Quante persone devono morire ancora?
Cinque anni dopo il naufragio di Lampedusa l’idea di centinaia, migliaia di persone morte nel Mediterraneo è diventata normale.
in copertina, foto di Matteo Salvini, via Facebook
Cinque anni dopo il naufragio di Lampedusa l’idea di centinaia, migliaia di persone morte nel Mediterraneo è diventata normale.
Venerdì 18 gennaio, al largo delle coste libiche, sono morte annegate circa 120 persone. Le ricostruzioni fanno accapponare la pelle: alle 18 di venerdì scorso, Sea–Watch International aveva dato l’allarme via Twitter: «Di ritorno da un volo di ricognizione Moonbird ha intercettato via radio un avvistamento da parte di un velivolo italiano di un gommone parzialmente affondato» con a bordo «25 persone a bordo e altre già in acqua. Un mercantile si trovava nelle vicinanze, ma non risulta un intervento».
Sea–Watch ha testimoniato come l’Mrcc Italia (Maritime rescue coordination centre) abbia rifiutato di dare informazioni sostenendo che «la Libia è responsabile del caso». «Tuttavia la comunicazione con gli ufficiali libici risulta impossibile in nessuna delle seguenti lingue: inglese, francese, italiano, arabo». Per rendere più chiara la situazione: 120 persone sono state lasciate annegare in mare, mentre questa o quella istituzione — libica ed europea — si rimpallavano annoiate la responsabilità di un eventuale soccorso.
Ieri, un altro centinaio di persone stipate a bordo di un’imbarcazione diretta verso le coste siciliane ha rischiato di fare la stessa fine. Alla richiesta di soccorso, su pressioni italiane, hanno risposto le autorità libiche, che hanno inviato un cargo per riportare i naufraghi nel paese nordafricano — che, ricordiamo, non è riconosciuto dall’ONU e nemmeno dal governo italiano come“un porto sicuro.” Oltre alla dimensione legale, certo fondamentale per evidenziare la bassezza dei governi europei, è impossibile non sottolineare la profonda ingiustizia umana di definire “umanitaria” l’operazione di riportare le persone esattamente da dove stanno scappando.
In tutta questa situazione tragica è arrivata, puntuale e splendente come il sole, la “riflessione” del ministro dell’interno Matteo Salvini, che è tornato a prendersela con le Ong:
La Lega ha ormai raggiunto il suo obiettivo primario: rendere chi arriva chiedendo soccorso una merce, e chi presta soccorso un mercante. In questo modo si nega qualsiasi umanità a chi muore, e si può prendersela con le Ong, scelte da quasi tutti gli schieramenti politici come il bersaglio con cui distrarre l’opinione pubblica dai vari guai che affliggono questo paese.
Va ricordato un semplice dato di fatto: la presenza in mare delle ONG non è un fattore di attrazione per chi scappa dalla Libia, come la propaganda di destra sostiene. Non c’è infatti alcuna correlazione tra la frequenza di partenze e il numero di navi di soccorso presenti nel canale di Sicilia. La presenza delle Ong invece è provatamente efficace nella diminuzione del numero di morti durante il tentativo di traversata.
Il 2018 — e il gennaio del 2019 — infatti hanno registrato un livello di vittime sul totale dei migranti senza precedenti nella storia del Mediterraneo. Questo è stato dovuto anche alla politica di ostruzionismo e intimidazione verso le Ong, che hanno visto molte delle loro navi sequestrate a lungo. La coscienza umana degli italiani torna a svegliarsi solo quando succedono tragedie gigantesche: come quella dell’altro giorno, in cui hanno perso la vita il triplo delle vittime del crollo del ponte Morandi. Cosa sarebbe successo se a naufragare fossero state centoventi persone di pelle bianca, nate all’ombra del Duomo o del Colosseo?
Per visualizzare la progressiva normalizzazione della tragedia nel Mediterraneo basta guardare i numeri del naufragio di Lampedusa dell’ottobre 2013. L’evento, vero spartiacque nella gestione e percezione dei flussi migratori attraverso il Mediterraneo, aveva scosso l’Europa con i suoi 386 morti e reso possibile l’attuazione dell’operazione Mare Nostrum. Oggi, dall’inizio dell’anno, sono calcolati circa 200 morti — e il numero è diventato sostanzialmente normale, di una bieca e pigra regolarità.
L’anno nuovo si sta delineando come quello in cui le scelte politiche e ideologiche del governo raggiungeranno le loro vere ed estreme conseguenze. Tutta l’azione dell’esecutivo è stata impostata per essere efficace a breve termine — anche a livello economico, come si è visto con la faticosa approvazione di quota 100 e reddito di cittadinanza — e i nodi sono destinati a venire al pettine. Anche il bullismo verso ONG e organizzazioni umanitarie è improntato a questa politica, fatta di flame su facebook e proclami da spendere ai telegiornali: la rimozione forzata delle navi di soccorso dal Mediterraneo ha reso meno evidente il problema degli sbarchi semplicemente perché molte persone ora muoiono senza testimoni. Un modo brutale di nascondere la polvere sotto il tappeto.
L’Italia è già al centro dell’attenzione di numerosi organismi internazionali per i diritti umani come Human Rights Watch, che nello scorso autunno ha definito il comportamento del governo italiano “disumano.” Per invertire la drammatica crescita del razzismo nel paese, sia da parte dei cittadini che delle istituzioni, però, non serve solo indignarsi. Serve, come abbiamo già detto più volte, una forza politica e culturale che sappia raccontare un’altra versione della storia rispetto a quella distopica e razzista della destra. Una missione che dovrebbe spettare al centrosinistra, che però finora ha clamorosamente fallito, accettando il gioco degli avversari, con cui rischia di venire giudicato dalla storia futura.