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Il 23 novembre è uscito per Bravo Dischi Zero Glitter, il secondo disco di Maru. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con lei per farci raccontare le influenze dell’album e per riflettere insieme, tra le altre cose, sulla piaga dei baristi che non sanno fare i cocktail.  

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Ciao Maru, come stai?

Ciao! Sto bene, giusto un po’ raffreddata.

Ho letto che hai studiato liuteria a Cremona, mi chiedevo se avessi costruito tu gli strumenti a corda che si sentono nel disco.

Mi sarebbe piaciuto molto ma devo ammettere di essere molto scarsa come liutaia. In compenso posso dirti che il mio ukulele è di liuteria ed è stato fatto da Marco, un liutaio di Verona che nella vita ha deciso di costruire solo ukulele e che ha chiamato il suo shop “Antica Ukuleleria.” Nella mia vita ho costruito pochissimo e male.


Parlando di Zero Glitter si usa spesso la definizione di “indie-pop sognante.” Ok, però nelle tue canzoni le atmosfere non sono sempre leggere e idilliache. Ti va di raccontarci un po’ com’è nato questo disco?

Avevo voglia di crescere, sia dal punto di vista musicale che “verbale,” avevo voglia di occuparmi di temi importanti ma non rinunciando comunque alla mia ironia. Una volta stabilito che ciò che avevo scritto avesse la giusta maturità, mi sono affidata a Fabio Grande per la produzione. Fabio ha compreso subito la mia voglia di crescere ed è soprattutto grazie a lui se oggi questo progetto ha una sua identità.

In alcuni brani (penso ad esempio a “Bordeaux”) è come se instaurassi un dialogo con un’altra persona. In altre, come “Via Oberdan,” il tono mi sembra conclusivo. In “Zero Glitter” invece è come se avessi maturato maggiore consapevolezza di te stessa e la canzone riflettesse questa sensazione. In ogni caso si parla sempre di te senza ricamarci troppo sopra ma andando dritti al punto, è una lettura giusta?

La scrittura, per me, è sempre stata non solo uno sfogo ma anche un modo di mettere tutto nero su bianco e di stabilire il mio modo di stare, il comportamento delle persone che mi circondano e, di conseguenza, farne derivare una conclusione. Mi sono sempre affidata molto a questo tipo di analisi, mi calma e mi permette di conoscere me per poi comprendere e soprattutto rispettare il modo di pensare degli altri. Detto ciò, sì, ammetto che la lettura è stata giusta.

Se dovessi dirci tre cose – ma valgono anche i nomi e le città – che hanno influenzato molto la scrittura dell’album, quali sceglieresti?

Sarebbero i nomi di tre persone, ma proprio quelli credo che li terrò per me. Però ho altre tre cose: i traslochi, la colazione, i baci.

I baristi mi ha ricordato I Baristi Stagionali di Edipo (ora Coma Cose ndr), non so se hai presente la canzone. Quello dei baristi che non sanno fare i cocktail – soprattutto il Moscow Mule, confermo – continua a essere un problema sentito da tutti, anche se nel tuo brano alla fine si parla di una storia d’amore.

Non la conoscevo ma la sto ascoltando in questo momento, grazie per il consiglio! Sì, quella dei cocktail fatti male è una brutta piaga e sogno un mondo in cui si beva bene e gratis, anche se devo ammettere che, non me ne volere, sono più tipo da Pepsi.

In “Lunedì è Martina” il tema è quello della violenza. Cosa ne pensi del caso di violenze all’interno della scena musicale sollevato da Fiumani ormai un mese fa?

Io penso che il mondo della musica indie e della musica in generale sia un mondo di cultura, di intelligenza e soprattutto di sensibilità. Trovo assurdo e inaccettabile che una persona facente parte di questo mondo – tra l’altro qui si parla di un organizzatore di uno dei festival più importanti della scena indie – sia la stessa persona che, nella sua vita privata, abusa e maltratta una donna. È giusto denunciare ed è giusto anche semplicemente parlarne.

Maru suonerà il prossimo 5 gennaio al Capanno 17 di Prato, il 24 gennaio al Cortile Cafè di Bologna, il 26 gennaio allo Spazio211 a Torino, il 30 gennaio allo Sherwood Open Live di Padova, il 31 gennaio sarà all’Ohibò a Milano mentre il 2 febbraio suonerà a Le Mura di Roma.

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