualmente non è mai cambiata.
Bisogna pensare a lungo prima di trovare un testo italiano che includa una critica ambientale. Si può citare “Vieni a ballare in Puglia” di Caparezza, la meno popolare “L’italia è una” di Dargen D’amico oppure uno degli ultimi brani di Dutch Nazari (“Mirò”). In tutti i brani, però, la critica ambientalista è a margine rispetto al centro della canzone.
All’estero va meglio. Quasi vent’anni fa i Radiohead alludevano esplicitamente al global warming in “Idioteque” evocando immaginari terribili da glaciazione. Nel 2016 Anohni dedicò al problema del riscaldamento globale un brano contenuto nel suo ultimo album, Hopelessness. “4 degress”, cantata con la vena malinconica che l’ha resa famosa prima come frontman degli Anthony and the Johnsons e negli ultimi anni come voce del progetto Anohni, riconsegna all’ascoltatore la questione ambientale sottolineandone la drammaticità con un’elettronica greve da cui spiccano corni e tamburi bellicosi. A proposito della causa ambientalista sostenuta nel testo della canzone l’artista raccontò a Pitchfork:
“Mi sono stancato di essere (solo) in lutto per l’umanità — non mi sentivo completamente onesto nel non ammettere che fossi anche io parte del problema.”
https://youtube.com/watch?v=Fi0q0O4V5Qs
Il deterioramento dell’ecosistema in cui viviamo non rientra (ancora) nella maggior parte dei versi delle canzoni che ascoltiamo, che continuano — come è anche giusto che sia — a parlare di emozioni e a rappresentare problematiche più impellenti nella vita delle persone. Il tema ambientale inizia però a toccare e includere sempre di più le coscienze degli artisti. Il caso più eclatante è quello di Paul McCartney, Bono e Pharrell Williams che nel 2017 supportarono il documentario di Al Gore “An Inconvenient Sequel” spendendo la propria immagine in una campagna che favorisse la messa in atto di azioni per mitigare il riscaldamento globale.
In Italia Marco Mengoni recentemente è diventato invece protagonista di uno spot promosso da National Geographic contro il problema della plastica che sta infestando i mari. Un tema caro anche a Jovanotti; grazie alla partnership con WWF quest’estate porterà sulle spiagge italiane un tour che avrà come tema centrale, anche qui, quello della lotta all’inquinamento da plastica. Ma nonostante l’impegno sempre più evidente di alcuni artisti nello smuovere le coscienze facendo da apripista a stili di vita rispettosi e portando avanti tematiche delicate e sempre più attuali — ma non ancora del tutto interiorizzate dalla società — il problema del peggioramento dell’ambiente non sembra essere entrato stabilmente nei brani che ascoltiamo tutti i giorni in streaming.
La colpa non è degli artisti. Il global warming, così come il Pacific Trash Vortex o il problema italiano (e globale) della siccità sempre più frequente e anticipata nel corso dell’anno — così come altre decine di calamità che interessano l’ambiente in cui viviamo — non hanno (ancora) sconvolto le nostre vite e si riflettono, per il momento, quasi solamente nei blocchi del traffico, nelle restrizioni alla circolazione — ma non pensate che “Enjoy” di Carl Brave e Franco126 sia un elogio a una mobilità più sostenibile — o al più in articoli-monito in cui si richiama ad azioni individuali e all’uso accorto delle risorse con la solita lista delle buone pratiche da adottare.
Uno dei segnali che rivelerà l’interiorizzazione profonda del problema ambientale da parte delle persone, così come è stato per la politica molti anni fa, sarà l’ingresso del tema, con tutte le sue sfaccettature, nello spaccato delle vite raccontate dai nostri autori preferiti. Quando l’asma causato dallo smog metropolitano oltre a comparire in una statistica del Ministero della salute finirà in un verso di Coez accostato all’ennesima strofa d’amore realizzeremo meglio, forse, la drammaticità dell’epoca storica che stiamo attraversando. Fino ad allora l’unica rappresentazione concreta delle conseguenze del global warming rimarrà confinata all’apocalisse irrealistica da film hollywoodiano con l’inondazione di Manhattan e la caduta rovinosa dei calcinacci dal Big Ben. Niente di più distante dal tipo di problemi che ci troveremo ad affrontare tutti i giorni qualora le campagne di Greta Thunberg non fossero servite a niente.