Lega e 5 Stelle hanno iniziato a litigare a 50 giorni dalle elezioni: che coincidenza
Salvini è tornato a proporre la flat tax, una misura che il Movimento 5 Stelle non può digerire in campagna elettorale. Ma il partito di Casaleggio può ancora mantenere una posizione qualsiasi con credibilità?
in copertina, foto via Facebook
Salvini è tornato a proporre la flat tax, una misura che il Movimento 5 Stelle non può digerire in campagna elettorale. Ma il partito di Casaleggio può ancora mantenere una posizione qualsiasi con credibilità?
Dal primo giorno di trattative tra Lega e 5 Stelle era evidente una clausola nel contratto di lavoro, non scritta ma pronta a scattare alla vigilia delle elezioni europee: aprire al momento opportuno un dibattito artificioso, in modo da polarizzare le proposte politiche di Lega e 5 Stelle e permettere a entrambi i partner di governo di fare campagna elettorale in modo coerente — per quanta coerenza ci possa essere tra due partiti che non si presentano insieme non solo alle elezioni europee, ma nemmeno a quelle amministrative.
Il piano di affiancarsi alla Lega e mantenere la propria impalcatura ideologica, però, è andato del tutto a rotoli solo poche settimane dopo: per quanto l’infrastruttura mediatica del Blog delle Stelle abbia cercato di resistere, i politici del Movimento non si sono infatti dimostrati in grado di tenere testa alla monopolizzazione del discorso pubblico operata da Salvini, emerso nella scena politica come totale vincitore. Malgrado la flat tax non si sia ancora fatta, malgrado la benzina non sia così cara da anni, malgrado un’indagine per sequestro di persona che avrebbe fatto tremare qualsiasi altro ministro nella storia recente della Repubblica.
Il tema della discordia ha finito per essere la flat tax, la proposta economica di ultradestra della Lega, rimasta nel cassetto a lungo e ritirata fuori da Salvini al momento opportuno — con l’intento di stanare l’avversario, e affermare la propria identità politica. Il Movimento è stato costretto al gioco e ha dovuto alzare la voce contro la proposta, soffiando sul fuoco della polemichetta.
Anche il Movimento 5 Stelle infatti ha la necessità pressante, a meno di due mesi dalle elezioni europee, di ribadire al proprio elettorato di essere in questo governo di coalizione solo per opportunità politica, ricordando al paese che sono ben altra cosa da Salvini. Si vede costretto, insomma, a imporre nel discorso pubblico un rapporto di alleanza forzata che doveva riuscire costruire fin dal primo giorno.
Ma ormai è troppo tardi.
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Ieri il “no” pronunciato dai 5 Stelle nei confronti della proposta flat tax è stato quasi tenero. “Non abbiamo mai detto di non volerla, bensì abbiamo affermato che non bisogna fare facile campagna elettorale su certe misure, perché sono ambiziose e costano. D’altronde è stata la Lega a dire che costa 12 miliardi. Ribadiamo: noi siamo sempre stati leali al contratto, chi lo è stato meno è la Lega,” ha messo nero su bianco il Movimento. In serata, Luigi Di Maio, ospite da Fabio Fazio, ha raggiunto nuovi livelli di commedia dell’assurdo dichiarando che la flat tax va fatta, sempre per la lealtà di cui sopra, ma “non deve aiutare i ricchi.”
Lo spazio per costruire una propria identità, per il Movimento 5 Stelle, c’era — se si voleva provare a mostrare concordanza sui temi economici, in nome di una responsabilità che non si è vista su nessun altro fronte, le posizioni di Salvini su sicurezza e diritti sono state nel corso dell’anno di governo così estremiste che non era in nessun modo difficile trovare una posizione alternativa ma organica. Era così difficile inveire — anche a vuoto — per lo sbarco dei migranti dalla Diciotti? Era così difficile non invocare la chiusura dei campi rom, come se il problema fossero i rom e non i fascisti? A cosa serve lamentarsi delle alleanze con i “negazionisti,” se poi il giorno dopo gli si dà implicitamente ragione?
Il fatto più rilevante, forse, è che l’argomento di contesa non riguarda più i diritti umani di un pugno di migranti vulnerabili e adatti a essere usati come valvola di sfogo, ma questioni più pratiche, che a differenza dell’immigrazione potrebbero davvero essere classificate come emergenze nazionali: lo stato delle infrastrutture pubbliche in Italia, lo stato sociale che la Lega — in continuità con il centrodestra berlusconiano — continua a voler smantellare con misure come la flat tax. Per non parlare dello spettro di una probabile manovra correttiva che si avvicina. Ma questa è un’altra storia, visto che andrà in scena in periodo post-elettorale. Chissà, magari il giorno in cui dovrà essere approvata ci sarà anche un barcone da non far sbarcare.
Come si vede sono tutte contese economiche, che alla lunga sono il principale metro di giudizio per qualsiasi governo occidentale e nelle quali emerge bene il divario ideologico tra Lega e 5 Stelle, che questi ultimi hanno fatto di tutto per nascondere. La sfida a queste Europee, per il Movimento 5 Stelle, sarà asprissima: svuotato di qualsiasi identità e riempito delle misure della Lega, il partito non ha uno scopo, un’ambizione. Nel 2018 si votava il M5S per il reddito di cittadinanza — qual è la misura equivalente delle prossime elezioni? Perché votare questo partito?
Sono domande banali, che sa porsi anche l’agenzia di comunicazione più sfigata. Eppure Casaleggio e i 5 Stelle — in modo simile al Pd prima delle scorse elezioni — sembrano completamente disarmati. L’idea più chiara che si è sentita in questi giorni da parte di Di Maio è la certezza di formare un gruppo “indipendente,” di esperienze civiche, al Parlamento europeo, per contrapporsi alle alleanze fascistoidi della Lega. Ma questo è un dettaglio puramente tecnico, che non ha nessuna influenza sui cittadini — oseremmo dire, non è nemmeno un argomento politico.
È difficile pensare che oggi il Movimento 5 Stelle possa convincere qualcuno di essere alternativo alla Lega. Certamente questo non è un piano che fa sperare l’organizzazione di presentarsi alle elezioni con ambizioni maggioritarie, com’era solo un anno fa. Per questo la sfida, oltre le Europee, per il partito sarà la flat tax: se gli è rimasto un grammo di identità lo dovrà trovare in un approccio alla questione sociale che la Lega — da sempre un partito di destra vera, dei padroni, e solo mascherato da partito popolare — non può avere.
Per questo, immaginiamo, la flat tax fa così paura ai 5 Stelle — il lavoro per la prossima legge di bilancio sarà entrare in un labirinto senza uscita: l’ultimo compromesso da accettare per perdere ogni traccia di riconoscibilità dalla Lega.
È possibile che il partito inizi ora a fare, a dire qualcosa di diverso? Sì: e lo stanno già facendo, rivendicando come siano state le proprie misure, e non quelle della Lega ad aver dominato in questo anno di amministrazione. Ma a poche settimane dal salvataggio goffo di Matteo Salvini al Senato è difficile immaginare un dietrofront del partito verso una nuova dignità.
L’unica cosa che resta è alzare la voce, sperando non sia troppo stridula, sperando che non si rompa, per cercare almeno di portare al voto gli elettori più convinti. Ma si tratta di una strategia sconfittista, di un’organizzazione che ha già interiorizzato il proprio fallimento.
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