Brenneke ci ha raccontato il suo ultimo album “Nessuno lo deve sapere”
“Nessuno lo deve sapere” è il secondo disco di Brenneke, uscito a tre anni di distanza dal precedente “Vademecum del perfetto me”. Nessuno lo deve sapere è nn disco che […]
“Nessuno lo deve sapere” è il secondo disco di Brenneke, uscito a tre anni di distanza dal precedente “Vademecum del perfetto me”.
Nessuno lo deve sapere è nn disco che racconta un’evoluzione, un cambiamento o forse più di uno.
Abbiamo fatto qualche domanda ad Edoardo che ci ha anche raccontato traccia per traccia tutto il disco.
Partendo dalla fine con “Nessuno lo deve sapere” e percorrendo tutto il disco a ritroso fino a “Sono in una fase,” si percepisce chiaramente come questo sia un disco di transizione. In questi due anni in cui hai lavorato al nuovo album, cos’è cambiato? E soprattutto cosa sta ancora cambiando?
Lo spirito di transizione che hai percepito probabilmente dipende proprio da quello che ho vissuto in questi anni che è entrato nelle canzoni. Il grosso di questi pezzi ha una genesi che risale alla fine del 2016, in un periodo in cui, venendo dall’approccio per la musica un po’ più “sperimentale” del mio disco precedente, mi ero ritrovato a scrivere canzoni in un senso più canonico. La realizzazione di queste poi ha attraversato parecchi saliscendi perché non riuscivo a dare una coesione a tutto quanto e in questo processo forse avevo anche un po’ smarrito il senso del fare musica. Il più grande risultato è stato riuscire a collaborare con più persone mantenendo un occhio fisso sull’opera finale senza perdere il controllo del volante, diciamo. È qualcosa che 3 o 4 anni fa forse non avrei saputo fare con caparbietà. Il grande cambiamento poi è stato l’apparizione di Vetro Dischi a sostenere il futuro del progetto. Quella è stata la svolta. Mi ha dato la spinta per finire il disco con entusiasmo pensando davvero al futuro.
A ruota è arrivata la mia nuova band che mi ha illuminato sul sound giusto per portare queste canzoni dal vivo. Ora che il disco è uscito, è interessante e bellissimo vedere cosa comunica al pubblico. Quello che sta cambiando anche ora sono proprio le persone alle quali mi sto rivolgendo, che percepisco essere di più rispetto a prima e le sento realmente coinvolte da queste canzoni. Le canzoni vivono di vita propria anche dopo essere state completate e hanno più significati intrinsechi oggi piuttosto che quando sono state scritte.
Parli spesso della produzione da parte di Federico Nardelli, quanto è importante il suo lavoro per aiutarti a completare il tuo mondo sonoro? Qual è il vostro metodo di lavoro?
In verità Federico Nardelli ha prodotto solo 3 canzoni. Ho avuto la fortuna di conoscerlo tramite Antonio Gno Sarubbi (fondatore di Maciste Dischi ndr), che è un amico di vecchia data. Lui ha lavorato a distanza inserendo alcuni elementi alle mie pre produzioni che poi hanno dato un carattere insostituibile ai pezzi. Quella ritmica dal sapore black di Satelliti è opera sua, così come quelle tastiere saltellanti di Certi Animali. In quei mesi Federico era impegnatissimo con il disco nuovo di Gazzelle e da lì a poco con Ligabue, così mi ha giusto dato alcuni input, ma il cuore del sound del lavoro l’ho messo poi a fuoco con il produttore Matteo De Marinis, che è anche il mio batterista. Abbiamo coniugato l’idea di un disco dal sapore elettronico in cui però un’esigenza narrativa “cantautorale” rimanesse al primo posto. Abbiamo fatto entrare generi diversi e influenze molto varie ragionando molto attentamente non solo al sound che volevamo ma anche al significato di ogni scelta. I suoni comunicano una loro idea di contemporaneità, ed è un gesto a suo modo politico scegliere un suono di synth o di chitarra piuttosto che un altro. È stato impegnativo, ma siamo riusciti a dare un senso ad ogni tassello del percorso. Io vivo così la musica, non mi interessa essere il più bravo né tantomeno il più famoso: voglio essere il più consapevole.
La chiusura del disco lancia un messaggio positivo, dopo un lungo peregrinare sembri aver trovato una certa “pace” o almeno una consapevolezza. Come questi sentimenti contrastanti (ad esempio rispetto a “Sto pensando di mollare tutto”) fanno gioco alla scrittura delle tue canzoni?
Questo è esattamente il senso del disco e di questo insieme di canzoni, che sono facce diverse di un percorso umano. So che sembra un po’ retorico, ma è un viaggio. Per questo “Nessuno lo deve sapere” è diventata il cardine del lavoro, con questa sua apertura finale cinematografica che lascia spazio a una sorta di proseguo. Dopo tante domande e tante scene diverse, si prende un po’ di respiro e si decide di andare avanti, convivendo con una confusione interiore che è a un tempo sia universale che individuale. È in qualche modo la mia storia personale con la musica: che non abbia timore di drammaticizzare quando necessario, ma che alla fine infonda speranza e forza per andare avanti.
Chiudo con una domanda sui live. È partito da poco il tuo tour, cosa c’è di nuovo sul palco rispetto al disco vecchio e dove (sempre ragionando in evoluzione) vorresti portare il tuo set live?
Pur suonando sul palco da tanti anni, da un certo punto di vista mi sento quasi di ripartire da zero con questo tour. L’ho pensato proprio poche sere fa alla data di Milano all’Ohibò. Ho una band nuova formata da musicisti talentuosissimi (Matteo De Marinis alla batteria, Laura Pizzoli alle tastiere, Daniele Marinello al basso) e finalmente, dopo anni in cui come un pazzo mi portavo dietro chilometri di pedaliera per usare basi e loop station, mi concentro solo sul suonare e cantare. Le canzoni nuove sono molto belle da fare dal vivo, che era esattamente quello che speravo ma non era scontato, soprattutto dopo la loro lunghissima gestazione. Mi sento molto fortunato a fare parte di questo gruppo di musicisti, sento che possiamo fare delle cose meravigliose. Rispetto a dove portarlo live, gireremo il più possibile e vedremo il paese tramite il filtro di queste canzoni, che è la cosa più importante.
Brenneke suonerà domani sera all’Ostello Bello di via Medici a Milano per Tracklist.
Track by Track
Sono in una fase
Questo disco nasce dalla confusione. Probabilmente spesso l’arte nasce dal caos e talvolta ci sono canzoni che celebrano questo stato. Questa è una di quelle e più nello specifico parla di sentirsi talmente sopraffatti dal caos da trovare rifugio nell’apatia. E’ un’apatia però dalla quale si vuole uscire, quasi con l’esorcizzazione della stessa. A suo modo, da questo punto di vista è tematicamente un brano blues. Io e il mio produttore Matteo siamo impazziti sulla parte centrale strumentale ed è uscita una bomba.
Compleanno
È la canzone che si avvicina di più al mondo del mio album precedente. Ha un ritornello strano, quasi trattenuto e all’inizio non ero nemmeno certo che fosse adatta al disco. Non solo ci è entrata ma è diventata il primo singolo. Mi ricorda il mondo dei R.E.M. e gli Smiths, era forte abbastanza per “spalancare la porta”. Come la canzone che la precede è molto concentrata su di me. E’ un bilancio di partenza per comprendere tutto il resto del viaggio.
Satelliti
Dopo due canzoni in cui parlo di me con un fondo di amarezza, ne arriva una in cui parlo già di un “noi” in una dimensione tendenzialmente salvifica. Satelliti è quasi una celebrazione di quella sensazione di attesa perenne tipica dei piccoli centri di provincia. Non c’è autocommiserazione, né solitudine. C’è voglia di stare insieme e energia, corporeità e affetto. Quando l’ho scritta ho percepito che avesse qualcosa di speciale. La produzione di Federico Nardelli l’ha mandata in orbita e ha aggiunto del “black”, soprattutto con quella parte di basso miracolosa che ha suonato lui.
Certi Animali
Anche questa prodotta in grandissima parte da Federico, è una canzone in cui ci siamo fatti in quattro per evidenziare l’aspetto elettronico integrandolo con l’analogico. È uscita straordinaria e contiene forse la mia parte preferita di batteria di Teo in assoluto. L’ho scritta tantissimo tempo fa e parla della fine di una relazione ancora in una teatralità quasi blues. Questa volta una punta di autocommiserazione c’è. Mi diverto molto a cantare l’ultima parte altissima, è vocalmente una delle cose più difficili che abbia scritto. Mi ostino a rendermi la vita difficile.
Spirance
La adoro vertiginisamente. È l’ultimissima cosa che ho composto per il disco, sentivo che ci voleva qualcosa per spezzare il clima e permettere di entrare nel cuore concettuale del lavoro, quindi ho scritto questo strumentale. Per riprendere fiato, fermarsi un secondo. “Spirance” è una parola albanese nella quale mi sono imbattuto e significa appunto “àncora”. L’ho usata per creare nuove coordinate nella geografia delle mie canzoni. Se le navicelle spaziali avessero l’àncora come le navi marine, secondo me farebbero questo suono, che sembra suggerire: fermiamoci qui un instante.
Incendio
Questa è una canzone molto delicata. Riguarda un sogno che ho fatto in cui mi trovavo in un bosco infuocato. Non so se il vento che soffia di cui parlo alla fine spegnerà le fiamme o le farà crescere di più. E’ una riflessione sulla perdita, con toni teatrali e parecchio seriosi. È la cosa più Post Punk che abbia mai scritto e suonarla dal vivo è meraviglioso. Potenzialmente potrebbe continuare decine di minuti in una jam (appunto) incendiaria. E prima o poi sul palco lo farò.
Lasciarsi alle spalle
È nato prima di tutto il titolo e si sono allineati gli astri per scriverla tutta quando ho trovato gli accordi perfetti di tastiera. Teo poi l’ha resa sinuosa e ballabile, in qualche modo creando un’atmosfera sfalsata tra la vaga rassegnazione del testo e la giocosità della musica, rendendola praticamente una canzone felice. Lasciarsi alle spalle significa sia smettere di amarsi in segreto l’uno dall’altra sia salutarsi, ognuno per la propria strada. Il verso sui buchi neri è praticamente la summa del senso del disco: trasformare le difficoltà in opportunità.
Sto pensando di mollare tutto
Qui si torna pressapoco alla tematica di Sono in una fase, ma questa volta è trattata decisamente con meno reattività. È praticamente una cronaca sull’apatia in un andamento un po’ rassegnato, in modo talmente accentuato da sembrare una recita. Parla di fuga dalle responsabilità in modo incondizionato e scriteriato. Nel finale avviene qualcosa, c’è un risveglio dei sensi e la voce si alza dopo che era stata sommessa per tre canzoni di fila. Musicalmente è un intreccio pazzesco di strumenti, uno dei migliori arrangiamenti che io e Teo abbiamo tirato fuori.
Menta
Insieme a Satelliti è il vero momento di luce. L’ho scritta all’inizio del 2018 ed è diventata subito concettualmente fondamentale per tutto l’album, che era quasi terminato. Tutte le paranoie che nelle canzoni precedenti lottavano l’una con l’altra finalmente sono dissolte in un bisogno di festa che supera ogni ostacolo. È una canzone che parla di condividere la gioia con qualcuno nonostante le difficoltà della vita. La menta è un sapore e un profumo che associo alla spensieratezza.
Nessuno lo deve sapere
È una delle primissime canzoni che ho scritto, più di due anni fa. Quello che nessuno deve sapere è quella sensazione di unicità che c’è nella fine di ogni relazione o esperienza. Diventando il titolo del disco l’espressione ha cambiato di significato andando più in generale a parlare di intimità emotiva racchiudendo tutte le tematiche delle canzoni precedenti. Messa in chiusura è una canzone sulla consapevolezza. Dopo tanto vagabondare, dopo tanta confusione, una cosa è certa: forse non arriva subito, ma dopo l’acqua alta c’è sempre un porto a cui attraccare.