Dietro il “selficidio” non c’è solo l’insicurezza

Questa è Click, World!, la nostra rassegna settimanale di cultura fotografica. Ogni settimana, un pugno di link e le mostre da noi consigliate.

Dietro il “selficidio” non c’è solo l’insicurezza

in copertina foto Tom Sodoge

Può sembrare un’esagerazione, ma qualcuno ha proposto la parola selfiecide, (in italiano già tradotta in selficidio senza la e). Una ricerca condotta dal Journal of Family Medicine and Primary Care, fondazione Indiana, ha analizzato dati ricollegabili a morti avvenute in circostanze in cui la realizzazione di un selfie ha portato alla morte dei soggetti. Lo studio è andato avanti da ottobre 2011 a novembre 2017, ed è stato pubblicato a settembre 2018. Il numero dei morti registrato è di 259: non sorprende il fatto che la maggior parte dei casi si riferisce a situazioni rischiose, associabili per la maggior parte agli uomini, che registrano una percentuale maggiore rispetto alle donne e che l’età media sia bassa, 23 anni. Lo studio è stato fatto in India, ed è probabile che nasca non tanto dal numero degli abitanti quanto da una moda specifica; mentre nei vari paesi del mondo i casi sono distribuiti, in India sono concentrati più della metà degli incidenti. A titolo di esempio, nella città di Kodungaiyur, in India, durante un incendio in un negozio, 48 persone sono rimaste ferite mentre scattavano selfie.

Leggendo un articolo di un giornale locale indiano, viene chiesto subito il parere ad uno psicologo, che sottolinea come le insicurezze e la conseguente voglia di riscatto che i giovani, alcuni giovani, potrebbero voler manifestare attraverso immagini che li rappresentino in situazioni pericolose. In questo articolo viene riportato un incidente in cui dei ragazzi vengono travolti da un treno. Tenendo presente sempre li treno, come metro di misura, su internet è facile vedere come viaggiano in India: su tutti i casi la linea ferroviaria che passa in mezzo ad un mercato è sicuramente il più famoso.

La tanto citata insicurezza dei giovani, sempre vera ma allo stesso tempo sempre troppo sbrigativa, dovrebbe essere secondo me inscritta in un discorso diverso. Di modi per manifestare la propria insicurezza, come dicono gli psicologi, ce ne sono tanti, ma non tutti sono accomunati dalla voglia, anzi, il fine, di dover scattare una fotografia. Avete presente i city climber o i free climber? Ecco, loro tendenzialmente o non registrano nulla o registrano tutto, sicuramente non lo fanno esclusivamente per il selfie.

Quello che coinvolge emotivamente e fisicamente queste persone, che si preparano anche per anni prima di una nuova impresa, non è il rischio ma l’impresa. Se ritengono che una cosa non è del tutto impossibile allora si tratta di realizzare una impresa, il rischio diventa una delle tante cose da considerare per il buon esito dell’impresa ma non è la cosa da battere. Da battere non c’è nulla se non il proprio limite e la vetta. Li possiamo ritenere incoscienti? Forse, ma se potessimo applicare le stesse caratteristiche a coloro che aspettano l’arrivo di un treno fino al momento che loro ritengono poter valutare come l’ultimo e che tutto ciò non comporti un rischio ma il superamento dei propri limiti? La differenza è sottile, ma le motivazioni possono essere drasticamente diverse.

Tornando all’arrampicata, da qualche mese è uscito il film “Free solo” che racconta l’ascesa di Alex Honnold su una delle pareti dello Yosemite Park, El Capitan, senza corde, una delle mete più ambite dagli scalatori professionisti di tutto il mondo. Come lui stesso racconta in un Ted Talk, “Quello è stato l’apice di un sogno di quasi un decennio, e nel video mi trovo a quasi ottocento metri dal suolo. Spaventoso? Sì, lo è, ed è per questo che per tanti anni ho sognato di scalare El Cap senza mai farlo davvero”.

La conclusione pare ovvia, ed è per questo che, tornando alla ricerca citata all’inizio, la principale conclusione del paper è quella di creare delle “no-selfie zone,” così da impedire alle persone di correre rischi. Perchè le municipalità di Mumbai, già attiva in questo senso, ha voluto crearle?

La realizzazione di un selfie, che solitamente porta i giovani all’idea di poter comunicare con il mondo intero, grazie ad Instagram, viene realizzata sempre nello spazio di un solo metro; in quel momento, in quel metro, proprio il mondo intero viene escluso, perchè l’interazione avviene esclusivamente tra la persona e il suo schermo. Il vero soggetto rimane sempre alle spalle di chi scatta il selfie, pertanto senza una vera interazione diretta, anche solo visiva, non c’è controllo su di esso, e l’imprevedibilità è più difficile da controllare. Nel caso dell’arrampicata l’attenzione è sempre rivolta al proprio corpo, l’equilibrio e la superficie di contatto. Ogni altra cosa è distrazione.


La nostra selezione di mostre

Wildlife Photographer of The Year
Fondazione Luciana Matalon, Milano. Fino al 9 dicembre.

Festival Emerging Talents
Mattatoio, Roma. 7,8,9 dicembre

Paolo Pellegrin. Un’antologia
MAXXI, Roma. Fino al 10 marzo 2019

Rassegna stampa

“La città ha smesso di essere un luogo. Al contrario, è diventata una condizione.” Il racconto della città di Dubai con le fotografia di Nick Hannes sul National Geographic.

Sempre sul National Geographic, iniziano le iniziative di fine anno: ecco le migliori foto del 2018 secondo la direttrice della fotografia Sarah Leen.

È uscito un nuovo libro su Vivian Maier, “forse la novità più clamorosa che sia accaduta alla storia della fotografia negli ultimi decenni” come scrive Michele Smargiassi. Il libro è scritto da Christina Hesselholdt ed edito Chiarelettere.

Tra i fotografi ritrovati ce n’è uno ancora sconosciuto. Lo ha trovato Yvonne De Rosa che, presso i Magazzini Fotografici a Napoli, esporrà le stampe di alcuni negativi acquistati su un mercato: “Passeggiando per Napoli mi sono ritrovata in un robivecchi dove noto una scatola con su scritto ‘Materiale elettrico’: era piena di negativi divisi in pacchettini numerati e mi accorgo che appartengono allo stesso fotografo. In seguito, scopro che sono scatti rimasti inediti per oltre sessanta anni.

Il Photolux Festival, biennale di fotografia che si tiene a Lucca, è stato inaugurato questo fine settimana e resterà aperto fino al 9 dicembre. Sul sito del Festival tutte le info.

Settimana scorso la sonda InSight è atterrata su suolo marziano e ha inviato le prime due immagini. La prima risulta molto confusa in quanto ancora il tappo che è servito per proteggere la lente dalla polvere non era stato tolto. La seconda è il primo selfie marziano.

Una intervista ad Ami Vitale, fotografa chiamata da Lavazza per il nuovo Calendario 2019.

Una intervista ad Andrea Alai, vincitore del Premio Stenin nella sezione Sport-Storie. Andrea ha raccontato gli ultras dell’Albenga calcio. Una storia che punta lo sguardo su chi lo sport, in questo caso il calcio, lo guarda e lo supporta. Le fotografie premiate saranno in mostra a Roma ad inizio 2019.

Si può essere licenziati per una foto? Sei tra Steward e hostess di Ryanair sono stati licenziati per aver inscenato una fotografia di protesta.

E’ stata lanciata a New York una nuova rivista di fotografia, dove si mescolano anche scrittura ed arte. A lanciarla i due fondatori Coquito Cassibba, di origine italiana, e la grafica art director Jessica McGowan. Primary, il nome della rivista, verrà dedicata ogni volta ad un tema differente; il colore è il tema del primo numero.

Alla prossima! ??