Da icona trap a rockstar spregiudicata, ad Achille Lauro le etichette non sono mai andate a genio e 1969, il suo nuovo disco uscito oggi per Sony, ne è la dimostrazione.
“Sono un operaio del mio successo. Questo è il momento delle responsabilità verso chi lavora a questo progetto.”
La samba trap è stata un passaggio obbligato, una forma d’espressione genuina e contaminata. Folle come occupare le vie del centro di Milano, spontanea e strafottente come il debutto di una rockstar. Ma la svolta era nell’aria, già qualche mese fa si intuiva sarebbe stato, quello della trap, solo un passaggio, uno step intermedio tra l’esuberanza dei primi (grandi) passi discografici e la tensione verso traguardi più ambiziosi e audience più ampie. È toccato a “Rolls Royce” aprire una breccia nelle nostre orecchie, forzare una prospettiva che ci spinge quotidianamente a incasellare, etichettare, attribuire giudizi il più delle volte superficiali e riferimenti per forza stringenti. Abbiamo pensato che Achille Lauro e trap fossero un binomio imprescindibile, l’unico binario percorribile dall’artista romano, chiuso a doppia mandata nell’autoreferenzialità di un testo trap dopo l’altro. Ora possiamo dirlo, ci sbagliavamo.
1969 segna una differenza musicale netta rispetto ai dischi precedenti. I riferimenti si spostano dall’elettronica e dal rap tornando indietro nel tempo e scollandosi, almeno in parte, dall’estetica e dall’immaginario hip hop. “Abbiamo pescato dagli anni ‘60 e ‘70, l’epoca più importante dal punto di vista creativo” spiega Achille Lauro ai giornalisti durante la presentazione del suo nuovo disco. L’impronta creativa invece è la stessa di Pour l’amour e Ragazzi madre ed è chiaro ascoltando passaggi familiari zeppi di marche di automobili (Cadillac, che è anche il titolo di un brano, ma anche Ferrari e Porsche), termini pescati dal francese, accostamenti bizzarri e altri nomi, questa volta di stilisti — ma ogni tanto, vedi “Sexy Ugly”, gli elenchi fanno pensare si stia esagerando col citazionismo.
La scrittura di Achille Lauro non è l’istantanea metropolitana iperdefinita ma la pennellata grezza che traccia l’intento artistico rendendolo evidente. “Più di una vita voglio sia un museo”, oltre a essere il passaggio di un brano (“Je t’aime”), è una dichiarazione programmatica che rende almeno per un istante la musica uno strumento figurativo che sovrasta la vita, un mezzo in grado di modificare i contorni delle canzoni tenendo a fuoco il soggetto.
In 1969 c’è il pezzo con Coez (“Je t’aime”) che ti aspetti suoni proprio come un pezzo con Coez: le vocali sono aperte e le strofe sembrano fatte apposta per essere canticchiate sotto la doccia. Più avanti “Roma” è un omaggio alla città da cui tutto è cominciato — qui il collegamento con gli album precedenti è chiaro — e vede la collaborazione di Simon P (autore romano amico di Lauro). Ma c’è anche una traccia più esuberante e up che non a caso si intitola “Delinquente” e il brano intimo, da carillon, che non può non intitolarsi “Scusa” e chiudere con delicatezza il disco tracciando un collegamento sottile con un altro album emerso nelle ultime settimane dalla scena romana, quello di Quentin40 (40).
“L’album si divide tra due macrosensazioni, leggerezza e malinconia”, spiega Achille Lauro. Ha molti punti alti — sicuramente “Rolls Royce”, ma anche “Cadillac” e “1969” — accompagnati da qualche scivolata nella melassa, vedi “C’est la vie”, una ballata a corto di fiato che riprende alcuni stilemi negativi della canzone pop italiana (il testo vago, i suoni insipidi, il ritornello avvitato su se stesso). Se si aggiunge il mare d’inverno mostrato nel video si chiude una parentesi poco coraggiosa.
1969 però non va preso per quello che non è, ovvero un disco fuoriuscito da Sanremo e confezionato in fretta e furia sull’uscio dell’Ariston per sfruttare la marea alta della spettacolarità. Il disco è “un progetto a cui lavoravo da due anni”, spiega Achille Lauro e non è un punto d’arrivo in cui fermarsi a riposare perché “sto già lavorando ad altri due album.”
Achille Lauro, alla presentazione del disco in panama bianco — come il completo — e camicia e scarpe color argento, fa capire di voler continuare l’esplorazione sonora con la consapevolezza di non essere su un piedistallo: “sono un operaio del mio successo. Questo è il momento delle responsabilità verso chi lavora a questo progetto” dice a proposito del disco.
Nel 1969 succedono un sacco di cose. A Londra i Beatles si inventano un concerto a sorpresa su un tetto della city, l’uomo arriva per la prima volta sulla luna e Jim Morrison viene arrestato per atti osceni in luogo pubblico. Ma c’è anche Woodstock, il primo trapianto di cuore artificiale su un uomo, l’uscita di “Satyricon”, “Easy Rider”, il secondo disco dei Led Zeppelin.
“È il 20 luglio del ‘69
Si sono fuori
Si si sto sulla Luna”
Quarant’anni dopo, quando la scena trap iniziava ad attorcigliarsi sui contenuti e sulle produzioni, Achille Lauro e Boss Doms hanno iniziato a tracciare una via parallela cominciando a scavalcare i confini creando ponti tra l’immaginario hip hop, un’elettronica ruvida che a pochi suonava familiare — e di certo non ammiccava al mainstream — e un mix di sonorità sudamericane. Ora che quell’esperimento è riuscito la sfida artistica è guardare oltre e sperimentare altrove, con alcuni punti fermi: la villa affittata un mese e mezzo all’anno in cui si tirano fuori le idee nuove, il produttore di sempre Boss Doms, il solito approccio aperto e inclusivo rispetto alla musica. Tutto rimane uguale, i punti fermi sono immutati. Per questo 1969 non vi suonerà nelle orecchie come la deriva snaturata di un’artista che ha assaggiato la popolarità e ora se la vuole tenere stretta, ma come una direzione precisa, una scelta artistica che scontenterà qualche fan disattento ma che allargherà l’obiettivo nel tentativo di raggiungere un pubblico sempre più ampio. Anche questa volta la sensazione è che Achille Lauro ci stia già riuscendo.
Il 3 ottobre dal Tuscany Hall di Firenze inizierà il “Rolls Royce Tour”, che proseguirà il 4 ottobre all’Atlantico di Roma, tornerà a Milano il 7 ottobre (al Fabrique), si sposterà a Bologna, al Palaestragon, il 10 ottobre, l’11 ottobre sarà al Teatro della Concordia di Venaria Reale (TO) e il 13 ottobre arriverà alla Casa della Musica di Napoli.
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