Ieri il Consiglio dei ministri ha approvato la cosiddetta “pace fiscale,” che si aggiunge a una lunga lista di condoni approvati in Italia, puntualmente criticati dal Movimento 5 Stelle.
Ieri il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto che contiene le norme di quella che il governo definisce “pace fiscale,” ma che di fatto — come è stato osservato più o meno da tutti — si tratta dell’ennesimo condono fiscale in un paese che ne ha già conosciuti tanti.
La misura, già prevista tra le linee di indirizzo del “contratto di governo,” era particolarmente indigesta al M5S, e ieri è stata oggetto di un lungo braccio di ferro tra i due partiti. Il risultato licenziato in serata dal Cdm dovrebbe essere frutto di un compromesso, ma ad uscirne vincitrice è soprattutto la Lega di Salvini, alla cui base elettorale tradizionale è esplicitamente rivolto il provvedimento.
In base al decreto, chi ha evaso le tasse potrà dichiarare il 30% delle somme evase fino a un massimo di 100 mila euro — la Lega avrebbe voluto inizialmente alzare la soglia fino a 500 mila o addirittura 1 milione di euro — pagando un’aliquota del 20%. La sanatoria riguarda solo chi ha già presentato una dichiarazione dei redditi, e prevede anche la “rottamazione ter” delle cartelle esattoriali: saranno eliminati sanzioni e interessi e si potrà dilazionare il pagamento in 5 anni, comprese le cartelle sotto i 1000 euro anteriori al 2010, che riguardano 10 milioni di contribuenti.
Non stupisce che questo “aiutino” agli evasori fiscali abbia provocato qualche mal di pancia all’interno del partito che ha fatto di “onestà, onestà” il proprio slogan principale, e che infatti sta cercando di compensare a livello di immagine il condono fiscale con misure “spot” più severe contro l’evasione.
Ma cosa diceva il partito capitanato da Di Maio a proposito dei condoni fiscali varati dai governi negli anni scorsi? Niente di buono, ovviamente.
In questo post sul Blog delle stelle del febbraio 2017, intitolato “Il governo strizza l’occhio ai furboni,” si critica duramente la “voluntary disclosure” del governo Renzi, definendola “una sanatoria delle cartelle congegnata ad hoc in favore dei furbetti.” Nel 2014 il gruppo dei 5 Stelle alla Camera in Commissione finanze attaccava lo stesso provvedimento, parlando di “regalo ai grandi evasori fiscali.” Nel 2010 il bersaglio era invece lo “Scudo fiscale” di Tremonti, definito da Beppe Grillo (peraltro giustamente) “una porcata” e “lo scudo della vergogna.”
“Gli evasori ringraziano per un condono, l’81esimo dall’Unità d’Italia, che rappresenta l’ennesimo sfregio ai contribuenti onesti,” scriveva il gruppo parlamentare del M5S alla Camera nell’ottobre del 2014.
“Si legittimano, dunque, grandi frodi e grandi evasioni. Più sei ricco e più evadi. Più evadi e più vale la pena evadere. Incredibile. Controcorrente. Meschino,” chiosava con grande pathos il gruppo parlamentare al Senato pochi mesi dopo.
Durante il governo Renzi lo scontro sulla voluntary disclosure si appuntava proprio sulle questioni lessicali: il Movimento 5 Stelle era in prima linea a definirlo per ciò che in effetti era — un condono fiscale. “Con questo strumento si va a consolidare ciò che è sempre stato fatto negli anni, cioè condoni, condoni su condoni,” tuonava l’onorevole Daniele Pesco alla Camera a novembre 2015.
Ora le parti sono invertite: è il partito capitanato da Luigi Di Maio a doversi destreggiare tra acrobazie retoriche per non chiamare il condono con il proprio nome, facendo leva sul fortunato neologismo di “pace fiscale.” Ancora a settembre il vicepremier e Ministro dello sviluppo economico ripeteva che “il Movimento 5 Stelle non è disponibile a votare nessun condono” — ma una spiegazione convincente di che cosa differenzi la “pace fiscale” approvata ieri da un condono ancora manca.
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