Il 22 ottobre centinaia di migranti hanno marciato da Velika Kladuša fino al confine croato, per cercare di entrare nel territorio dell’Unione europea. Sono stati respinti dalla polizia, mentre gli stati del continente si voltano dall’altra parte.
“Stanno correndo alla frontiera. Si stanno spostando tutti al confine!” Veniamo informati, presto al mattino, della manifestazione in corso alla frontiera di Velika Kladuša. Ci vestiamo in fretta e usciamo di casa.
“È il momento di andare, forza!” si dicono l’un l’altro, per farsi coraggio, le persone che oggi hanno deciso di lottare contro un’oppressione insopportabile. Hanno messo lo zaino in spalla e si sono incamminati verso la frontiera, sperando che fosse la volta buona.
Eravamo all’incirca trecento. Abbiamo camminato insieme, per circa tre chilometri, con il pensiero rivolto a quello che sarebbe successo. Il dispiegamento delle forze di polizia è stato immediato, con l’unico obiettivo di arginare quel fiume in piena.
Alcune pattuglie si sono appostate nei punti nevralgici della città, uomini in uniforme, poliziotti in tenuta antisommossa, un drone e un elicottero sono stati prontamente chiamati all’azione per controllare ogni centimetro del flusso.
“Apriranno la frontiera questa volta?” “Cosa farà la polizia croata?”
Ad un certo punto ci siamo fermati di fronte a un cordone impenetrabile di poliziotti. Vedevamo la frontiera alle loro spalle. Alcune persone si sono sedute o sdraiate a terra. Alcuni invece hanno cominciato a camminare su e giù per quel filo di cemento, con i muscoli stanchi di aspettare. È iniziata una rivolta silenziosa, affaticata, perché le energie si stanno esaurendo. Il freddo ha atrofizzato i corpi e indebolito le menti.
“Cosa possiamo fare? Ci ascolterà qualcuno?” ci chiede Ahmad. “Noi siamo ciò che incontriamo,” prosegue scacciando l’imbarazzo. “Se viviamo per troppo tempo a contatto con l’esclusione e l’emarginazione, perderemo fiducia in noi stessi, smarriremo la nostra identità e ci convinceremo di essere Uomini privi di valore, meritevoli di essere trattati come tali.”
Oggi, 22 ottobre, uomini, donne e bambini hanno chiesto di essere rispettati come esseri umani. Si sono uniti, si sono fatti vedere e sentire come unica risposta per continuare a (r)esistere. Corpi appesantiti dalle botte, dalla rabbia, dalla frustrazione e umiliazione quotidiana di essere ridotti a vivere un’intera vita nell’indifferenza del mondo.
A Velika Kladuša fa freddo, le temperature si stanno muovendo verso l’inverno. Era già accaduto a giugno che centinaia di persone, stanche di vivere nel fango, decidessero di muoversi in massa verso il confine. Oggi, come allora, sembra che non sia cambiato nulla.
Dopo qualche ora, le persone si sono alzate da terra, si sono girate e hanno lentamente percorso la strada del ritorno, verso la tendopoli che speravano di essersi lasciati alle spalle per sempre.
“Perché le istituzioni non intervengono? Per favore aiutateci, per favore.” Ce lo dice Samina, una donna di 72 anni che sta viaggiando insieme ad Abdullah, suo nipote. “Siete l’estensione della mia voce,” aggiunge. Le persone bloccate alla frontiera chiedono rispetto e ascolto. Chiedono diritti. “Vorrei una vita serena, vorrei poter vivere in pace. Desidero che mio nipote possa un giorno studiare e diventare il suo sogno. Io la mia vita ormai l’ho vissuta.”
La manifestazione di oggi è stata praticamente ignorata in Europa, nonostante l’eco mediatica di un’altro corteo di migranti dall’altra parte dell’Oceano, quello della carovana dei 7000 che cercano di raggiungere il confine degli Stati Uniti.
Il collettivo Checkmate sarà in Bosnia fino al 7 novembre, per documentare il “gioco” crudele a cui sono costretti i migranti che vogliono oltrepassare il confine. Leggi le altre puntate del reportage.
Diari dalla frontiera
“Vorremmo sottolineare che, in tempi in cui è aumentata la pressione migratoria in alcune parti del confine di Stato, il Ministero degli Interni della Repubblica di Croazia continuerà a rispettare i diritti fondamentali dei rifugiati che hanno un bisogno reale di protezione, applicando le pertinenti norme derivanti dalla legislazione nazionale, dall’acquis dell’Unione Europea e dalle Convenzioni Internazionali. Non è stato confermato alcun caso di utilizzo di metodi coercitivi da parte delle forze dell’ordine ai danni dei migranti”
—Risposta del Ministro degli Interni croato alla lettera inviata da parte del Commissario del Consiglio d’Europa per i diritti umani, datata 20 settembre 2018.
* * *
Queste sono le testimonianze di alcune delle centinaia di persone che hanno raccontato la loro storia dopo essere stati respinti al confine.
Dal 2016, No Name Kitchen, Balkan Info Van, Are You Syrious?, Rigardu, Fresh Response, BelgrAid, Infopark e alcuni collaboratori indipendenti, documentano le violenze perpetrate lungo i confini dell’Unione Europea. Ne riportiamo qualcuna di seguito.
13 luglio 2017 Ho provato a oltrepassare il confine serbo-croato insieme a un amico. Ci siamo nascosti all’interno del container di un camion. Non siamo riusciti ad andare molto lontani, la polizia ha fermato il veicolo e ci ha fatti scendere. Erano inizialmente in due ma sono arrivati altri tre uomini in divisa poco dopo. “Torna in Serbia, muoviti!” mi hanno urlato addosso prima di tirarmi un pugno in faccia e un calcio nello stomaco. Siamo ritornati così al punto di partenza.
31 ottobre 2017 Siamo riusciti a oltrepassare la frontiera croata partendo da Šid, città di confine tra Serbia e Croazia, ma siamo stati bloccati dopo venti chilometri di cammino. Eravamo in quattro e i poliziotti ci hanno perquisito da cima a fondo. Oltre a tutti i nostri telefoni, hanno trattenuto 400 euro, tutto ciò che ci rimaneva. Abbiamo chiesto loro di poter rimanere in Croazia per depositare la richiesta d’asilo ma purtroppo non ci è stato permesso. Siamo stati caricati su una camionetta e trasportati vicino al punto dal quale eravamo partiti qualche ora prima. Ci hanno tirati giù dal loro furgoncino uno alla volta e ci hanno picchiati. È toccato anche a me. Ho ricevuto dieci minuti di botte.
Mi hanno colpito ovunque con manganellate, calci e pugni. Mi hanno sferrato un pugno in faccia e ho iniziato a sanguinare. Mi sono accorto solo in un secondo momento che avevo perso un dente. “Via, via, andate in Serbia e non provate a tornare mai più!” Queste le loro ultime parole prima che riprendessimo il cammino verso Šid.
12 novembre 2017 Eravamo in tre e abbiamo cercato di superare la frontiera che separa la Serbia dalla Croazia, la polizia ci ha catturati poco dopo averla oltrepassata. Un poliziotto ci ha avvistati e ha chiesto l’intervento dei suoi colleghi. Sono arrivati e ci hanno violentemente colpiti. Abbiamo detto loro che volevamo fare domanda d’asilo in Croazia. “Andatevene! Tornate in Serbia! Non provate a tornare mai più!” Questa la loro risposta. Siamo stati caricati su una camionetta della polizia e rispediti indietro.
3 agosto 2018 Sono una donna iraniana. Volevo solamente andare in Slovenia ma i poliziotti mi hanno presa e picchiata violentemente su tutto il corpo. Hanno preso tutti i soldi che avevo, 500 euro, e se li sono intascati. Hanno trattenuto tutti i telefoni cellulari e si sono appropriati del computer di mio figlio. Mi hanno colpita dappertutto e mi hanno tirato uno schiaffo in faccia. Credo che non siano esseri umani! Ho 47 anni e sto viaggiando con mio figlio di 14 anni. Hanno tirato schiaffi in faccia anche a mio figlio. Colpivano ridendo alle nostre spalle. Avevano manganelli e bastoni metallici. Un poliziotto mi ha colpito e sono caduta a terra ma lui ha continuato a percuotermi.
Mi colpiva e a ogni colpo rideva. Stavamo camminando, sulla strada del ritorno, ci siamo fermati. Ci siamo stretti in un abbraccio e abbiamo pianto per qualche minuto. Siamo poi ripartiti tornando al campo di Velika Kladuša. Sono stati momenti terribili.
13 agosto 2018 Dopo alcune ore, tutte le famiglie sono state caricate su una camionetta per essere trasferite in un centro d’accoglienza, così ci hanno fatto credere. Il furgone della polizia, però, si è fermato, dopo alcune ore di viaggio, vicino al check point ufficiale di Velika Kladuša. La polizia ha ordinato a tutti di scendere dalla camionetta e ha iniziato a rompere i telefoni a suon di manganellate. I poliziotti hanno iniziato a spingere le famiglie verso il territorio bosniaco attaccando tutti, fisicamente e verbalmente.
“Forza muovetevi!” Urlavano e con il manganello in mano ci hanno obbligati a tornare a Velika Kladuša. Picchiavano tutti, uomini, donne, colpivano forte, alla schiena e alle gambe. “Più veloci, forza, veloci!” ci urlavano addosso i poliziotti. Tenevo stretta tra le braccia mia figlia che ha solamente tre anni, hanno continuato a colpirmi e sono caduto. Mia figlia è atterrata violentemente a terra. Picchiavano tutti, senza distinzione alcuna.
22 agosto 2018 La camionetta era ermeticamente chiusa. Non c’era aria all’interno e la polizia accendeva ogni tanto il condizionatore, giusto per non farci morire. A un certo punto la camionetta si è fermata e ci hanno fatti scendere tutti. Ci hanno detto di andare ma non sapevamo quale fosse la strada per tornare in Bosnia. Hanno restituito i telefoni cellulari completamente distrutti e hanno iniziato a picchiarmi, spingermi e colpirmi dicendomi che dovevo andarmene. Ho chiesto loro di non colpire il mio compagno di viaggio, un ragazzo sedicenne, ma non mi hanno dato retta. Ci picchiavano col manganello urlandoci addosso “figli di troia, andate a cagare figli di puttana!”
Hanno preso la mia protesi e l’hanno calpestata. Questa è già la seconda volta che la rompono.
10 settembre 2018 Nove ragazzi siriani sono stati respinti e le forze dell’ordine croate hanno distrutto i loro telefoni cellulari.
12 settembre 2018 Dieci persone provenienti dal Pakistan sono state respinte al confine bosniaco-croato e rispedite al campo di Velika Kladuša. Sono state aggredite fisicamente e verbalmente e i loro telefoni cellulari sono stati distrutti.
13 settembre 2018 Quattro ragazzi, di cui due pakistani e due afghani, sono stati fermati dalla polizia croata e respinti al di là del confine bosniaco-croato. Sono stati loro confiscati soldi e telefoni cellulari.
18 settembre 2018 Tredici persone sono state respinte. La polizia li ha fermati a pochi passi dal confine bosniaco-croato, caricati su una camionetta e riportati indietro. Ad alcuni hanno confiscato il telefono, ad altri invece, hanno reso impossibile il loro utilizzo danneggiando la porta d’ingresso del carica batteria.
8 ottobre 2018 Tredici persone, uomini, donne e una coppia con un bambino molto piccolo. Sono tutti stati fermati e riportati al punto di partenza.
Tutte le foto e le testimonianze, eccetto la foto di copertina, sono tratte dal sito Borderviolence.eu.
Il collettivo “Checkmate” è composto da due cineasti, Luca e Francesco e da Paolo, ex operatore d’accoglienza. Se hai voglia di sostenere il progetto, partecipa alla nostra raccolta fondi e seguici su Facebook. Siamo online anche su Osservatorio Balcani e Caucaso.
Per ricevere tutte le notizie da The Submarine, metti Mi piace su Facebook, e iscriviti al nostro gruppo.