Michael Cohen sta per scatenare la tempesta su Donald Trump
Il New York Times ha ottenuto una copia della deposizione iniziale di Cohen, che l’avvocato presenterà prima di rispondere alle domande dei parlamentari.
Alle 10 ET di oggi, le nostre 16, Michael Cohen, l’ex avvocato azzeccagarbugli di Donald Trump, si siederà davanti alla Commissione della Camera per la seconda volta, questa volta al termine di un lungo percorso di “redenzione” — reale o meno — che lo ha portato a essere in aperto scontro con il proprio ex cliente, e in qualche modo, il volto delle indagini del procuratore speciale Mueller.
Il New York Times ha ottenuto una copia della deposizione iniziale di Cohen, che l’avvocato presenterà prima di rispondere alle domande dei parlamentari.
Cohen si presenterà “documenti alla mano,” cercando di ricostruire una credibilità che ha distrutto con le proprie stesse mani, presentandosi davanti al Congresso nel gennaio 2016. Tra i piú gli altri, c’è una copia di un assegno con cui Trump rimborsava Cohen dei soldi da lui pagati per mettere a tacere “un’attrice di film per adulti,” e svariate lettere di minacce — parole di Cohen — con cui l’avvocato intimava a scuole e università di non rilasciare informazioni sui voti del candidato presidente.
Cohen ammette di aver mentito davanti al Congresso riguardo il progetto della Trump Tower a Mosca — e che discussioni per la costruzione di quel palazzo erano andati avanti per mesi, nel pieno della campagna elettorale. Secondo l’ex avvocato Trump avrebbe apertamente mentito riguardo all’accordo commerciale perché “non aveva mai immaginato di vincere le elezioni, e perché era un contratto da centinaia di milioni di dollari.”
Nella propria testimonianza Cohen è anche il primo a confermare formalmente quello che la stampa aveva ricostruito da mesi: che l’“Individuo 1,” protagonista dei memorandum dell’indagine di Mueller è davvero Trump in persona, e non un uomo fidato del presidente.
Secondo Cohen “Donald Trump è un uomo che si è candidato alla presidenza per il bene del proprio brand, non del proprio paese.” L’intera campagna elettorale, per Trump, era un’opportunità di marketing — nelle parole di Trump, riportate da Cohen: “ il piú grande infomercial della storia della politica.”
E niente poteva essere meglio, per la campagna di marketing, del caso del leak di posta elettronica del Comitato nazionale del partito democratico. Cohen conferma che l’informazione dell’imminente pubblicazione sarebbe arrivata da Assange stesso, attraverso Roger Stone.
Cohen prosegue nel proprio discorso descrivendo il carattere di Trump. Lo descrive come un razzista, raccontando come una volta gli abbia chiesto di nominare almeno un paese governato da un uomo di colore che non fosse “un posto di merda,” e di un’altra occasione, in cui, attraversando Chicago, il presidente avrebbe commentato, “solo delle persone nere possono vivere così.”
Cohen passa poi a descrivere come Trump personalmente l’abbia pagato — quando era già presidente — per iniziare a rimborsarlo dei soldi pagati di tasca propria a Stephanie Clifford per pagare il suo silenzio riguardo una relazione extraconiugale di cui apparentemente era all’oscuro anche la moglie di Trump. Il pagamento, da parte di Cohen, è pienamente illegale — e Cohen per questo andrà in prigione.
L’ex avvocato conclude raccontando che Trump sarebbe stato informato direttamente e personalmente da suo figlio Don Jr. riguardo l’incontro che il figlio stava organizzando con operativi russi in seguito a una email che aveva come oggetto, letteralmente, “Calunnie su Hillary Clinton.” Don Jr., in presenza di Cohen, avrebbe soltanto confermato che “un incontro” era confermato, ma l’ex tuttofare racconta — concedendosi una cattiveria — che Trump gli avesse più volte detto che il figlio avesse “il peggior senso del giudizio del mondo” e che niente “nel mondo di Trump” non avviene senza permesso esplicito da parte del padre — incastrando il presidente nella cospirazione a suo vantaggio in cui finora si era dipinto come semplicemente come un utile capo idiota.
Le accuse riportate da Cohen sono così gravi, i fatti descritti così osceni, che in un paese con una democrazia ancora funzionante le richieste di dimissioni — forse le dimissioni stesse — di un presidente accusato di quanto si parla oggi sarebbero immediate, o quasi. Ma nel terzo anno della completa tribalizzazione della politica statunitense, con un partito repubblicano completamente in mano all’estrema destra, è impossibile immaginare ci sia alcuna conseguenza a questa deposizione una volta che le dichiarazioni di Cohen usciranno dal ciclo delle notizie.