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Tutte le foto di Dalila Antolovic

La sensazione è quella di essere immersi in un flusso sonoro che assieme alle tracce porta con sé un profondo, diffuso e rassicurante senso di conforto, unito a una buona dose di presa bene.

A pochi giorni dal Club to Club, evento cardine della club culture italiana, venerdì scorso siamo andati a sentire dal vivo Bonobo, uno tra i produttori internazionali più interessanti e influenti degli ultimi anni, ospitato ai Magazzini Generali di Milano grazie alla collaborazione di Jazz:Re:Found, Club Nation e Detroit Milano.

Il suo ultimo lavoro, Migration, ha risvegliato l’interesse verso un’arte che nei dischi del producer inglese riunisce eleganza, ricerca musicale e un ritmo sviluppato in progressioni morbide lungo tracce che spesso oltrepassano i canonici tre minuti di ascolto. Il live di venerdì sera ai Magazzini Generali è spinto da una successione graduale di bassi che si addentra nel pubblico guidandolo come un mantra in una sorta di movimento collettivo, più energico e spinto vicino alla consolle, più intimo e raccolto all’interno della sala. Il poco spazio vitale, assottigliatosi col passare dei minuti durante i set serratissimi di Ma Nu e Volantis, fa capire quanta aspettativa ci fosse dietro alla prima delle due date italiane sold out dell’artista inglese (che sabato sera ha suonato a Trento al Teatro Sanbàpolis).

La musica di Bonobo è terapeutica per l’ascoltatore, trasportato in una dimensione sonora dove le distinzioni tra generi musicali, influenze e riferimenti — trip hop, afrobeat, chillwave — svaniscono finendo per contribuire a un immaginario sonoro cosmopolita che fonde jazz ed elettronica, e per l’artista stesso, che tempo fa in un’intervista descriveva la propria arte come una vera e propria cura:

Le persone mi chiedono spesso ‘cosa ci vuoi comunicare?’. Non è una questione di parole, le vere protagoniste sono le emozioni e sono soggettive; sono quelle che ci parlano stimolate dagli elementi musicali del singolo pezzo e ad ognuno di noi possono parlare in modo differente.

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La sensazione è quella di essere immersi in un flusso sonoro che assieme alle tracce porta con sé un profondo, diffuso e rassicurante senso di conforto, unito a una buona dose di presa bene favorita dal clima leggero da inizio weekend. L’immaginario di Bonobo, per certi versi distante dall’elettronica da grande palco e dall’idea, legittima ma pur sempre mercificante (nella distorsione più negativa del termine), del singolo radiofonico, parla di emozioni e sensazioni senza nominarle, avvicina lo spettatore ad atmosfere sospese e oniriche in cui il talento compositivo dell’artista e la propensione al clubbing trovano un punto d’incontro ideale e compiuto per tutta la durata dell’esibizione. Dal vivo la dimensione più vicina all’artista è quella notturna da Boiler Room, lo spettacolo a contatto con lo spettatore, antitetica alla spettacolarizzazione dell’elettronica in stile Tomorrowland – ma pur sempre di spettacolarizzazione si tratta – e più coerente con un’idea immersiva, personale e intima della musica, vissuta come abbandono completo dei sensi, evasione momentanea dal refrain quotidiano strofa-ritornello. Sembra che a Bonobo non vadano troppo a genio le foto, a riprova di un modo di concepire la propria arte distante da certe pose, due passi indietro rispetto a gran parte dei cliché social contemporanei.

Quando usciamo sul palco è salito Nickodemus – storico dj newyorkese. L’atmosfera è frizzante, sono da poco passate le quattro, le pozzanghere e i tanti accenti stranieri fuori dal locale fanno assomigliare ancora di più Milano a una città nordeuropea, con il cielo plumbeo e nelle orecchie un sottofondo caldo che sa di global music e che vorremmo ascoltare più spesso.


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